Con l'occasione, cari lettori, spero che questo mio intervento possa essere utile anche a Voi tutti.
Per gli operatori del diritto, sarà da stimolo per segnalare opportune precisazioni ed aggiornamenti del caso. Grazie e buona lettura.
DIRITTO CIVILE
14.7.2012 (12° appuntamento) (segue dal 7.7.2012)
7.7.2012 (11° appuntamento) (segue dal 30.6.2012)
°°°
30.6.2012 (10° appuntamento) (segue dal 23.6.2012)
L’adem. deve essere “esatto” e non aliud pro alio (una cosa per un’altra), e se conforme all’obb. il cre. non può rifiutare l’adem. esatto tranne che non si tratti di prestazioni personali ovvero non si tratti di prestazioni per le quali è stata manifestata opposizione all’adem. da parte del deb. principale, cosa che può accadere nell’adem. del terzo: in questo caso il cre. può (ma non deve) rifiutare l’adem. del terzo. Con opposizione del deb. principale, cioè, il cre. ha facoltà, non dovere, di rifiutare la prestazione: è importante tale giustificazione se valutata alla stregua della mora accipiendi (o mora del creditore: rifiuto ingiustificato di ricevere la prestazione offerta dal deb. o dal terzo).
DOMANDE GIUDIZIALI SU PAGAMENTO DI SOMME
1)a Ad es. ci possiamo trovare di
fronte alla richiesta di pagamento di rate scadute: strumento normalmente usato
è il ricorso per ingiunzione, ma si noti, solo per i ratei scaduti oltre agli
interessi moratori. “Voglia l’Ill.mo giudicante ingiungere al Sig. Tizio (NB
se Tizio è titolare di una ditta individuale non si potrà fare riferimento a
questa semplicemente, ma riferirsi sempre a Tizio nella qualità di titolare
della omonima ditta individuale) di pagare all’intestato Sig. Caio la somma
complessiva di €… oltre agli interessi legali dalle singole rate scadute fino
al saldo nonché le spese del presente procedimento da liquidare come da nota
spese e da distrarre al procuratore anticipatario ex art.93 cpc”.
23.6.2012 (9° appuntamento) (segue dal 16.6.2012)
16.6.2012 (8° appuntamento) (segue dal 9.6.2012)
9.6.2012 (7° appuntamento) (segue dal 2.6.2012)
2.6.2012 (6° appuntamento) (segue dal 26.5.2012)
LA COMPENSAZIONE
La compensazione (comp.) è
regolata dal cc in una disciplina che la individua in 3 forme:
1- comp.
legale
2- comp.
giudiziale
3- comp.
volontaria
1- La comp. legale opera di diritto ed ha per presupposto
l’esistenza di reciproci rapporti debito-credito tra debitore e creditore a
condizione che tali rapporti siano reciproci (tra gli stessi soggetti),
omogenei (stessa natura), per somme liquide (determinate nell’ammontare) ed
infine esigibili (per somme scadute). In tal caso le corrispondenti poste di
debito-credito si estinguono nelle medesime quantità, salvo il residuo che sarà
dovuto. Ma quanto automatica sia la comp. legale, è necessario che sia oggetto
di eccezione (eccezione preliminare di merito in senso tecnico: non rilevabile
d’ufficio) da parte del soggetto (al tempo stesso debitore/creditore) a cui
viene chiesto di pagare. In difetto di eccezione il deb. chiamato al pagamento
è tenuto a pagare correndo il rischio di incorrere nella mora debendi salva la possibilità di far valere in separata sede
autonomamente il proprio controcredito.
2- La comp. giudiziale è quel modo di estinzione del rapporto obb.
pronunciato/dichiarato dal giudice. Nel giudizio, stante le eccezioni proposte,
il giudice rigetta, per quanto di ragione in tutto o in parte la domanda,
avendo accertato e dichiarato l’avvenuta comp. che infatti presenta tutti i
requisiti della comp. legale (crediti reciproci, omogenei ed esigibili) meno
uno: della liquidità. A maggior ragione in tale contesto risulta l’attività
della parte perché non basterà una semplice eccezione di parte ma l’eccezione
di comp. dovrà essere accompagnata da una richiesta di liquidazione dell’ammontare
del controcredito. Avvocatiziamente nella gran parte dei casi si preferisce, in
presenza di una parziale comp. giudiziale (per crediti omogenei, reciproci
esigibili ma illiquidi), non limitarsi a formulare una semplice eccezione di
comp. bensì proporre una domanda riconvenzionale, avente ad oggetto la determinazione
del quantum sul quale poi far valere l’eccezione di comp. giudiziale: domanda
non di condanna ma volta all’accertamento del quantitativo del controcredito
eccepito, con ciò predisponendo gli strumenti che poi consentiranno a pieno
titolo di eccepire la comp. (è preferibile perché si potrebbe correre il
rischio di vedersi ritenere inammissibile l’eccezione di comp. giudiziale fatta
tout cour in quanto i crediti sono
illiquidi; perciò il giudice non deve solo “ratificare” la comp. ma deve
necessariamente determinare l’ammontare dei crediti per procedere a comp. e ciò
non lo può fare se non previa specifica domanda della parte interessata alla
comp. giudiziale -non potendo fare uso della propria scienza privata-)
3- La comp. volontaria è quella che le parti volontariamente
realizzano per il solo fatto della sussistenza di rapporti di credito-debito
reciproci a prescindere dalla liquidità ed esigibilità: sotto tale profilo tale
comp. volontaria assume la natura (secondo una delle accezioni più accreditate)
di negozio di accertamento dove le parti si danno reciprocamente atto che per
determinate somme e rapporti è intervenuta la reciproca estinzione delle
partite debitorie e creditorie proprio per comune volontà delle parti. È un
contratto e può avere embrionalmente un contenuto novativo o transattivo.
LA CONFUSIONE
Non solo è un modo di estinzione
dell’obb. diverso dall’adempimento, ma opera anche nel settore dei diritti reali
(es. alla morte dell’usufruttuario -art. 979 cc- o per cessioni successive -art. 980 cc-, l’usufrutto si estingue per consolidamento nella stessa persona
della nuda proprietà e dell’usufrutto; in ipotesi di servitù, divenire
proprietario del fondo dominante e del fondo servente ecc).
Per le obb. quando si riunisce
nello stesso soggetto la figura dei creditore e debitore si ha, appunto,
confusione e ciò non in forza di più rapporti debito-credito (ci sarebbe
altrimenti compensazione e non confusione), ma in virtù del medesimo rapporto
debito-credito. Es. può accadere che nella cessione del credito l’ultimo
cessionario sia il creditore stesso: il rapporto si estingue per confusione.
Il settore in cui è più frequente
tale modo di estinzione dell’obb. è dei titoli di credito destinati alla
circolazione: assegni (circolari, bancari) cambiali, pagherò ecc..
°°°
7.7.2012 (11° appuntamento) (segue dal 30.6.2012)
GLI INTERESSI CORRISPETTIVI
L’interesse corrispettivo (int.
corr.) trova la sua disciplina nell’art. 1282 cc e consiste nel corrispettivo
che una parte deve all’altra in considerazione della sopravvenuta disponibilità
di una somma di denaro liquida ed esigibile.
I presupposti per la debenza
dell’int. corr. sono diversi dai presupposti per la debenza dell’interesse
moratorio (che costituisce una forma di liquidazione legale di danno): infatti,
mentre questo ultimo presuppone un ritardo nell’adempimento dell’obbligazione
(risarcitoria o restitutoria), l’int. corr. presuppone l’avvenuta dazione /
l’avvenuto pagamento di una somma di denaro LIQUIDA (cioè determinata nel suo
ammontare) ed ESIGIBILE (cioè scaduta, pagabile, non sottoposta a termine
iniziale o a condizione sospensiva); somma che deve poi essere restituita.
L’int. corr. è l’interesse
classico / tipico che deve essere corrisposto a seguito della stipulazione del
contratto di mutuo (che si caratterizza per la previsione ex lege di un int. corr. pattuito tra mutuante e mutuatario).
Normalmente è la banca (mutuante) che mette a disposizione una somma di denaro
ad un soggetto (detto mutuatario) il quale deve restituire tale somma nel corso
degli anni secondo un piano / programma di ammortamento (a seconda dei piani di
ammortamento le somme mutuate vengono restituite a scadenze semestrali o
annuali per un determinato numero di anni: es. da 10-15 anni a 30-35 anni). Il
contratto di mutuo è un contratto reale (si perfeziona con la datio rei ossia
con la consegna materiale della somma di denaro mutuata da mutuante al
mutuatario) ad effetti reali (la proprietà delle banconote si trasferisce al
mutuatario con obbligo per questo ultimo di restituire il tantundem). Con riferimento al contratto di mutuo vanno fatte
alcune precisazioni:
1^ precisazione: fino a
qualche anno fa i mutui, soprattutto i mutui fondiari (cioè quelli destinati
all’acquisto di beni immobili) avevano tassi di interesse convenzionali molto elevati
i quali facevano allontanare gli utenti dalla richiesta di mutuo. Si assisteva,
inoltre, ad un fenomeno assai rilevante sia sul piano civilistico che sul piano
penalistico, ossia l’usura (il fenomeno dell’usura esiste ancora oggi anche se
in misura molto minore rispetto a qualche anno fa). Da un punto di vista penale
mancavano norme espresse che sanzionassero l’usura; pertanto in un primo
momento si è dovuto ricorrere, per contrastare il fenomeno ad altre norme
contenute nel codice penale, relative a reati diversi. Successivamente è
intervenuta una legge ad hoc la L.
108/1996 conosciuta come legge anti-usura: essa contiene previsioni sia sotto
il profilo penalistico che sotto il profilo civilistico:
- sotto il profilo penalistico
prevede il delitto di usura (consiste nella erogazione di denaro da restituirsi
con un saggio di interesse superiore ai limiti stabiliti dalla legge. È
costruito come un reato a dolo specifico: ai fini dell’applicazione della pena
infatti non occorre che l’usuraio consegua di fatto un ingiusto profitto, ma è
sufficiente che agisca con lo scopo di conseguire un ingiusto profitto);
- sotto il profilo civilistico
la L. 108/96 ha introdotto importanti novità con riferimento al contratto di
mutuo: l’art. 1815 cc sancisce una regola rilevante in base alla quale se le
parti hanno pattuito convenzionalmente un interesse usurario (ossia l’interesse
pattuito in misura superiore alla misura che il Ministero dell’economia e delle
finanze di concerto con il comitato interministeriale per il credito e il
risparmio -CICR- fissa con proprio decreto anno per anno), non solo il
mutuante incorre nel reato di usura, ma addirittura il mutuo si presume
gratutito.
Al momento dell’entrata in vigore
della legge anti-usura nacque un contenzioso con riferimento ai mutui in corso
nei quali le somme di denaro erano state erogate a tassi di interesse elevati:
secondo la lettera della l. 108/96 le rate di tali mutui che ancora dovevano
scadere, avrebbero dovuto essere a tasso zero (si tratta del c.d. problema del
regime intertemporale conseguito all’entrata in vigore della legge anti-usura:
si sarebbe dovuto restituire solo il capitale, presumendo da quel momento in
poi la gratuità del mutuo). In realtà la soluzione adottata a fronte del
suddetto problema fu quello della c.d. rinegoziazione del tasso di interesse.
Vennero in sostanza pattuiti int. corr. non usurari rinegoziati (le banche via
via riconvocano i clienti e rinegoziavano il tasso di interesse riconducendolo
entro limiti dell’usura; ciò che in passato era stato pagato in più veniva
compensato prevedendo per le rate ancora da pagare una notevole riduzione del
tasso di interesse originariamente pattuito).
2^ precisazione: nei casi
di stipulazione di un contratto di mutuo per l’acquisto di immobili l’istituto
mutuante non eroga la somma di denaro nell’atto della vendita. NB si devono
predisporre 2 atti separati (entrambi in forma di atto pubblico: davanti al
notaio): 1) atto di vendita; 2) atto di mutuo. L’erogazione del mutuo (dunque
il perfezionamento del contratto che, in quanto contratto reale, avviene solo
con la consegna materiale della somma di denaro) avviene solo dopo 11 giorni
dalla stipulazione del contratto. Infatti solo all’undicesimo giorno si
consolida l’ipoteca (è ipoteca volontaria anche se di fatto è una condizione
per l’erogazione del mutuo) che il mutuante iscrive sul bene oggetto di
compravendita a proprio favore e contro il mutuatario. Normalmente l’ipoteca è
iscritta per il doppio del valore della somma mutuata: da ciò si evince che mai
potrà essere mutuabile l’intero valore dell’immobile che si va ad acquistare.
Prima che siano trascorsi i
suddetti 11 giorni, in realtà, il contratto non si è ancora perfezionato. Si ha
la c.d. promessa di mutuo (art. 1822 cc) o preliminare di mutuo. È interessante
notare che l’art. 1822 cc fa eccezione alla regola secondo cui il contratto
preliminare non può avere ad oggetto un contratto reale, ma normalmente si
collega / correla ad un contratto consensuale.
In passato alcune banche che
erogavano mutui erano riuscite ad erogare le somme mutuate prima del
consolidamento dell’ipoteca; attualmente non è più così: nel rogito notarile il
notaio attesta che le parti si danno atto dell’avvenuto pagamento integrale
della somma mutuata ma inserisce solitamente una clausola, che recita
“subordinatamente al consolidamento dell’ipoteca”.
3^ precisazione: nel
momento in cui istituto mutuante e privato mutuatario pattuiscono il tasso di
int. corr. l’istituto mutuante stabilisce un piano di ammortamento (programma
di restituzione della somma mutuata in un determinato arco di tempo). Ogni rata
di mutuo sezionata presenta al suo interno 2 parti: i) una parte rappresenta il
capitale mutuato che si va a restituire; ii) l’altra parte è formata invece
dall’int. corr. pattuito convenzionalmente dalle parti entro i limiti
dell’usura. I piani di ammortamento sono congegnati in modo che le prime rate
(specie nei mutui ultra-ventennali) siano per lo più quasi interamente formate
da interessi e non dal capitale: ciò perché se si restituisce solo una piccola
percentuale di capitale, il capitale residuo è ancora fruttifero, è ancora
produttivo di interessi per la banca. Viceversa, se il capitale venisse
restituito con le prime rate, verrebbe meno per la banca la possibilità di esigere
gli int. corr. i quali esistono solo in quanto esiste il capitale.
