15 dicembre 2013

Shopping compulsivo diagnosticato alla moglie? Scatta l’addebito

Ammette bensì la Corte di Appello che, al test di Rorscharch la M. manifestava una nevrosi caratteriale repressa che ha indotto il consulente, sulla base del pregresso comportamento, a formulare una diagnosi di "shopping compulsivo", caratterizzato da un impulso irrefrenabile ed immediato ad acquistare e da una tensione crescente, alleviata soltanto acquistando appunto beni mobili. Aggiunge la sentenza, richiamando le osservazioni del consulente, che la M. si è presentata davanti al CTU, lucida ed orientata nei parametri spazio temporali nei confronti delle persone e delle cose, disponibile al colloquio, curata nell'aspetto e nell'abbigliamento, adeguata nel comportamento, ed ha risposto con attenzione e concentrazione, mentre la memoria rimaneva perfettamente integra.

Continua il giudice a quo, precisando che la M. era perfettamente conscia della sua patologia e lo stesso CTU ha escluso un'incapacità di intendere e di volere, sussistendo soltanto un impulso compulsivo all'acquisto, sicuro disturbo della personalità che tuttavia, anche in base all'andamento pregresso, si poteva ritenere "ciclico".

In tale contesto, le osservazione della ricorrente circa errori di fatto della sentenza, peraltro soltanto affermati (ad esempio, si contesta l'affermazione della sentenza stessa, per cui la M. non si sarebbe sottoposta a cure mediche), presentano una valenza del tutto marginale. E' bensì vero che questa Corte (Cass. S.U. n. 9163 del 2005) ha affermato che nelle cause di imputabilità potrebbero rientrare pure nevrosi, psicopatie, disturbi della personalità, ma, nella specie, evidentemente, il disturbo mentale, pur presente nella M., secondo le risultanze della consulenza, come richiamate dal giudice a quo, non escludeva la sua imputabilità.

Affermata dunque la piena imputabilità della ricorrente, sicuramente i comportamenti riscontrati, pacificamenti sussistenti (furti di denaro ai familiari ed ai terzi, acquisti particolarmente frequenti e fuori misura di beni mobili), configurano violazione dei doveri matrimoniali. ai sensi dell'art. 143 c.c..

Quanto al nesso di causalità con l'intollerabilità della convivenza, la M., in modo del tutto apodittico e generico sostiene che i predetti comportamenti si situavano lontano nel tempo, e non in prossimità della separazione: la ricorrente non fornisce specificazioni nè riscontri probatori. Limitatamente a tale aspetto, il ricorso presenta profili di non autosufficienza, e dunque di inammissibilità.

Va pertanto confermata la pronuncia di addebito, con conseguente esclusione dell'assegno di mantenimento per la M..

Corte di cassazione – Sezione I civile – Sentenza 18 novembre 2013 n. 25843


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