4^ precisazione: può
accadere che il mutuatario ritardi il pagamento di una singola rata di mutuo. In tal caso per il periodo di ritardo sono dovuti gli interessi moratori
(calcolati con la modalità descritta nell’ambito dei crediti di valuta:
l’interesse moratorio nel caso esemplificato è dovuto nella misura del saggio
legale; quasi mai -o mai- si avrà rivalutazione monetaria). L’interesse
moratorio si calcola sulla rata complessiva della quale è stato ritardato il
pagamento che consta di: capitale e int. corr. ( l’interesse moratorio si
calcola su un coacervo formato da capitale e int. corr.).
Il caso sopra descritto è una
ipotesi di mora ex re (si tratta infatti di un debito portabile -ossia da
pagare ad una certa scadenza al domicilio del creditore- che viene pagato in
ritardo) che scatta automaticamente, senza il bisogno di un atto di
costituzione in mora.
GLI INTERESSI COMPENSATIVI
Alcuni autori hanno individuato,
accanto agli interessi moratori e agli interessi corrispettivi, un ulteriore
categoria di interessi: gli interessi compensativi (int. comp.) (anche se non
tutti concordano sul fatto che si tratti di una vera e propria categoria di
interessi a se stante).
Il cc si occupa degli int. comp.
all’art. 1499 cc il quale regola l’ipotesi in cui è avvenuto il trasferimento
della proprietà o anche solo il godimento del bene ma non è ancora stato
effettuato il pagamento del prezzo, il quale, su accordo delle parti, avverrà
in un momento successivo. La previsione dell’art. 1499 cc trova la sua
applicazione istituzionale nelle vendite immobiliari rateali dove la proprietà
del bene passa all’acquirente solo con il pagamento dell’ultima rata del
prezzo, mentre il godimento del bene è immediato ed il rischio del perimento
della cosa grava da subito sul compratore, anche se costui non è ancora
divenuto proprietario.
Gli interessi in esame si
chiamano compensativi proprio perché compensano il sacrificio di chi si spoglia
di un bene senza ricevere il pagamento immediato del corrispettivo. Anche gli
int. comp. sono dovuti nella misura del saggio legale; tuttavia, essi non hanno
nulla a che fare con gli interessi moratori. Al limite si può ravvisare una
somiglianza tra int. corrispettivi ed int. comp. anche se con riferimento a
questi ultimi vengono in considerazione non somme di denaro mutuate, bensì beni
il cui prezzo viene pagato in un momento successivo rispetto al trasferimento
della proprietà o all’immissione nel godimento del bene non per inadempimento
da parte dell’acquirente ma per pattuizione delle parti. L’orientamento
prevalente è nel senso di considerare gli int. comp. più che come interessi
come elementi naturali del contratto di compravendita (analogamente alla
garanzia per i vizi occulti e per l’evizione: si tratta di effetti che si
producono indipendentemente dalla loro pattuizione anche se possono essere
esclusi dalle parti).
NB nel momento in cui il debitore
adempie nei confronti del creditore pagando una determinata somma di denaro,
tale somma va imputata prima agli interessi e poi al capitale, salvo che il
creditore intenda operare diversamente. Es. il debitore ha un debito
complessivo di € 10.000,00 e ne paga 1.000,00 il creditore imputa i 1.000,00
ricevuti agli interessi. Se la somma ricevuta in pagamento venisse imputata al
capitale si avrebbe un ingiustificato arricchimento del debitore, il quale da
un lato paga una parte del suo debito, riducendo però, dall’altro lato, il
capitale e conseguentemente anche gli interessi (da corrispondere
successivamente), i quali esistono solo se esiste il capitale, produttivo di
essi.
LA MORA DEL DEBITORE
Nelle riflessioni che precedono abbiamo
esaminato la principale conseguenza della mora del debitore, ossia il pagamento
degli interessi moratori. Vediamo ora le ulteriori conseguenze della mora debendi:
1^
conseguenza: (si verifica specie nei casi di mora nella consegna della
cosa) il rischio del perimento della cosa grava per l’intero sul debitore che è
in ritardo, anche se il perimento derivi dal fortuito, ossia indipendentemente
dalla sua volontà;
2^
conseguenza: (siamo nell’ambito o di pagamenti rateizzati o comunque di
obbligazioni da adempiere ad una certa scadenza, in un determinato termine) si
verifica per il debitore la decadenza del beneficio del termine (art. 1186 cc:
disposizione che prevede che il debitore in mora nel pagamento di una singola
rata decada dal beneficio del termine per il pagamento delle rate successive,
ossia il debitore deve o può essere chiamato a pagare subito per l’intero). NB
La decadenza dal beneficio del termine si verifica anche in altre due ipotesi:
a) quando il debitore non ha dato le garanzie (reali o personali) promesse; b)
quando le garanzie date dal debitore sono diminuite di valore anche per causa
non imputabile al debitore stesso e questo ultimo non le abbia tempestivamente
reintegrate.
LA MORA DEL CREDITORE
La mora del creditore (c.d. mora accipiendi o credendi) si ha nel caso in cui il creditore rifiuti ingiustificatamente di ricevere la
prestazione o il pagamento (NB si è discusso a lungo sul significato da
attribuire all’espressione "rifiuto ingiustificato". In giurisprudenza è pacifico
che si ha rifiuto "giustificato" nei casi in cui vi sia un aliud pro alio -una cosa per un’altra-. Per contro il "rifiuto
ingiustificato" si ha quando il debitore è pronto ad adempiere offrendo di dare
la res debita).
A ≠ della mora del debitore, la
mora del creditore non è mai mora ex re,
ma è sempre mora ex persona. L’ordinamento, infatti,
prevede, innanzitutto, che il debitore metta in mora il creditore attraverso
un’offerta formale della cosa o del denaro (a seconda dei casi). Tale offerta
può assumere 2 connotazioni:
α) un’offerta reale ossia una richiesta di ricezione della cosa o
del pagamento (si tratta di una vera e propria consegna brevi manu);
β) un’offerta per intimazione a prendere possesso di un immobile.
Una volta avvenuta l’offerta
formale da parte del debitore scattano le seguenti conseguenze:
I^
conseguenza: il debitore ha
diritto al rimborso delle spese eventualmente sostenute per la custodia /
conservazione della cosa che non ha potuto consegnare;
II^ conseguenza: nel periodo della mora accipiendi il rischio
del perimento della cosa si trasferisce sul creditore che ha
ingiustificatamente rifiutato l’offerta;
III^ conseguenza: (di origine giurisprudenziale) non debenza di
eventuali interessi che il debitore avrebbe dovuto corrispondere al creditore a
partire dalla data della costituzione in mora del creditore.
NB tra gli effetti fisiologici /
normali della mora accipiendi non c’è
l’effetto liberatorio del debitore il quale continua a rimanere debitore.
Tuttavia il debitore può, se vuole, conseguire l’effetto liberatorio attraverso
una speciale procedimento: il deb. deve proporre un’autonoma istanza
indirizzata al giudice e finalizzata alla nomina di un custode giudiziario del
bene mobile o immobile da consegnare. All’esito del provvedimento del giudice
la cosa viene affidata alle cure del custode al quale naturalmente è
riconosciuto un compenso; solo a partire da questo momento si produce l’effetto
liberatorio a beneficio del debitore. Trattasi del sequestro liberatorio ma non deve essere confuso con il
sequestro di cui agli artt. 670 e 671 cpc (di natura processual-civilistico)
ossia: sequestro giudiziario (c’è una res litigiosa e si deve stabilire a chi
appartiene) e sequestro conservativo (mezzo di conservazione della garanzia
patrimoniale).
I MODI DI ESTINZIONE DELLE
OBBLIGAZIONI
Il rapporto obbligatorio (che dà
luogo all’endiadi d. soggettivo relativo-obbligo) così come si costituisce può
anche estinguersi. La forma tradizionale di estinzione dell’obbligazione (in
modo satisfattivo) è costituita dall’adempimento,
sia esso proveniente dal deb. (atto giuridico in senso stretto) o da un suo
delegato / incaricato (l’incaricato del deb. prende il nome di adiectus solutionis causa), sia esso
proveniente da un terzo spontaneamente (negozio giuridico unilaterale v. supra l’ademp. del 3° se esatto non è
rifiutabile da parte del cre. salvo che si tratti di obbligazioni intuitus
personae oppure che vi sia stata opposizione -che facoltizza il cre. al
rifiuto ma non lo obbliga al rifiuto- all’adempimento da parte del deb.).
Se l’adempimento è la forma
principale di estinzione dell’obbligazione, esistono anche altre e ≠ forme
ulteriori di estinzione dell’obbligazione le quali sono distinte (distinzione
puramente didattica didascalica sulla quale si potrebbe a lungo discutere) in:
I)
satisfattive: vi rientrano la novazione oggettiva e la
remissione del credito;
II)
non satisfattive: vi rientrano la compensazione (volontaria, legale e
giudiziale) e la confusione.
La novazione oggettiva
Il cc regola la sola nov. ogg. (quella
soggettiva è regolata nella parte dedicata alle vicende modificative del
rapporto obb. dal lato passivo: delegazione, estromissione e accollo, vedi sopra) e costituisce
una modalità attraverso la quale l’obb. precedente si estingue e sulle sue
ceneri per accordo delle parti ne sorge una nuova, tra le stesse parti, ma
diversa per l’oggetto o per il titolo. La nov. è un contratto di tipo solutorio
finalizzato: i) da un lato a far estinguere un’obb.; ii) dall’altro lato a
farne sorgere una nuova. NB la semplice apposizione o eliminazione di un
elemento accidentale non comporta novazione.
Per aversi nov. si richiedono 3
requisiti:
- l’obb. originaria c.d. obligatio novanda (cioè da novare);
- l’elemento di novità c.d. aliquid novi;
- l’intenzione dei contraenti c.d. animus novandi.
a. obligatio novanda.
Il 1° requisito è quello più problematico: infatti ci si chiede se tutte le obb.
possono novarsi o se ci siano delle obb. non novabili. Normalmente le obb.
legali non consentono novazione (sono quelle che discendono direttamente dalla
legge. Es. obbligo agli alimenti; obbligo di mantenimento, di educazione, di
istruzione dei genitori nei confronti dei figli, ecc).
La categoria più delicata di obb.
non novabili è quella delle obb. naturali (art. 2034 cc). L’orientamento
largamente maggioritario in dottrina e in giurisprudenza esclude la possibilità
di novare le obb. naturali: infatti il presupposto perché vi sia novazione è
che l’obb. originaria sia uno iuris
vinculum vero e proprio (ossia
un’obb. civile ≠ le obb. naturali non si fondano su un vincolo giuridico
vero e proprio, ma si caratterizzano per l’adempimento spontaneo ad un dovere
morale e sociale).
Si devono fare 2 precisazioni:
Si devono fare 2 precisazioni:
-1^ l’impossibilità di novare
un’obb. naturale costituisce una ≠ sostanziale rispetto al diritto romano che
invece consentiva la novabilità delle obb. naturali. In realtà se ne ammetteva
la novabilità attraverso una soluzione di tipo processuale cioè il diritto
romano ha conosciuto 3 periodi del processo: il processo delle leges actiones (dove ogni azione aveva
una legis actio: es l. a. sacramenti in rem, in personam ecc.
e questo a dispetto della tutela giurisdizionale dei diritti che è generale in
quanto basta avere la situazione soggettiva di diritto in base alla quale fare
l’azione); quando dalla meccanica delle leges
actiones si passò al processo formulare, dalla fase in iure alla fase in iudicio
(contenziosa) il praetor (urbanus -se viveva nella città di Roma
urbe- o peregrinus -se viveva nella
nella provincia-) dava o negava la actio, e nel dare o negare la actio concedeva la formula, una sorta di
actio iudicati sganciata dalla
originaria vincolo obb. correlata ad esso ma autonomamente azionabile; e se la
detta actio era concessa sulla base
di un’obb. naturale attraverso la litis
contestatio si procedeva l’ordine del giudice.
-2^ l’importanza
dell’affermazione o della negazione della novabilità delle obbligazioni
naturali si può valutare specie con riferimento
ad istituti che trovano applicazione nell’ambito della famiglia di
fatto: i c.d. patti di convivenza
(vincolanti durante la convivenza). Anche se il fenomeno non è regolato dalla
legge, è possibile che i reciproci rapporti patrimoniali (in termini di
assistenza, mantenimento ecc) siano regolamentati con una convenzione stipulata
tra due conviventi more uxorio senza
figli (se avessero dei figli si dovrebbero applicare regole diverse). Il problema
sorge quando cessa la convivenza more uxorio: ci si chiede, infatti, se venuta
meno la convivenza, gli obblighi contenuti nel patto di convivenza possano o
meno essere ancora invocati. A tale quesito sono state date risposte
contrastanti: coloro che volevano accreditare la tesi della vincolatività dei
patti di convivenza (anche dopo la cessazione di questa) hanno sostenuto che
tali patti costituiscono una novazione di un’obb. naturale, viceversa la
giurisprudenza ha escluso la vincolatività dei patti di convivenza ribadendo
che, cessata la convivenza, tra ex-conviventi more uxorio esistono solo obb.
naturali le quali non possono essere novate.
b. aliquid novi.
La nuova obb. deve essere ≠ dalla precedente per l’oggetto o per il titolo
(ossia avere un oggetto diverso o deve essere diversa per quanto riguarda la
causa concreta cioè la funzione economico-individuale perseguita dalle parti.
Può essere ≠ anche la causa in senso oggettivo). Tuttavia la nuova obb. deve
contenere un contrarius actus, ossia è necessaria una espressa manifestazione
di volontà di estinzione dell’obb. precedente (le parti devono espressamente
stabilire che il nuovo accordo nova l’accordo precedente. Il presente requisito
nella pratica è enormemente importante con riferimento al contratto di
transazione (art. 1965 cc contratto per cui è richiesta la forma scritta ad probationem -non si può provare la
transazione se non per atto scritto-): si tratta di un contratto tipico in
base al quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una
lite o prevengono l’insorgenza di una lite. La transazione è così denominata se stragiudiziale; viceversa se la
transazione avviene davanti al giudice, essa prende il nome di conciliazione giudiziale (art. 185 cpc
conciliazioni civili e 410 cpc conciliazione in materia lavoro) e si tratta di
un atto personale che deve essere sottoscritto dalle parti personalmente -non
basta la firma del difensore-. Spesso sentiamo parlare di transazione novativa
o conciliazione giudiziale novativa (NB l’aggettivo “novativo” viene usato per
intendere che, con riferimento a quel rapporto considerato, tutto il pregresso
è cancellato, è assorbito dal nuovo accordo -normalmente a fronte di una
rinuncia alla lite si ha un corrispettivo in denaro-). La transazione novativa è
un contratto misto tra 1- transazione e 2- novazione.
NB non necessariamente la transazione e la conciliazione giudiziale sono novative; esse possono anche essere non novative.
NB non necessariamente la transazione e la conciliazione giudiziale sono novative; esse possono anche essere non novative.
c. animus novandi.
Rappresenta la concorde volontà delle parti di estinguere l’obb. originaria,
facendo sorgere sulle sue ceneri una nuova obb.. Ad es. non c’è animus novandi:
a- nella datio in solutum in cui lo
scopo è quello di estinguere l’obb., non di novare il rapporto obb.; b- nella cessio bonorum (istituto meno utilizzato
della datio in solutum ma non meno
importante) ossia la cessione dei beni ai creditori da parte del debitore a
scomputo del debito. I cre. vendono i beni loro ceduti e si soddisfano sul
ricavato della vendita; tuttavia qualora tale ricavato sia superiore al loro
credito, i cre. dovranno restituire l’eventuale avanzo al deb.. La cessio bonorum ha una funziona
liquidatoria di estinzione dell’obb. e non ha funzione novativa.
La remissione del credito
Remissione del debito (rdc)
significa rinunziare incondizionatamente al proprio diritto di credito. La rdc deve provenire dal cre. personalmente, il quale deve comunicarla al deb. in
forma solenne, ossia con atto notificato a mezzo di Ufficiale Giudiziario. La
questione più significativa in materia di rdc riguarda la rifiutabilità o meno
da parte del deb. della rdc. Innanzitutto dobbiamo sottolineare che la rdc è
un negozio giuridico unilaterale recettizio, con la conseguenza che l’obb. si
estingue quando la dichiarazione / la volontà del cre. giunge
all’indirizzo del deb., senza alcun
bisogno di accettazione, di adesione da parte di questo ultimo (la rdc estingue
l’obb. indipendentemente dalla volontà del deb., automaticamente, mentre a ≠ la
semplice rinuncia al diritto non produce l’effetto estintivo automatico).
Dunque, una volta estinta l’obb. (a seguito della rdc), se il deb. paga
ugualmente il suo debito egli adempie ad un’obb. naturale. L’effetto estintivo
dell’obb. prodotto dalla rdc potrebbe sembrare una deroga al principio
dell’intangibilità delle sfere giuridico patrimoniali dei terzi, ma in realtà
non lo è: il deb. infatti se vuole può adempiere nonostante la emissione, anche
se appunto si tratterà di obb. naturale.
Altro aspetto interessante
riguarda la possibilità o meno di considerare la rdc come atto di liberalità
(diminuzione del proprio patrimonio e dell’arricchimento del patrimonio altrui
senza che vi sia un rapporto obb. pregresso). La risposta è tendenzialmente negativa per una ragione giuridica: per
aversi atto di liberalità (e dunque animus donandi) tra i soggetti non deve
esserci alcuna obb. pregressa, la quale invece sussiste nell’ipotesi della rdc.
30.6.2012 (10° appuntamento) (segue dal 23.6.2012)
L’ADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE
L’adempimento (adem.), inteso in
senso tecnico, costituisce la forma solutoria tradizionale del rapporto obb.
nel senso che l’adem. è il modo fisiologico di estinzione, in modo
satisfattivo, del rapporto obb.. Si è discusso se l’adem. abbia natura di
negozio giuridico o di atto giuridico in senso stretto: la ≠ è importante non
solo sul piano teorico. Vediamo:
- adem. come negozio giuridico: il soggetto che adem. deve avere la capacità d’agire (capacità negoziale), ossia deve essere maggiorenne, non interdetto e inabilitato; e chi adem. deve avere un animus solvendi inteso come finalizzazione del pagamento alla liberazione dal vincolo. Se ciò fosse vero il pagamento fatto dal deb. incapace d’agire dovrebbe ritenersi annullabile e ripetibile: ma l’opinione maggioritaria si è attestata nel senso di ricondurre l’adem. non al negozio giuridico bensì all’atto giuridico;
- adem come atto giuridico: ai fini della validità dell’atto si richiede la sola capacità di intendere e volere e non anche la capacità d’agire; l’effetto liberatorio (di estinzione del rapporto obb.) prodotto dall’adem. si produce automaticamente all’adem. stesso senza che il soggetto debba dar prova dell’animus solvendi (NB nell’atto giuridico in senso stretto quello che conta è la volontà dell’atto: che si caratterizza per la sua volontarietà e provenienza umana, e non occorre anche la volontà degli effetti -come nel negozio giuridico- che sono in toto disciplinati dall’ordinamento).
L’adem. deve essere “esatto” e non aliud pro alio (una cosa per un’altra), e se conforme all’obb. il cre. non può rifiutare l’adem. esatto tranne che non si tratti di prestazioni personali ovvero non si tratti di prestazioni per le quali è stata manifestata opposizione all’adem. da parte del deb. principale, cosa che può accadere nell’adem. del terzo: in questo caso il cre. può (ma non deve) rifiutare l’adem. del terzo. Con opposizione del deb. principale, cioè, il cre. ha facoltà, non dovere, di rifiutare la prestazione: è importante tale giustificazione se valutata alla stregua della mora accipiendi (o mora del creditore: rifiuto ingiustificato di ricevere la prestazione offerta dal deb. o dal terzo).
Circa l’adem. del terzo, posto che il cre. non
può rifiutare l’adem. del terzo a meno che non si tratti di prestazioni intuitu personae o di fare infungibili
oppure non ci sia stato opposizione del deb. principale, a ≠ dell’adem. da
parte del deb. ha invece natura negoziale: con la conseguenza che l’incapacità
d’agire del terzo che adempie può portare all’annullamento e alla ripetizione.
I problemi sorgono specie dal
confronto tra l’adem. del terzo rispetto alla delegazione solvendi causa
(delega di pagamento) e dalla fideiussione. Trattasi di 3 istituti distinti.
Vediamo gli elementi distintivi, con riserva di meglio approfondirli:
adempimento del terzo: il 3° in luogo
del deb. esegue la prestazione che il cre. non può rifiutare a meno che non ci
sia stata opposizione del deb. principale o che non si tratti di prestazioni intuitu personae o di fare infungibili,
e in tal caso ha facoltà di rifiutare la prestazione (NB se questa è parziale
può altrettanto essere rifiutata -perché inesatto adem.- a ≠ della materia
cambiaria dove l’adem. parziale non è mai rifiutabile); tale adem. si
caratterizza per la spontaneità: il 3° non deve necessariamente avere un
pregresso rapporto con il deb. principale (ci potrà essere, ma non incide o
impone l’adem. che è appunto spontaneo).
delegatio solvendi: c.d. delega di
pagamento, un soggetto deb. originario (delegante) ordina ad altro soggetto
(delegato) di pagare ad un terzo (delegatario). Il rapporto
delegante-delegatario è il rapporto debito-credito originario (rapporto di
valuta: rapporto sottostante) e il delegante invece di pagare personalmente
ordina al delegato (altrettanto debitore) di pagare. E mentre il delegante è
deb. del delegatario, il delegato è deb. del delegante (nel c.d. rapporto di
provvista): delegante e delegato sono cioè entrambi debitori ma non
condebitori. La delegazione serve a estinguere due rapporti obb. con un solo
pagamento (ovvio, se entrambi i rapporti siano del medesimo importo): principio
di economicità degli scambi commerciali. Rispetto all’adem. del 3° (che è
spontaneo), nella delegazione si ha un ordine.
fideiussione: è il prototipo delle
garanzie personali; è contratto avente natura accessoria (come normalmente sono
tutte le garanzie personali) con la conseguenza che venendo meno il rapporto
principale cade automaticamente il rapporto accessorio di garanzia. Assomiglia
alla estromissione (dove c’è accordo tra il cre. ed un terzo). È un accordo tra
il cre. e un terzo (fideiussore) per cui questo ultimo garantisce l’adem.
dell’obb. altrui; tra obb. principale e fideiussore vi è responsabilità
solidale salvo che non si sia pattuito precedentemente il beneficium ordinis (NB la ≠ tra il beneficium ordinis e beneficium
exussionis: in questo ultimo il cre. potrà rivolgersi all’altro o agli
altri condebitori solo dopo aver infruttuosamente aggredito -da provare
mediante verbali di pignoramento negativo- il patrimonio del deb. chiamato ad
adem. -cioè potrò chiamare in giudizio tutti, precostituendomi il titolo
contro tutti, ma poi dovrò attivarmi esecutivamente sul chiamato ad adempiere e
solo se si avrà una attività infruttuosa potrò attivarmi esecutivamente contro
gli altri-: deve essere espressamente pattuito o previsto dalla legge in
quanto con la solidarietà si può andare da chiunque -es. nella SNC società in
nome collettivo dove mi rivolgo ad un socio e chiedo l’intero mentre la
posizione degli altri soci è di responsabilità solidale illimitata e
sussidiaria, cioè devo aver infruttuosamente escusso il patrimonio dell’altro
socio-; mentre il primo -il b. ordinis- è caratteristico della fideiussione -NB qui non ci sarà mai beneficium exussionis- dove, se è vero
che c’è solidarietà, cre. e fideiussore possono pattuire il b. ordinis, ossia non la necessaria
escussione del patrimonio del deb. obb. principale ma dopo che sia data la
prova della semplice “richiesta” del pagamento rimasta infruttuosa fatta nei
confronti del chiamato ad adem., si può aggredire il fideiussore). Rispetto
all’adem. del 3° cambia la natura: lì il 3° adempie (come nella delegazione)
mentre nella fideiussione si obbliga, promette (è una forma di garanzia
dell’adem. del terzo).
Ricapitolando:
adem.
del 3° → c’è il pagamento e c’è spontaneità;
delegazione
di pagamento → c’è il pagamento ma non c’è spontaneità;
fideiussione
→ non c’è pagamento ma c’è la spontaneità.
LE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
In tale contesto è nota la
tripartizione degli interessi in a) int. moratori; b) int. corrispettivi; c)
int. compensativi.
Per obb. pecuniaria si intende
una obb. che ha ad oggetto una somma di denaro pagabile ad una data scadenza.
Sotto tale profilo le obb. pecuniarie appartengono al genus delle obb. generiche con la conseguenza che in tale settore
non trova applicazione la regola della risoluzione per l’impossibilità
sopravvenuta non imputabile (essendo un genus:
genus perire non potest). Le obb.
pecuniarie sono rette dal principio nominalistico ex art. 1277 cc secondo cui
tali obb. si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al momento
dell’adem. e per il loro valore nominale. L’ordinamento disciplina (sia per le
obb. pecuniarie sia per altre tipologie di obb.: ma per adesso limitiamoci a
trattare quelle pecuniarie) particolari categorie che la dottrina chiama
accessori del credito, nel senso ci si può trovare di fronte, fondamentalmente,
a due distinti tipologie di credito:
α) crediti risarcitori (crediti di valore) derivanti dal
risarcimento dei danni da resp. contrattuale (art. 1218 cc) ed
extracontrattuale (art. 2043 cc);
β) crediti restitutori (crediti di valuta) che non sono
connessi ad un risarcimento danni, bensì al godimento di una somma di denaro
protratta oltre il termine entro cui si sarebbe dovuta restituire.
Iniziando dal settore dei crediti
β) (crediti restitutori), vengono in
considerazione due distinte categorie di accessori del credito: β)1 int.
moratori (art. 1224 cc); β)2 int. corrispettivi (art. 1282 cc). I primi
presuppongono che il deb. sia in mora, ossia ritardi la restituzione o
l’erogazione di una somma ricevuta a titolo corrispettivo: trattasi della c.d. mora debendi a sua volta distinta in:
- mora ex re che opera automaticamente senza necessità di alcun atto
formale di costituzione in mora (art. 1219 cc ) quando: 1- il deb. dichiara
espressamente di non voler adempiere; 2- trattandosi di un credito portabile
(ossia adempibile al domicilio del cre. entro un certo termine) il mancato
adem. porta alla mora; 3- responsabilità extracontrattuale (dalla data del
sinistro decorrono gli int. moratori);
- mora ex persona: in tutti gli altri casi ≠ dai precedenti opera la
regola della necessità di una formale dichiarazione detta costituzione in mora.
Gli int. moratori costituiscono
una forma di liquidazione legale di danno da ritardo nell’adempimento di obb.
pecuniarie nel senso che il cre. in caso di ritardo nel pagamento o
restituzione ha il diritto di esigere al deb. oltre al capitale anche gli int.
moratori, e ciò può pretenderlo anche se non provi di aver patito alcun danno.
Tali int. sono dovuti nella misura del saggio legale: ma il II co. dell’art.
1224 cc (se il I co. esonera dal dover provare il danno nei limiti del saggio
legale: danno in re ipsa) dà la
possibilità di ottener il maggior danno, subordinandolo alla prova che il cre.
deve dare. Tale regola del maggior danno non opera se i contraenti hanno
convenzionalmente pattuito la misura dell’int. moratorio (in misura maggiore al
saggio legale). Di certo la verifica della prova del maggior danno non è
agevole: la giurisprudenza al riguardo si è avvalsa di escamotage probatori, e sia in ordine all’an del maggior danno e sia in ordine al quantum del maggior danno:
- an: si intende identificare il maggior danno nella svalutazione
monetaria, ossia si parametra il maggior danno all’indice ISTAT dei prezzi al
consumo che costituisce un fatto notorio (art. 115 cpc: argomento di prova);
- quantum: la giurisprudenza fa riferimento all’indice dei prezzi al
consumo ISTAT (NB l’indice ISTAT è richiamato testualmente dall’art. 150 disp.
att. cpc).
Da tener conto che nell’ipotesi
in cui l’indice ISTAT fosse superiore al tasso legale d’int. (oggi 2,5 %) si
potrà pretendere solo il maggiore dei due importi (quello calcolato
relativamente al dato ISTAT o quello calcolato con riferimento al tasso legale
d’int.. Schematicamente nell’ambito dei crediti restitutori β) avremo:
interessi moratori: crediti
restitutori / di valuta
Per una somma iniziale di K =
100.000,00 € che si doveva pagare nel 2001 e dove si intende IL = valore
calcolato al saggio legale (es. IL1 = 5%; IL2 = 10 %; IL3 = 5% NB sul capitale
iniziale nudo) e per RM = valore calcolato con rivalutazione monetaria (es. RM1
= 10%; RM2 = 5%; RM3 = 10% NB sempre sul capitale iniziale nudo), se il
pagamento non avviene né nel ’02, ’03 ma a fine ’04
art. 1224
I co 1224 II co.
IL RM
’02 IL1 RM1 se RM1 è > di IL1 si
prenderà in considerazione RM1
’03 IL2 RM2 se RM2 è < di IL2 si
prenderà in considerazione IL2
’04 IL3 RM3 se RM3 è > di IL3 si
prenderà in considerazione RM3
____________________________________
K + ∆IL (ossia, nel nostro caso
solo IL2) + (eventuale) ∆RM (ossia, nel nostro caso RM1 + RM3) = somma da
restituire
Quindi dovendo calcolare il
maggior danno, dovrò depennare la corrispondente somma IL1 (quale minor danno)
se es. sia pari a 5.000,00 (5% di 100.000,00 capitale nudo) mentre RM1 (maggior
danno) è pari a 10.000,00 (10% di 100.000,00 capitale nudo), depennare RM2 se
es. sia pari a 5.000,00 (5% di 100.000,00 capitale nudo) mentre IL2 è pari a
10.000,00 (10% di 100.000,00 capitale nudo) e infine depennare IL3 se es. sia
pari a 5.000,00 (5% di 100.000,00 capitale nudo) mentre RM3 è pari a 10.000,00
(10% di 100.000,00 capitale nudo). La somma da restituire sarà perciò K
(100.000,00 = capitale iniziale) + ∆ IL (10.000,00 = interessi sul capitale
nudo senza montante) + ∆ RM (20.000,00 rivalutazione sul capitale nudo senza
montante) = 130.000,00
interessi moratori: crediti
risarcitori / di valore
Trattando, invece, sempre degli
int. moratori ma nei crediti di valore α) (crediti
risarcitori) diciamo subito che il credito di valore (credito illiquido, ma liquidato con perizia o giudizialmente) deriva da un danno: si deve
conservare inalterato, dal sinistro o dall’inadempimento, il valore della cosa
o del contratto che aveva all’epoca, conservandogli, appunto, il valore reale
che aveva al tempo del sinistro o del contratto. Bisogna attualizzare il valore
del bene.
Per una somma iniziale di K =
100.000,00 € che si doveva pagare nel 2001 (somma coincidente col danno
avvenuto nel 2001: il danno alla data dell’inadempimento o del sinistro
ammontava a quella cifra) e dove si intende IL = saggio legale e per RM =
rivalutazione monetaria, se il pagamento non avviene né nel ’02, ’03 ma a fine
’04
RM IL
’02 RM1 IL1 (int. legale del ’02 calcolato sul
capitale iniziale K + la rivalutazione del ’02)
’03 RM2 IL2 (int. legale del ’03 calcolato sul
capitale iniziale K + la rivalutazione del ’03)
’04 RM3 IL3 (int. legale del ’04 calcolato sul
capitale iniziale K + la rivalutazione del ’04)
_________________________
K + ∆ RM + ∆ IL = somma da risarcire
Il danno del 2001 occorrerà
rivalutarlo nel ’02 (quindi per conservare il valore di 100.000,00 € passato un
anno dovrò rivalutare tale somma, allineandoci all’es. precedente, del 10%) e
sulla somma ottenuta, sull’intero coacervo, devo calcolare l’interesse del ’02
(es. 5%). Il secondo anno (’03) sempre sul capitale nudo dovrò calcolare
l’indice ISTAT per rivalutare, appunto al ’03, il capitale iniziale: sulla
somma ottenuta calcolerò l’interesse moratorio dell’anno ’03 (es. 10%) e così
anche per il calcolo del ’04.
La somma da risarcire risulterà,
perciò il capitale iniziale (K) più la somma della rivalutazione di tale
capitale ottenuto anno per anno (colonna che non può mai mancare: ∆ RM) più la
somma degli interessi calcolati anno per anno (colonna che non può mai mancare:
∆ IL).
DOMANDE GIUDIZIALI SU PAGAMENTO DI SOMME
Le domande giudiziali al
pagamento di somme non sono tutte uguali. Suddividiamo le domande nei due tipi:
1) dom. per condanna al pagamento di somme corrispettive
e restitutorie (normalmente liquide per definizione in quanto determinate
nel loro ammontare);
2) dom. per cond. al pagamento di somme a titolo risarcitorio (illiquide) resp. contr. 1218; resp. extrac. 2043.
2) dom. per cond. al pagamento di somme a titolo risarcitorio (illiquide) resp. contr. 1218; resp. extrac. 2043.
1)b Ma non solo con D.I., ma
anche con atto di citazione possono porsi in essere le domande restitutorie (NB
e tramite tale struttura è possibile richiedere anche i ratei non scaduti: ciò
attraverso l’accertamento dell’inadempimento del convenuto). “Voglia
l’Ill.mo giudicante, previo accertamento dell’inadempimento del contratto
concluso in data … per fatto e colpa del sig. Tizio, condannare quest’ultimo al
pagamento delle somme complessive di € …, così quantificato come in narrativa,
oltre interessi legali dalle singole rate scadute fino al saldo nonché le spese
del presente procedimento da liquidare come da nota spese e da distrarre al
procuratore anticipatario ex art.93 cpc”.
1)c e 2) le domande di
risoluzione che possono caratterizzare sia le domande restitutorie che le
domande a titolo risarcitorio: è azione costitutiva (NB le azioni costitutive
sono: - risoluzione, - rescissione, - annullamento, - divisione, - azione di
divisione ereditaria, - azioni attinenti agli status come la paternità). Ex
art. 1453 cc possono porsi in essere due operazioni in alternativa:
α) esecuzione del contratto (se
la prestazione è di fare): “voglia l’Ill.mo giudicante ordinare nei
confronti di Tizio l’esecuzione del contratto concluso in data …, condannando,
per l’effetto, parte convenuta all’adempimento delle conseguenti obbligazioni
oltre al risarcimento del danno da liquidare nella somma di € … o nella
maggiore o minore ritenuta di giustizia con rivalutazione monetaria ed
interessi legali dall’occorso fino al soddisfo”.
β) risoluzione per inadempimento
(se la prestazione è di dare): “voglia l’Ill.mo giudicante pronunciare
la risoluzione per inadempimento del contratto stipulato in data … e per
l’effetto, condannare parte convenuta alle conseguenti restituzioni nonché al
risarcimento del danno da reputare nella somma di € … o nella maggiore o minore
ritenuta di giustizia con rivalutazione monetaria ed interessi legali
dall’occorso fino al soddisfo”.
NB volendo esattamente scrivere
le conclusioni, anche alla luce delle considerazione che precedono
Ambito
risarcitorio: “… si condanni parte
convenuta al pagamento in favore di parte attrice della somma complessiva di € … oltre rivalutazione monetaria da
computarsi anno per anno nonché interessi legali sulle somme via via rivalutate
fino al soddisfo”(per resp. contrattuale, extracontrattuale e ex art. 429
cpc crediti di lavoro privato -non previdenziali- non in quanto sono crediti
risarcitori, ma perché c’è appunto il riferimento normativo. NB no nel
pubblico impiego, nemmeno quello privatizzato dove sono dovuti solo l’interessi
legali)
Ambito
restitutorie: “… si condanni parte
convenuta al pagamento in favore di parte attrice della somma complessiva di € … oltre interessi nella misura
legale ed eventuale maggior danno da svalutazione monetaria dall’insorgenza del
diritto al soddisfo”.
°°°
23.6.2012 (9° appuntamento) (segue dal 16.6.2012)
C) IL VINCOLO GIURIDICO (iuris vinculum: i.v.)
Occorre, per concludere,
esaminare lo i.v.. A ≠ del diritto romano (dove lo i.v. era di natura puramente
personale), nel diritto civile vigente lo i.v. si sostanzia in un vincolo di
natura personale/patrimoniale (da collegarsi all’art. 2740 cc). Va anzitutto
esaminata una categoria particolare di obb.: quelle c.d. naturali che non si
fondano (si ritiene in dottrina) su uno i.v. (quantomeno attuale) bensì solo su
un vincolo a formazione progressiva. Il fondamento normativo delle obb.
naturali si rinviene ex art. 2034 cc che fa riferimento all’adempimento
spontaneo eseguito da persona capace a doveri morali o sociali: e in virtù di tale
adempimento ne consegue l’irripetibilità (o soluti
retentio) di quanto sia stato dato. Ma occorre fare delle precisazioni.
Anzitutto l’art. 2034 cc richiede che il soggetto adempia ad un dovere morale o
sociale, in particolare si è osservato trattarsi di un dovere unico (morale o sociale)
della morale sociale corrente (dovere sociale e dovere morale – secondo Gazzoni
– sono una endiadi ossia due facce della stessa medaglia, lo stesso concetto
espresso da due parole similari). E cosa si intende per dovere della morale
sociale corrente? NB alcuni autori erroneamente abbinano tale dovere con la meritevolezza
e tutela dell’interesse perseguito ex art. 1322 cc. Ma tale giudizio, come è
noto, ha ad oggetto la causa concreta del contratto (causa in senso
soggettivo): in particolare il II co. dell’art. 1322 cc si avvale di tale
nozione di meritevolezza e tutela dell’interesse perseguito al fine di far
transitare un istituto dal giuridicamente irrilevante al giuridicamente
rilevante (vedi la tematica dell’atipico: es. di atipico sono il trasporto di
cortesia, il vitalizio assistenziale, la cessione di cubatura, ecc.). E tale
giudizio può definirsi come dignità sociale, rilevanza socio-economica
dell’interesse concreto perseguito dalle parti in un dato momento storico:
perciò un concetto di meritevolezza (dignità sociale rilevanza
socio-economica…) che non si identifica con la necessaria patrimonialità della
prestazione di cui all’art. 1174 cc (art. che, d’altro canto, soggiunge anche
che la prestazione può corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale per
il creditore). Per contro l’obb. naturale ex art. 2034 cc, ossia l’adempimento
ad un dovere sociale o morale, concerne soprattutto la vincolatività del dovere
stesso rispetto al soggetto chiamato ad adempiervi; con la conseguenza che l’adempimento
a tale dovere non trasforma l’obb. naturale in obb. civile (i.v. pieno e
completo), ma comporta il più modesto effetto di rendere non ripetibile ciò che
è stato dato da persona capace. In tal senso l’ordinamento è come se operasse
una fictio in termini di
vincolatività del dovere valutandolo comparativamente rispetto all’adempimento
effettuato.
In particolare tra le obb. naturali vengono richiamante:
1- il pagamento del debito di gioco;
2- il pagamento del debito prescritto;
3- la fiducia testamentaria.
Circa la 1^ ipotesi giova
ricordare che il TULPS non consente l’esercizio di case da gioco se non in
locali all’uopo istituzionalizzati (Casinò: i croupier sono poi iscritti in
particolari elenchi e sono ad ogni effetti lavoratori dipendenti appartenenti
al settore dello spettacolo e come tali assicurato presso l’EMPALS, prima dell'assorbimento del detto ente nell'INPS).
Con riferimento alla 2^ ipotesi
si è discusso in ordine alla sua corretta riconducibilità nell’ambito delle
obb. naturali. Una certa dottrina (Gazzoni) ritiene che il pagamento del debito
prescritto, stante il divieto di rilievo d’ufficio della prescrizione da parte
del giudice, consiste in una rinunzia all’eccezione di prescrizione e non già
una obb. naturale: teoria corretta dal lato processuale (dal lato
dell’operatività della prescrizione) non essendo rilevabile d’ufficio (né nel
giudizio ordinario, né monitorio) la relativa eccezione (che è eccezione di
merito in senso tecnico che incorre nelle preclusioni), ma dal lato del diritto
sostanziale non pare particolarmente decisiva.
Ultima ipotesi (la 3^) è la fiducia
testamentaria ex art. 627 cc che concerne l’ipotesi in cui (nel caso di
testamento) si preveda che l’erede onerato debba devolvere la somma o
effettuare la prestazione a vantaggio di un soggetto terzo del tutto estraneo
al rapporto successorio (né erede, né legatario) la norma precisa che
l’adempimento a tale disposizione (fiduciaria) comporta come effetto la sola
irripetibilità di quanto è stato spontaneamente dato e non costituisce
alcun vincolo nei confronti dell’erede onerato. Per capire l’istituto della
fiducia testamentaria occorre fare delle precisazioni.
La fiducia testamentaria è una
delle residue ipotesi applicative del contratto di diritto romano denominato fiducia (fonte di obb. re contracte: con il comodato, deposito e il pegno) e
consisteva in una alienazione di un bene con l’obbligo per l’acquirente di
restituire il bene stesso ad nutum, a
richiesta dell’alienante senza che ci fosse giusta causa, con la corrispondente
restituzione del prezzo: il tal caso la vendita (che nel d. romano era un
contratto consensuale ad effetti obbligatori: emptio venditio) era accompagnata (nel caso appunto di fiducia) da
un atto (accessorio) che si chiamava pactum
fiducae che portava il detto meccanismo. La ragione pratica di questa
operazione stava nell’esigenza della c.d. intestazione fiduciaria di un bene
(specie se immobile), di modo che in un determinato periodo il reale
proprietario uscisse di scena potendo però riacquistare il suo originario
status dopo decorso un dato tempo (comportando magari frode ai creditori). Nel
cc attuale non c’è richiamo a tale istituto, mentre la stessa giurisprudenza si
è da tempo saldamente orientata nel ritenere illecite ipotesi simili quali le
vendite a scopo di garanzia. Strumenti fraudolenti che consistono nella vendita
(ma NB l’operazione fraudolenta può derivare anche da un cessione di credito -contratto consensuale ad effetti reali-), le quali presuppongono un pregresso
rapporto credito-debito tra venditore (deb.) e compratore (cre.) e che sono, segnatamente:
A- vendita risolutivamente condizionata all’adempimento: dove
l’effetto traslativo è immediato e il bene passa dal deb./venditore al
cre./compratore solo che si ri-trasferisce automaticamente al momento stesso in
cui il deb./venditore adempie l’obb.;
B- vendita sospensivamente condizionata all’inadempimento: dove non
c’è un effetto traslativo immediato dal deb. al cre., ma il bene transiterà
solo se ed in quanto il deb. sia inadempiente.
Figure che, si è detto, sono
ritenute illecite dal nostro ordinamento non tanto sotto il profilo di ipotesi
di vendita simulata (anzi l’effetto garanzia -posto che sono vendite a scopo
di garanzia- è che le vendite non siano affatto simulate), ma per violazione
di norma imperativa (nullità ex art. 1418 cc), norma imperativa individuata
dalla giurisprudenza nell’art. 2744 cc., la quale contiene il divieto di patto
commissorio (disciplinato testualmente solo in materia di pegno quale diritto
reale di garanzia, contratto reale che si perfeziona con la datio rei) per cui il creditore
pignoratizio (che è una di quelle figure ibride a cui non si riesce ancora a
dare una collocazione definitiva se possessore o detentore: il diritto romano
lo ha posizionato eo tempore nella
figura intermedia dei precaristi) di
fronte all’inadempimento del proprio deb. non può far suo il bene
costituito in pegno, ma solo rivolgersi al giudice dell’esecuzione e fare una
istanza di assegnazione forzata o di vendita del bene all’incanto (senza
passare dal processo di cognizione). L’art. 2744 cc è stato interpretato dalla
giurisprudenza come norma imperativa avente carattere generale, di modo che
quale che sia lo strumento giuridico utilizzato, la violazione dell’art. in
esame comporta nullità per violazione di norma imperativa: tra gli strumenti
utilizzati per bay-passare l’art. 2744 cc la giurisprudenza ha individuato
entrambe le ipotesi di vendita a scopo di garanzia (sia quella risolutivamente
che quella sospensivamente).
NB ≠ tra:
illiceità del contratto: la si può sintetizzare come
contrasto con norme imperative, ordine pubblico o buon costume; si applica il
principio della nullità (con
conseguente ripetizione di indebito oggettivo di ciò che è stato dato sulla
base di un contratto nullo; si prescrive in 10 anni). Il cc la riferisce di
volta in volta alla causa (art. 1343 cc), al motivo comune ad entrambe le parti
e determinante del consenso (art. 1345 cc), alla frode alla legge (art. 1344 cc),
alla condizione (v ≠ tra condizione illecita e condizione impossibile in
materia di nullità: la prima, sia sospensiva che risolutiva, porta sempre alla
nullità del contratto, mentre nella seconda solo la sospensiva impossibile
porta alla nullità del contratto mentre se è risolutiva porta al consolidamento
del contratto), ma anche all’oggetto inteso come prestazione (sempre come
contrasto con norme imperative, ordine pubblico o buon costume). NB l’art. 2033
cc prevede, nel caso in cui la prestazione sia illecita anche per chi deve
eseguirla e soprattutto contra bona mores
– contro il sentimento del pudore –, prevede che operi la regola della immoralità bilaterale (ed è il caso del
compenso alla prostituta) con irripetibilità di quanto è stato dato (non basta
per aversi immoralità bilaterale, quindi irripetibilità, che ci sia stato
l’illiceità della prestazione, ma occorre che la prestazione sia illecita
perché contro il buon costume, contra
bona mores): nell’es. del croupier non ci sarà illiceità per immoralità
bilaterale ma violazione di norma imperativa, per cui non si applicherà l’art.
2033 ma l’art. 2126 cc, dove l’illiceità della prestazione fa salve le sole
retribuzioni.
illegittimità del contratto: di regola la nozione di
illegittimità si identifica con la nozione di annullabilità, la quale può derivare da vizi della volontà (errore,
violenza e dolo), dall’incapacità d’agire del soggetto (come es. del minore,
dell’interdetto o dell’inabilitato) ovvero può derivare dall’incapacità di
intendere e volere (ex art. 428 cc: temporanea incapacità di intendere e volere
in soggetti capaci d’agire). NB il contratto illegittimo/annullabile è idoneo a
produrre i propri effetti fin tanto che il soggetto nel cui interesse sia posta
la norma violata (l’incapace quando riacquista la capacità, l’interdetto
riabilitato, il soggetto il cui consenso sia dato per errore al momento in cui
si avvede dell’errore ecc.) esperisca la relativa azione di annullamento,
ricorrendone i presupposti (azione di natura costitutiva a ≠ dell’azione di
nullità di natura dichiarativa; NB l’accertamento della nullità ha sempre
effetto retroattivo tra le parti e verso i terzi, mentre la pronuncia di
annullamento produce, in linea di principio, effetto retroattivo solo tra le
parti, tuttavia può produrre effetto caducatorio retroattivo anche nei
confronti dei terzi se si abbia operato in mala fede e a titolo gratuito, se
invece è fatto a titolo oneroso e in buona fede non produce effetto retroattivo
verso i terzi fatte salve le ipotesi dell’incapacità legale -che è il
contrario dell’incapacità naturale ed è quella del minore, dell’interdetto,
dell’inabilitato e del fallito- dove invece l’annullamento ha effetto
retroattivo).
Tornando alla fiducia
testamentaria, da ultimo, occorre precisare che questa non colloca il
beneficiario in una posizione analoga a quella del legatario che, invece, è un
creditore dell’asse ereditario.
°°°
16.6.2012 (8° appuntamento) (segue dal 9.6.2012)
Dopo aver esaminato le prestazioni di dare e di fare, ci manca da trattare le
prestazioni di non fare: qui si
richiede che l’ordinamento preveda uno specifico obbligo di attivarsi, nel
senso che il non facere può operare
su due piani diversi derivando di volta in volta o direttamente dal neminem laedere oppure da un accordo tra
i contraenti. Nel 1° caso la violazione dell’obbligo di non fare sarà fonte di
resp. extracontrattuale, mentre nel 2° sarà fonte di resp. contrattuale.
Una ulteriore distinzione da fare
nell’ambito del rapporto obb. e che si colloca a metà strada tra i soggetti e
la prestazione è quella inerente i rapporti tra obb. divisibili o
indivisibili da un lato ed obb. parziarie e solidali dall’altro
lato.
OBB. DIVISIBILI E INDIVISIBILI
È una ≠ che attiene alla
prestazione oggetto dell’obb..
Una prestazione può per natura,
per legge o per volontà delle stesse parti essere prefigurata come INDIVISIBILE.
Ove vi sia un solo deb. e un solo cre. non sorgono problemi (il solo deb. è
tenuto alla prestazione indivisibile, il solo cre. può esigere la prestazione indivisibile)
NB posto che in natura tutto può essere diviso, la giurisprudenza ha affermato
che, ferma restando la divisibilità per natura e quella per legge, la ≠ tra la
parte e tutto deve essere una ≠ quantitativa e non qualitativa (un kg di farina
e un etto di farina differiscono solo per la quantità, mentre una macchina e un
kg di lamiera della stessa sono qualitativamente ≠). NB l’indivisibilità opera
anche nei confronti degli eredi: con più coeredi che devono adempiere ad una
obb. indivisibile il creditore dell’eredità ha il diritto di esigere l’intero
da ciascun erede. I problemi sorgono, sempre nell’ambito di prestazioni
indivisibili, quando esistono più condeb. o concre., per cui ciascun condeb.
(vedi l’es. di prima degli eredi) è tenuto a prestare l’intero e ciascun concre.
ha il diritto ad ottenere l’intero.
Se invece la prestazione, oggetto
dell’obb., ha come oggetto un bene DIVISIBILE, posto che anche qui non sorgono
problemi ove vi sia un solo deb. e un solo cre., i problemi sorgono nelle obb.
soggettivamente complesse, nelle quali coesistono più condeb. e/o più concre.. L’obb.
divisibile è, o dovrebbe essere, parziaria, ossia ciascun condeb. sarà
obbligato solo a dare la sua quota parte, e ciascun concre. potrà pretendere
solo la sua quota parte. Tuttavia il nostro ordinamento introduce un meccanismo
presuntivo (presunzione iuris tantum)
di solidarietà passiva, appunto, tra i condebitori: si presume che, esistendo
più condebitori, vi sia solidarietà passiva. Nel silenzio (cioè se non
diversamente disposto) ciascun creditore o il solo creditore potrà pretendere
l’intero da ciascun condebitore anche se l’obbligazione è divisibile. Quindi
nell’ambito delle obb. divisibili il rapporto tra obb. parziaria e solidale
passiva (dal lato del deb.) è il seguente: l’obb. solidale è la regola, l’obb.
parziaria è l’eccezione. Viceversa la solidarietà attiva (in presenza di più
creditori) la solidarietà tra concre. non si presume mai: salvo che non sia
espressamente previsto il contrario, l’obb. divisibile è parziaria tra concre.
(il concreditore può pretendere solo la sua quota: ipotesi legali di
solidarietà attiva è es. il contratto di conto corrente bancario dove i coniugi
possono, come creditori, distintamente prelevare, anche prosciugando il conto,
non potendo invece singolarmente estinguere il detto conto in quanto il
contratto, nato come plurilaterale, potrà essere sciolto solo con un contrarius actus in cui siano presenti
tutte le parti originarie). Ma quale è la ragione per cui la solidarietà
passiva si presume sempre, mentre la solidarietà attiva non si presume mai ?
Perché la solidarietà passiva, nell’obb. divisibili, è uno strumento di
rafforzamento della garanzia patrimoniale (come se il creditore potesse contare
sui patrimoni di tutti di condebitori).
NB regna grande confusione tra
l’indivisibilità della prestazione e la solidarietà: l’indivisibilità attiene
alla prestazione, la solidarietà attiene ai soggetti. Gli effetti sono però i
medesimi perché nelle prestazioni indivisibili se si hanno tanti debitori,
ciascun deb. non potrà che adempiere alla richiesta del cre.; lo stesso
nell’obb. solidali (con solidarietà passiva e se non previsto diversamente) per
cui ciascun condebitore dovrà dare l’intero. Il problema nasce dal fatto che
l’indivisibilità viene prima della solidarietà: non ha senso parlare di obb.
solidali con riferimento a prestazioni indivisibili perché è il più che
contiene il meno, cioè non interessa se sia solidale perché se la prestazione è
indivisibile è solidale per forza.
Il rapporto tra l’indivisibilità e la solidarietà è il seguente: l’indivisibilità (in presenza di situazioni soggettivamente complesse) della prestazione è un prius rispetto alla solidarietà passiva che è un posterius, ossia l’indivisibilità della prestazione viene prima della solidarietà dell’obb., perché solidale non è la prestazione ma solidale è l’obb., mentre indivisibile è la prestazione. Se ciò è vero (come lo è) che la prestazione è indivisibile, il problema dell’eventuale solidarietà passiva in una prestazione indivisibile è un problema che non si pone neppure; va da sé che gli effetti siano i medesimi, in quanto prevale la disciplina naturalistica (in quanto prius) dell’indivisibilità della prestazione. Viceversa la solidarietà passiva viene in considerazione di fronte a prestazioni divisibili che potrebbero anche essere parziarie (anche con il temperamento della presunzione di solidarietà). Tra l’altro, a ben guardare, indivisibilità e solidarietà passiva in ordine agli effetti sono lievemente ≠ in quanto l’indivisibilità è ontologica, è strutturale dell’obb., mentre la solidarietà non è ontologica, ma è giuridica. Consegue da ciò che di fronte ad una obb. indivisibile, l’indivisibilità persiste anche nei confronti degli eredi, ma non la solidarietà: un obb. già solidale nei confronti degli eredi diventa parziaria per espressa previsione normativa (art. 1315 cc che fa da contrappunto all’art. 1295 cc).
Il rapporto tra l’indivisibilità e la solidarietà è il seguente: l’indivisibilità (in presenza di situazioni soggettivamente complesse) della prestazione è un prius rispetto alla solidarietà passiva che è un posterius, ossia l’indivisibilità della prestazione viene prima della solidarietà dell’obb., perché solidale non è la prestazione ma solidale è l’obb., mentre indivisibile è la prestazione. Se ciò è vero (come lo è) che la prestazione è indivisibile, il problema dell’eventuale solidarietà passiva in una prestazione indivisibile è un problema che non si pone neppure; va da sé che gli effetti siano i medesimi, in quanto prevale la disciplina naturalistica (in quanto prius) dell’indivisibilità della prestazione. Viceversa la solidarietà passiva viene in considerazione di fronte a prestazioni divisibili che potrebbero anche essere parziarie (anche con il temperamento della presunzione di solidarietà). Tra l’altro, a ben guardare, indivisibilità e solidarietà passiva in ordine agli effetti sono lievemente ≠ in quanto l’indivisibilità è ontologica, è strutturale dell’obb., mentre la solidarietà non è ontologica, ma è giuridica. Consegue da ciò che di fronte ad una obb. indivisibile, l’indivisibilità persiste anche nei confronti degli eredi, ma non la solidarietà: un obb. già solidale nei confronti degli eredi diventa parziaria per espressa previsione normativa (art. 1315 cc che fa da contrappunto all’art. 1295 cc).
LA SOLIDARIETÀ
È governata da una regola fondamentale
(sia per i condeb. -dove la sol. è la regola- sia tra concre. -dove la sol.
è l’eccezione-), per cui si comunicano i fatti favorevoli mentre non si
comunicano quelli sfavorevoli, cioè tutte le questioni giuridiche e fattuali
inerenti il singolo condeb. o concred., se favorevoli se ne giovano anche gli
altri, se sfavorevoli no. Es. costituzione in mora fatta dal cre. nei confronti
di uno solo dei condeb. solidali (solidarietà passiva): è effetto sfavorevole
perciò il cred. se ne potrà avvalere solo con riguardo al deb. “compulsato” (i.e.:
invitato a pagare) ma non nei confronti degli altri (ma v. infra). Ancora, costituzione in mora fatta da uno dei concre.
solidali (solidarietà attiva): è effetto favorevole e si estende agli altri
concre..
Ci sono però istituti particolari che fanno storia a sé rispetto alla citata regola generale (eff. favorevoli si comunicano, eff. sfavorevoli non si comunicano) e autonomamente disciplinati dal legislatore: es. sospensione e interruzione della prescrizione . La sospensione della prescrizione crea una parentesi nel decorso del termine prescrizionale nel senso che la prescrizione non ri-inizia a decorrere da zero ma al periodo già decorso si somma un nuovo periodo; poi il presupposto giuridico in materia di sosp. della prescrizione è che per tutto il periodo della sosp. risulta difficile o praticamente impossibile l’esercizio del diritto (es. c’è sosp. della prescrizione nei rapporti credito-debito tra coniugi; ancora c’è sosp. della prescrizione per effetto di sentenza della Corte Cost. nei rapporti debito-credito tra lavoratore subordinato e il datore di lavoro per tutto il corso del rapporto di lavoro se questo non è assistito da tutela reale). Ovviamente la sosp. giova al cre. e non al deb. così come l’interruzione. In materia di obb. solidali, se è vero (come è vero) che la parentesi che si apre con la sosp. nel decorso del termine prescrizionale è strettamente legata ad un rapporto particolare personale tra deb. e cre., la sosp. della prescrizione non sarà mai estensibile, né in bonam partem né in malam partem, perché varrà solo tra quel cre. e quel deb. che si trovano in quella data situazione. Circa l’interruzione della prescrizione (dove ri-inizia a decorrere un nuovo termine prescrizionale) la forma tipica di interr. è la costituzione in mora, ma a ≠ della costituzione in mora prima detta, l’interr. della prescrizione nelle obb. solidali vale a favore o contro tutti (si estende sia in bonam partem che in malam partem): segue la regola tra concreditori (perché giova) mentre è una eccezione tra i condebitori (perché è sfavorevole: è eccezione alla regola fondamentale per cui gli effetti sfavorevoli non si estendono a tutti v. supra). Con ciò il legislatore ha voluto far prevalere la disciplina della prescrizione su quella della solidarietà (questa ultima essendo una sovrastruttura -abbiamo detto prima che non è ontologica, ma giuridica- ne viene preferita la natura della prescrizione).
Ci sono però istituti particolari che fanno storia a sé rispetto alla citata regola generale (eff. favorevoli si comunicano, eff. sfavorevoli non si comunicano) e autonomamente disciplinati dal legislatore: es. sospensione e interruzione della prescrizione . La sospensione della prescrizione crea una parentesi nel decorso del termine prescrizionale nel senso che la prescrizione non ri-inizia a decorrere da zero ma al periodo già decorso si somma un nuovo periodo; poi il presupposto giuridico in materia di sosp. della prescrizione è che per tutto il periodo della sosp. risulta difficile o praticamente impossibile l’esercizio del diritto (es. c’è sosp. della prescrizione nei rapporti credito-debito tra coniugi; ancora c’è sosp. della prescrizione per effetto di sentenza della Corte Cost. nei rapporti debito-credito tra lavoratore subordinato e il datore di lavoro per tutto il corso del rapporto di lavoro se questo non è assistito da tutela reale). Ovviamente la sosp. giova al cre. e non al deb. così come l’interruzione. In materia di obb. solidali, se è vero (come è vero) che la parentesi che si apre con la sosp. nel decorso del termine prescrizionale è strettamente legata ad un rapporto particolare personale tra deb. e cre., la sosp. della prescrizione non sarà mai estensibile, né in bonam partem né in malam partem, perché varrà solo tra quel cre. e quel deb. che si trovano in quella data situazione. Circa l’interruzione della prescrizione (dove ri-inizia a decorrere un nuovo termine prescrizionale) la forma tipica di interr. è la costituzione in mora, ma a ≠ della costituzione in mora prima detta, l’interr. della prescrizione nelle obb. solidali vale a favore o contro tutti (si estende sia in bonam partem che in malam partem): segue la regola tra concreditori (perché giova) mentre è una eccezione tra i condebitori (perché è sfavorevole: è eccezione alla regola fondamentale per cui gli effetti sfavorevoli non si estendono a tutti v. supra). Con ciò il legislatore ha voluto far prevalere la disciplina della prescrizione su quella della solidarietà (questa ultima essendo una sovrastruttura -abbiamo detto prima che non è ontologica, ma giuridica- ne viene preferita la natura della prescrizione).
Trattiamo ora delle conseguenze
che derivano dall’adempimento liberatorio (per tutti) da parte del deb.
compulsato che paga l’intero. Sotto tale profilo non è ipotizzabile, anzitutto,
un difetto di legittimazione passiva in un eventuale giudizio quando la domanda
giudiziale è dal cre. rivolta solo ad uno dei condeb. solidali in quanto deve
l’intero (solve et repete),
altrimenti finisce lo scopo della solidarietà. Una volta che il condeb. paga
l’intero sorge per lui una duplice posizione alternativa, per cui può
avvalersi della c.d. azione di regresso contro gli altri condeb. (art. 1299 cc)
o, appunto in alternativa, può avvalersi della surroga legale (art. 1203 n. 3
cc) -NB si chiama volgarmente azione di surroga, ma non è, in materia
civilistica, un’azione, come es. lo può essere in materia lavoristica, ma è una
surroga legale-. Vediamole:
-
REGRESSO: il deb che paga l’intero può agire nei
confronti di tutti gli altri condeb. solidali ciascuno pro-quota (cioè il
regresso è sempre parziario, non per l’intero). NB dal lato processuale,
l’azione di regresso può essere cumulata nello stesso processo nel quale il
cre. chiede il pagamento all’obbligato in solido ? L’opinione maggioritaria è
nel senso negativo in quanto il presupposto del regresso è il pagamento: non si
può fare una chiamata in garanzia, una chiamata in causa e fare un regresso secundum eventus litis (se sono
condannato faccio regresso e se non sono condannato non lo faccio: non è
possibile, ma devo fare un autonomo giudizio). Occorre anche che il deb. (che
ha pagato l’intero al cre.) abbia pagato bene, cioè cha alla data del pagamento
non vi fossero eccezioni comuni (non personali) a tutti i condeb. che il deb.
avrebbe potuto e dovuto opporre al cre., tali eccezioni paralizzando la pretesa
di questo ultimo (es. il deb. che deve pagare è a conoscenza che il pagamento è
stato gia effettuato da altri, oppure che il pagamento è prescritto, o ancora
che c’è un controcredito in compensazione: in tali casi il mancato rilievo di
queste eccezioni comuni paralizzano il regresso). L’azione di regresso è
autonoma, separata e distinta rispetto all’obb. originaria: la causa petendi trae origine dal pagamento
fatto dal condeb. solidale. Perciò chi agisce in via di regresso non può
avvalersi delle garanzie reali o personali date all’inizio del rapporto obb. da
lui o da altri condeb. perché è azione autonoma, non è successione a titolo
particolare nel credito. NB perciò principio cardine della solidarietà passiva
se ne deduce è che la solidarietà passiva opera solo verso l’esterno e non
verso l’interno (opera solo tra i condeb. e il cre. mentre tra gli stessi
condeb. l’obb. resta sempre parziaria). Il regresso si prescrive in 10 anni
dalla data dell’avvenuto pagamento.
-
SURROGA: il cc conosce delle particolari figure
denominate pagamento con surrogazione, tutte testuali e tassative ex artt.
1201, 1202 e 1203 cc: tutte ipotesi nelle quali malgrado sia avvenuto il pagamento,
l’adempimento, l’obbligazione stessa non si estingue (perciò occorre la
previsione di legge) ma prosegue, di modo che chi paga si sostituisce, si
surroga all’originario creditore. Art. 1201 cc surroga per volontà del cre.
(c.d. surroga per quietanza); art. 1202 cc surroga per volontà del deb. (c.d.
surroga per imprestito: tipica surroga nel contratto di mutuo); art. 1203 cc
surroga per volontà della legge (c.d. surroga legale) nel senso che il deb.
coobbligato in solido, pagando l’intero, salvo che non esperisca il regresso,
si surroga al creditore, andando ad occupare la posizione di questo ultimo nei
confronti degli altri condeb.: l’obb. non si estingue (perché lo dice la legge).
NB ≠ con il regresso: lì si estingue l’obb. nella surroga non si estingue;
ancora nella prima il deb. che agisce in via di regresso, perde le garanzie (si
è detto) e può chiedere agli altri deb. solidali il pagamento del capitale,
degli interessi (da quando lui ha pagato a quando gli altri lo hanno
rimborsato) e il pagamento, la rifusione, di eventuali spese, cosa che non c’è
nella surroga dove il deb., andando ad occupare la posizione del cre., non
potrà pretendere se non ciò che il cre. poteva pretendere loro ed eccependo
solo le eccezioni inerenti il rapporto di valuta.
Tornando alla prestazione [B) vedi il 7° appuntamento],
all’oggetto dell’obb. come punto di partenza, si distinguono anche qui obb.
oggettivamente (cioè intese all’oggetto) complesse ed obb. oggettivamente semplici
(NB nelle obb. il semplice o il complesso deve essere sempre aggettivato: obb.
oggettivamente/soggettivamente semplici/complesse). Queste ultime si connotano
per il fatto che la prestazione dedotta nello iuris vinculum (i.v.) è unica e il deb. di conseguenza è liberato
effettuando la prestazione dedotta. Le obb. oggettivamente complesse sono obb. nelle
quali siano dedotte più prestazioni separate e distinte nello i.v.. Qui l’obb
può essere di 3 tipi:
1-
CUMULATIVA: qui il deb. per potersi liberare deve
eseguire tutte le prestazioni dedotte nello i.v. nessuna esclusa.
2-
ALTERNATIVA: qui si hanno più prestazioni nello i.v. ma
una sola prestazione è dedotta nell’adempimento: il deb si libera eseguendo a
sua scelta una qualsiasi delle prestazioni dedotte nella i.v.. Il regime delle
obb. alternative funziona così: salvo diversamente pattuito la scelta di quale
prestazione eseguire spetta al deb. il quale se no la effettua (la scelta)
questa può essere fatta o dal cre. o, se pattuito, rimessa la giudice. Prima
della scelta la sopravvenuta impossibilità non imputabile di una delle
prestazioni non libera il debitore che resterà obb. ad adempiere all’altra o
altre prestazioni. Viceversa, una volta avvenuta la scelta (c.d. concentrazione
dell’obb.) di modo che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione sulla
quale è avvenuta tale scelta (sempre se non imputabile) ha effetto liberatorio.
Es. normative di obb. alternative (NB non si tratta di obb. alternativa in
materia di inadempimento la scelta tra l’agire per il mantenimento del
contratto con il risarcimento del danno o per la risoluzione del contratto con
il risarcimento del danno: è una alternativa ma non è una obb. alternativa) è
l’adempimento agli obblighi alimentari (art. 433 cc): i soggetti tenuti agli alimenti
(primo della lista è il donatario) possono a scelta o corrispondere
all’alimentando una rendita periodica oppure tenerlo presso di sé ed accudirlo
per tutte le esigenze minimali di vita. NB per l’ipotesi di colpa di una delle
parti la relativa disciplina è dettata ex art. 1289 cc.
3-
FACOLTATIVA: quando la prestazione è unica, sia quella
dedotta dallo i.v. sia quella alla quale si deve dare esecuzione. Tuttavia il
deb., per accordo iniziale con il cre., si riserva la facoltà di adempiere
effettuando una prestazione diversa da quella originariamente pattuita.
L’impossibilità sopravvenuta non imputabile della prestazione principale ha
sempre effetto liberatorio; mentre per la prestazione facoltativa ? Non ha
rilevanza rimanendo ancora obbligato ad eseguire la prestazione principale. Es.
normativo è il c.d. ius commutationis
ex art. 537 III co cc: è l’ipotesi in cui chiamati all’eredità siano
contestualmente figli legittimi e naturali riconosciuti e i figli legittimi, se
non c’è opposizione (lo ius commutationis
non è un diritto potestativo: altrimenti sarebbe incostituzionale) da parte dei
figli naturali, possono estrometterli dall’asse ereditario liquidandogli la
loro quota. Ma quale è la ≠ tra obb. facoltativa e datio in solutum ? Questa ultima è la prestazione diversa da quella
dovuta inizialmente, con capacità estintiva del rapporto obb.: è possibile con
il consenso del cre. che il deb. si liberi dando una cosa diversa (un aliud pro alio) da quella pattuita, ma
ciò solo nella fase adempitiva (tecnicamente in executivis: all’atto dell’adempimento) non è un accordo
preliminare, ma il cre. accetta obtorto
collo una cosa diversa da quella pattuita, mentre nella obb. facoltativa
c’era una riserva nella possibilità di eseguire una prestazione (quella
facoltativa) diversa dalla principale. Secondo la migliore dottrina, la datio in solutum (come natura giuridica)
è un contratto solutorio reale (ci vuole la datio
rei). Ma la datio in solutum è una novazione oggettiva ? No perché (dice il
Trabucchi che la ≠ tra novazione oggettiva e datio in solutum è la seguente: con la datio si dà, mentre nella novazione oggettiva si promette) con la datio si estingue il rapporto e basta,
mentre con la novazione si ha contestualmente all’estinzione anche la
costituzione di una nuova obb.
°°°
9.6.2012 (7° appuntamento) (segue dal 2.6.2012)
IL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Il nostro ordinamento conosce l’endiadi
d. soggettivi relativi/obblighi nel senso che all'interno del d. sogg. (che è il prototipo
della posizione di vantaggio nel d. civile) si può distinguere tra
il d. sogg. assoluto e d. sogg. relativo; altrettanto noto è che di fronte ad
un d. assoluto (es. i d. reali o della personalità) si colloca dal lato passivo
una situazione di dovere giuridico (o dovere generico) per evidenziarne due
requisiti: 1) la negatività di contenuto (tale dovere consiste in un non facere ossia nel non frapporre
ostacoli al libero esercizio di godimento della situazione tra soggetto e bene -c.d. situazione finale, che si soddisfa di per sé senza bisogno di collaborazione
altrui-); 2) la generalità di soggetti cui fa capo (il dovere giuridico opera erga omnes). Per contro di fronte ad un
d. soggettivo relativo si colloca non un dovere giuridico, ma una situazione
soggettiva definita di obbligo, che dà luogo ad una situazione strumentale,
tale che si soddisfa solo con la collaborazione altrui: per tale ragione
l’obbligo si connota per due requisiti: I) la positività di contenuto (in un
dare, in un fare o non fare -qui di contenuto positivo-); II) specificità del
soggetto cui fa capo (l’obbligo opera inter
partes e non erga omnes).
Da ciò
si evince la nozione giuridica di obbligazione (obb.) intesa come rapporto
particolare che lega due soggetti, uno dei quali detto debitore, è tenuto ad
eseguire una data prestazione a vantaggio di un altro soggetto detto creditore
che ha il corrispondente diritto di esigerla.
Gli elementi di struttura del
rapporto obbligatorio sono 3: A) i soggetti; B) la prestazione; C) il vincolo
giuridico (iuris vinculum: i.v.) che
costituisce l’elemento di unione dei soggetti e della prestazione.
A) I SOGGETTI
Devono essere almeno due,
creditore (cre.) e debitore (deb.), determinati o almeno determinabili.
Tuttavia una dottrina (minoritaria: Giorgianni) sostiene che deb. e cre.
debbano essere determinati fino dall’inizio e in difetto non sorge un rapporto
obbligatorio; in proposito viene utilizzata l’esemplificazione della promessa
al pubblico, art. 1989 cc (una delle tipiche promesse unilaterali -tipiche
perché le promesse unilaterali sono tipizzate: le altre sono la promessa di
pagamento e la ricognizione di debito-), in cui l’obbligo alla ricompensa
sorge solo quando la prestazione richiesta sia adempiuta (es. ritrovamento
avvenuto del cane smarrito). Viceversa la norma riferisce il sorgere dello i.v. ad un
momento anteriore (es. rispetto al ritrovamento), ossia quello in cui la
promessa al pubblico è esternata. Tale concezione di Giorgianni ha poi
consentito ad altra dottrina (Bigliatti-Geri) la controversa e dubbia figura
dell’interesse legittimo di diritto privato (tale interesse coprirebbe il
periodo che va dal momento in cui la promessa è resa pubblica fino al
ritrovamento: tutti i potenziali ritrovatori avrebbero un interesse e pretesa
al corretto esercizio -secondo correttezza e buona fede- del potere di
scelta, es. dell’animale da ritrovare. NB tale concetto di int. leg. di d.
privato non trova tutela giurisdizionale, conoscendo il giudice di d. sogg. o
int. leg. di d. pubblico).
Nondimeno esistono rapporti
obbligatori nei quali di volta in volta cre. e deb. sono determinabili per relationem rispetto, di regola, alla
loro titolarità di altro diritto reale. In materia la dottrina parla di obb.
ambulatorie (attiva o passiva a seconda che sia dal lato del cre. o dal lato
del deb.).
Con riferimento alle OBB.
AMBULATORIE DAL LATO PASSIVO (dal lato del soggetto deb.) l’ordinamento
individua l’obbligato alla stregua della titolarità di un dato diritto per lo
più reale (es. il proprietario del muro posto sul confine tra due fondi
contigui è obbligato alla manutenzione ordinaria e alle riparazioni
straordinarie al pari dell’altro proprietario, con la conseguenza che chiunque
subentri nella titolarità del fondo diviene automaticamente obbligato ad
eseguire le su estese riparazioni -ma limitatamente a quelle future, non anche
per quelle passate-). Notevole interesse ha suscitato, in tale materia, la
tematica dei c.d. oneri condominiali. Questi si collocano nell’ambito del
condominio degli edifici (art. 1117 ss. c.c.) che è di origine germanistica e che
ha struttura composita: ossia si affianca, ad una comunione necessaria ed
indivisibile nelle parti comuni dell’edificio per tutti i condomini, un
proprietà separata e isolata delle singole porzioni di piano. Consegue perciò
che qualsiasi atto avente ad oggetto la cosa di proprietà separata, incide ipso iure, sulle parti comuni
dell’edificio; la disciplina di queste ultime può essere contenuta in un
regolamento (approvato a maggioranza qualificata dell’assemblea di convocazione
straordinaria ed obbligatorio per condominio con più di 10 appartamenti), che può
essere autonomamente trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari
ai fini dell’opponibilità dei terzi subacquirenti. Anche per gli oneri
condominiali vale la regola della sequela nel senso che gravano sui successivi
subacquirenti dell’unità immobiliare. Tuttavia dal combinato disposto degli
art. 63 e 64 delle disp. att. cc si desume che ciascun sub-acquirente è tenuto
non solo al pagamento degli oneri maturandi, ma anche di quelli già maturati e
non pagati dall’alienante con il limite dell’anno in corso e di quello
precedente. Inoltre, sempre dalle medesime norme, si ricava che il condominio
in persona dell’amministratore in carica p.t. è legittimato a chiedere ed
ottenere dai singoli condomini il pagamento degli oneri anche servendosi del
procedimento per D.I. che, per la fattispecie, è provvisoriamente esecutivo ex lege (NB).
E nell’ambito delle obb.
ambulatorie dal lato passivo sorge il problema di operare la distinzione tra obbligationes propter rem e oneri reali.
Secondo la dottrina prevalente il distinguo tra i due istituti va individuato a
seconda che obbligata sia la persona (obbligationes
propter rem) oppure obbligata sia la cosa (oneri reali). Su questa base
l’onere reale grava sulla cosa per intero (presente, passato e futuro) a
prescindere dall’attuale titolarità della cosa. Viceversa nelle obbligationes propter rem il vincolo
riguarda solo le obb. maturate in epoca successiva al trasferimento della
titolarità del bene, mentre per quelle pregresse resta vincolato il deb.
originario. Es. di onere reale concerne l’enfieteusi, e in particolare
l’ipotesi di successione di un nuovo enfiteuta a quello originario: in tal caso
il c.c. espressamente prevede che i canoni non pagati dal 1° enfiteuta
(originario) restano per intero a carico dell’enfiteuta cessionario (obbligato
in solido con il cedente). E alla domanda se gli oneri condominiali siano una
obb. propter rem o un onere reale si
può rispondere che sono entrambi in quanto per l’anno in corso e per l’anno
immediatamente precedente sono oneri reali (dovendo rispondere per gli onere
pregressi e non pagati), mentre saranno obb.
propter rem relativamente agli oneri ancora precedenti.
Con riferimento alle OBB.
AMBULATORIE DAL LATO ATTIVO (dal lato del soggetto cre.), l’ipotesi più
significativa è la promessa al pubblico (art. 1989 c.c.).
B) LA PRESTAZIONE
La prestazione si caratterizza
come elemento di struttura del rapporto obb. e può essere variamente
classificata; una prima tripartizione è quella:
i) di dare,
ii) di fare,
iii)
non fare.
È opportuno soffermarsi su alcuni concetti.
Anzitutto la prestazione di dare può avere, a sua volta, un
duplice significato: in una prima accezione “dare” può intendersi come
“consegnare” e dunque il dare, sotto tale profilo, opera sul solo piano del
trasferimento del possesso o detenzione (es. nella compravendita la consegna
materiale della cosa opera solo sul piano possessorio in quanto la proprietà è
già trasferita alla stregua del principio consensualistico ex art. 1376 c.c.);
inoltre “dare” può anche essere preso in considerazione come “momento
perfezionativo del contratto” come ad es. nei contratti reali nei quali la datio rei -oltre al consenso- è
elemento perfezionativo del consenso (es. deposito, comodato, pegno, mutuo). In
materia occorre segnalare la regola civilistica in base alla quale res perit domino (la cosa perisce in
danno del proprietario), con la conseguenza che fin tanto che non si è
perfezionato l’atto traslativo, il rischio di perimento resta a carico
dell’alienante. Tuttavia a questa regola fa eccezione la vendita con patto di
riservato dominio (con riserva di proprietà, c.d. vendita a rate), nella quale
il passaggio della proprietà avviene solo con il pagamento dell’ultima rata,
mentre il godimento della cosa ed il connesso rischio di perimento della stessa
si trasferisce a carico dell’acquirente, anche nelle more, ossia pur non
essendo ancora proprietario. L’obb. di dare assume poi una particolare
connotazione nel senso di “restituire”, nelle obb. restitutorie, come ad es.
nel deposito o nel comodato, dove il depositario ed il comodatario sono
obbligati a restituire la cosa alla controparte e rispondono dell’impossibilità
sopravvenuta di restituzione (dovendo risarcire il danno) salvo che non provino
(positivamente) il fortuito (ossia caso fortuito, forza maggiore, factum principis o fatto del terzo), altrimenti
l’impossibilità sopravvenuta, a prescindere dallo stato soggettivo (di dolo o
colpa), è a carico del depositario o comodatario: NB tale responsabilità nelle
obb. restitutorie tecnicamente si chiama responsabilità ex recepto (v. infra).
Circa la prestazione di fare viene in considerazione la summa divisio tra obb. di mezzi e obb.
di risultato. Distinzione che ha avuto in dottrina alterne vicende al punto da
essere ritenuta superflua e in ogni caso fine a se stessa nel senso che ogni
obb. di mezzi è anche obb. di risultato e viceversa (Gazzoni). Tuttavia ad un
più attento esame la citata distinzione conserva tuttora un notevole significato
normativo. In particolare nelle obb. di mezzi l’interesse del cre. si soddisfa
tramite l’attività posta in essere dal deb. quale che sia il risultato
conseguito o conseguibile; viceversa nelle obb. di risultato l’interesse del
cre. si soddisfa solo con il conseguimento di un dato risultato (es. promessa
del fatto del terzo 1381 c.c., vendita di cosa altrui art. 1478 c.c.). NB per
valorizzare la distinzione occorre descriverla secondo la prospettiva del cre.
non del deb.:
a) OBB. DI MEZZI dove solo il comportamento qualificato del deb.
appaga il cre., indipendentemente dal fatto che l’attività sia prodromica ad un
successivo risultato;
b) OBB. DI RISULTATO dove solo con il conseguimento del
risultato si ha il soddisfacimento del cre..
La detta distinzione è importante
sul piano della distribuzione della resp. contrattuale: in b) l’obbligato è
resp. sic et simpliciter per non aver
conseguito il risultato a prescindere dalla sua diligenza o negligenza
adempitiva; di conseguenza l’obbligato non sarà esonerato da resp. provando la
propria diligenza ma solo con la prova positiva (del caso fortuito, forza
maggiore, factum principis o fatto
del terzo) per cui il risultato è mancato per causa a lui non imputabile. In a)
nell’obb. di mezzi il deb. deve provare di aver tenuto un comportamento
ispirato alle regole di correttezza e buona fede contrattuale (artt. 1175 e
1375 c.c.) per poter andare esente da resp. restando estraneo al rapporto
obbligatorio il conseguimento o meno di un qualsivoglia risultato. In determinate
attività (es. le libere professioni intellettuali) l’art. 2236 c.c. limita la
resp. del professionista, che debba affrontare problemi di particolare
complessità, alla sussistenza del solo dolo o colpa grave. Perciò il criterio
di imputazione della resp. nelle obb. di risultato è un criterio oggettivo o
soggettivo ? È oggettivo, mentre in quello di mezzi è soggettivo. E ciò a fronte
della resp. extracontrattuale imperniata complessivamente su un criterio di
imputazione di tipo soggettivo.
NB nella prestazione di dare intesa come
“restituire” (es. il comodato) si ha una obb. di mezzi e non c’è una obb. di
risultato, eppure il criterio di imputazione della resp. è come quello delle
obb. di risultato, ossia un criterio oggettivo, perciò la dottrina le ha
definite come una determinata forma di resp. quale quella, appunto, ex recepto (letteralmente dalla
ricezione deriva la resp.).
°°°
2.6.2012 (6° appuntamento) (segue dal 26.5.2012)
Un con. può produrre effetti
(diretti e/o riflessi) ultra vires,
cioè anche nei confronti di soggetti diversi dai contraenti?
In proposito soccorre l’art. 1372
cc per cui si afferma solennemente al I co. che “il contratto ha forza di legge
tra le parti” soggiungendo inoltre al II co. che può produrre anche “effetto
rispetto ai terzi” nei soli casi tassativi previsti dalla legge. Il I co.
afferma perciò il principio civilistico (che a sua volta si incardina nel
principio romanistico res inter alios acta neque prodest neque nocet) dell’intangibilità
delle sfere giuridiche private (sia in bonam
partem: ossia in senso accrescitivo del patrimonio altrui; sia in malam partem: ossia in senso diminutivo
del patrimonio altrui). Posto che la legge deve individuare i casi in cui il
con. può produrre effetto (per adesso diretti; vedremo poi quelli riflessi)
verso i terzi, la dottrina si è interrogata nell’operare la migliore
classificazione possibile, più efficace. La classificazione preferibile
(Rescigno) è tra a) eff. favorevoli b) eff. sfavorevoli.
a) EFF. DIRETTI FAVOREVOLI: qui
si colloca un istituto di portata generale del cc, il con. a favore di terzi ex
art. 1411 ss. cc, il quale prevede che un soggetto terzo (c.d. beneficiario),
che non è, né diventa, parte contrattuale, si pone come destinatario di eff.
favorevoli di un accordo tra altri soggetti e segnatamente il promittente e lo
stipulante laddove questo ultimo si obbliga ad eseguire una prestazione a
vantaggio del beneficiario. In tale norma si richiede espressamente che il 3°
beneficiario della prestazione, affinché questa possa produrre i propri
effetti, debba aderire alla conventio
inter alios: su tenore testuale della norma della necessità di adesione
all’accordo si è discusso nel senso che, se il 3° deve aderire, per il
solo fatto dell’adesione dovrebbe diventare parte; ma tale soluzione non può
essere accolta in quanto vanificherebbe il contenuto precettivo della stessa
norma. Si è cercato, allora, di dare un altro significato al concetto di
adesione del 3°: l’adesione non è requisito di eff. né condizione di
esigibilità della prestazione, ma è un momento di completamento (perciò non di perfezionamento)
della fattispecie rendendo irrevocabile l’accordo tra le parti originarie. All’art.
1411 cc sono riconducibili talune ipotesi applicative (es. artt. 1689, 1875,
1920, 1273 cc) tra cui spicca l’accollo (art. 1273) quale vicenda modificativa
del rapporto obbligatorio dal lato passivo.
Le 3 principali vicende
modificative del rapporto
obbligatorio dal lato passivo sono la delegazione, l’espromissione e l’accollo.
Questi istituti (artt.1268-1276 cc.) possono avere diverse modalità di
funzionamento. Funzionamento cumulativo, nel senso che si aggiunge al debitore
originale un nuovo debitore e ne risponde solidalmente, nell’espromissione e
accollo, mentre nella delegazione il creditore deve prima chiedere il pagamento
al delegato e poi al delegante. Queste vicende modificative possono avere una
funzione ed una modalità di attuazione liberatoria (liberazione del debitore
originario) con l’aggiunta al debitore originario di un nuovo debitore. Tale
modalità liberatoria può essere consentita attraverso due diversi strumenti: 1)
privativo o cessione particolare di
debito; 2) novativo o novazione
successiva passiva. È importante questa distinzione in quanto nell’ipotesi di
delegazione privativa avremo una cessione particolare del debito di modo che il
rapporto obbligatorio resta sempre quello (onde l’eventuale termine
prescrizionale continua a decorrere e non è interrotto dall’ingresso di un
nuovo debitore). Invece con lo strumento novativo nasce un rapporto nuovo che
coinvolge il precedente (e avremo conseguenze es. relativamente al termine
prescrizionale). Se tutto ciò è vero la novazione successiva passiva la
troveremo solo nella delegazione e nell’espromissione: l’accollo novativo non è
configurabile (vedi infra).
La delegazione
Si distingue tra delegazione di
pagamento (delegatio solvendi causa) e la delegatio promittendi causa.
Anche tale distinzione è importante poiché nella delega di pagamento (quella
che si fa in banca o alla posta per il pagamento di tasse e imposte) il
delegato è solo delegato al pagamento, non assume l’adempimento di una
obbligazione, anche se poi il pagamento adempie il suo obbligo con il
delegante, ma ciò non importa perché importa solo che sia chiamato ad eseguire
quel pagamento. Il delegato quando andrà a pagare potrà opporre (es. l’avvenuto
pagamento ecc.) ciò che è relativo al rapporto di provvista, ma non potrà
opporre ciò che è relativo al rapporto di valuta, ossia al rapporto originario.
Viceversa nella promittendi causa il delegato non è chiamato a pagare,
ma è chiamato ad assumere l’adempimento di una obbligazione altrui: perciò non
solo potrà opporre al creditore originario le eccezioni a lui personali, ma
anche tutte quelle eccezioni che avrebbe potuto opporre il deb. originario (es.
rescindibilità, risolubilità ecc.). Tale distinzione si collega con la
distinzione ulteriore tra delegazione pura o astratta e delegazione causale:
distinzione che non ha un diretto riscontro normativo ma dottrinale. È
delegazione pura quella in cui si raggiunge l’accordo di delegazione
prescindendo da accordi sottostanti: non è altro che una delega di pagamento. A
fronte della delegazione astratta abbiamo la delegazione causale dove viene evocato
il rapporto causale e a cui corrisponde la delegazione promittendi causa.
Ma è da riscontrare che anche nella delegazione promittendi causa c’è
sempre una pur parziale astrazione causale: in tale delegazione causale, dove
io delegato voglio riversare il rapporto obbligatorio sottostante, non posso
opporre al delegatario le eccezioni che avrei potuto opporre al mio creditore,
ossia al delegante, tuttalpiù posso opporre quella della valuta ma non quelle
della provvista. L’interesse da noi posto a tale istituto della delegazione
viene fuori non tanto e non solo come vicenda modificativa del rapporto
obbligatorio dal lato passivo: nella delegazione si è ritenuto di rilevare la
problematica dell’astrazione causale. C’è il quesito, che non trova risposta, se
negli ordinamenti sia configurabile un’attività negoziale caratterizzata da
astrazione causale. Nella delegazione abbiamo astrazione causale (è l’istituto
di punta dell’astrazione causale) relativamente al rapporto delegante-delegato.
Ci può essere anche nel rapporto di valuta un’astrazione causale? Si, in
riferimento alla delegazione astratta o nella delegazione di pagamento. Quindi
alla domanda: quali sono le diverse forme in cui si atteggia l’astrazione
causale nella delegazione? Sono due: a) un’astrazione causale totale, sia dal
rapporto di valuta che dal rapporto di provvista nella delegazione astratta o
comunque nella delegazione di pagamento; b) un’astrazione causale parziale, dal
solo rapporto di provvista, nella delegazione promittendi causa. La delegazione
è espressione del principio, riscontrabile nel nostro ordinamento,
dell’astrazione causale. C’è però un caso in cui l’estremo baluardo
dell’astrazione causale parziale (cioè limitato al rapporto di provvista) cade
al punto che il delegato può opporre al delegatario tutte le eccezioni, sia
quelle personali sia quelle inerenti alla valuta: non si ha astrazione causale
(la quale è la regola per lo meno nel rapporto di provvista mentre la mancanza
di astrazione è l’eccezione) nella “nullità della doppia causa”. L’art.1271 II
c. ultima parte cc., concede la possibilità al delegato di opporre al
delegatario ogni tipo di eccezione, comprese quelle inerenti al rapporto di
provvista, quando entrambi i rapporti, di valuta e di provvista, siano nulli
(es. mancanza di elementi essenziali per entrambi i rapporti). Ma NB non perché
i rapporti siano nulli in sé, ma perché la nullità del rapporto di valuta
comporti la nullità del rapporto di provvista che in tal senso non è nullo
propriamente in sé, ma la nullità è derivata dal rapporto di valuta: es. quando
tra la valuta e la provvista vi sia uno specifico rapporto. Ma perché è
importante domandarsi se l’astrazione causale ha diritto di cittadinanza nel
diritto civile? Perché ogni atto di attribuzione patrimoniale deve avere una
causa: ciò lo ricaviamo da numerose norme (artt.1321, 1324) che trattano del
contenuto “patrimoniale”. Ogni accordo tra due e più parti deve avere una
giustificazione causale: causa in senso oggettivo, soggettivo, causa astratta o
concreta. Deve essere l’indicazione causale. Non posso essere chiamato a dare
sine causa: ci deve essere una ragione giustificativa o giustificatrice, sia
nel tipico che nell’atipico. Prototipo tipico dell’astrazione causale sono i
titoli di credito dove vige il diritto cartolare: qui il rapporto sottostante
causale lo possono far valere solo traente e trattario, ossia i soggetti che
hanno contrattato e a cagione di quella contrattazione è sorto il titolo. Da
ultimo la differenza tra la delega di pagamento e il pagamento del terzo: in
entrambi i casi abbiamo l’assunzione dell’obbligo eseguire il pagamento. La
differenza si basa su una considerazione molto semplice: si adempie per ordine
nella delegazione, non così nell’adempimento del terzo.
L’espromissione
È un accordo tra il creditore ed
un terzo: questo terzo è un debitore soggetto diverso dal deb. originario.
L’espromissione, a differenza della delegazione che può essere solvendi causa e
promittendi causa, può essere solo promittendi causa: quindi qui
nell’espromissione si realizza sempre quel meccanismo di immissione del nuovo
deb. nell’originario rapporto obbligatorio. Il nuovo deb. potrà così opporre al
creditore, oltre le eccezioni a lui personali, tutte quelle che avrebbe potuto
opporgli il deb. originario (salvo alcune categorie di eccezioni normativamente
stabilite: es. per impossibilità sopravvenuta, eccezione di compensazione ed
altre. Il legislatore ha così stabilito). Quale adesso la differenza tra
l’espromissione e l’adempimento del terzo art.1180 cc.? Intanto abbiamo un
pagamento: il terzo adempie eseguendo un pagamento; viceversa
nell’espromissione il soggetto che promette, ossia il nuove deb. si obbliga ad
adempiere. Ex art.1180 cc. l’ordinamento prende in considerazione l’avvenuto
pagamento da parte del terzo, adempimento che il creditore non può rifiutare a
patto che non sia aliud pro alio (cosa diversa da quella pattuita) o sia
richiesta una prestazione intuitu personae e a meno che non ci sia opposizione
da parte dello stesso deb. originario. Ma l’opposizione del deb. originario
“facoltizza” il creditore a rifiutare il pagamento, ma non lo obbliga: nel
senso che se non siamo in presenza di prestazione intuitu personae e non c’è
opposizione del deb. originario il creditore deve accettare pena la mora
accipiendi. Il fatto adempimento è conseguenza dell’obbligazione da cui
scaturisce, ed è in tal senso un atto giuridico in senso stretto: devo poter
adempire pur non dovendo avere la capacità d’agire. Non così nell’adempimento
del terzo: qui il terzo che adempie non basta che abbia la capacità di
intendere e volere, occorre che abbia la capacità d’agire. Ciò si desume da
un’altra norma (l’art.1191 cc.) per cui il pagamento fatto dal “debitore
incapace” non è ripetibile a cagione della sua incapacità: ciò vuol dire che il
pagamento fatto da un “terzo incapace” è, invece, ripetibile. Da ultimo
l’adempimento del terzo, a differenza dell’adempimento tout court (che è un
atto giuridico in senso stretto per cui rileva solo la capacità d’agire), è un
atto negoziale: il terzo che adempie deve avere la capacità di intendere e
volere, e se risulta incapace di intendere e volere può ripetere ciò che ha
dato. Quindi mentre l’espromissione è un contratto, l’adempimento del terzo è
solo un adempimento. Conseguenza è che nell’espromissione l’obbligazione sorge,
nell’adempimento del terzo questa si estingue. Notiamo poi la differenza tra la
datio in solutum (art.1197 cc.) con l’espromissione: nella datio (prestazione in
luogo di adempimento) i soggetti rimangono gli stessi, non così
nell’espromissione. NB nella manualistica la datio in solutum viene richiamata
come “contratto solutorio reale”: solutorio perché è un accordo che è
finalizzato all’estinzione dell’obbligazione; ed ha una funzione solutoria reale
perché, come per i contratti reali, l’estinzione dell’obbligazione (che
consiste nel dare la cosa diversa da quella promessa) si ha solo con la
dazione. Tanto è vero che la norma successiva, l’art.1198 cc., trattando di
cessione del credito in luogo dell’adempimento, la datio del pagamento, ossia
la riscossione del credito, estingue l’obbligazione: è pro solvendo non pro
soluto. Da ultimo la differenza tra espromissione e fideiussione: si
assomigliano perché anche nella fideiussione c’è un accordo tra il creditore ed
un terzo garante ed in entrambi abbiamo solidarietà passiva, potendo il
creditore rivolgersi al garante o al garantito (nella fideiussione: salvo patto
contrario) e al deb. originario o al nuovo (nell’espromissione). L’elemento
distintivo consta del fatto che l’espromissione presuppone che vi sia
un’obbligazione rispetto alla quale il nuovo deb. si immette, perché assume
l’adempimento dell’obbligazione originaria: ciò è vero anche nella
fideiussione, ma in tale istituto è riscontrabile il riferimento alle
obbligazioni future. L’espromissione per obbligazione future sarebbe invece un
non senso: non ci si può immettere in un rapporto obbligatorio futuro come
avviene nella fideiussione.
L’accollo
L’accollo è
un accordo tra due debitori al quale non partecipa il creditore. Così come per
la delegazione è sintomatica l’astrazione causale, qui trattasi di una delle
principali ipotesi applicative, appunto, del contratto a favore di terzo ex
art. 1411 cc.. E si riscontra il momento in cui l’accollo è “interno”, ossia
resta all’interno nel rapporto deb. originario e nuovo deb., oppure “esterno”
se di tale accordo è stato edotto il creditore. L’accollo può essere di due
tipi: cumulativo o liberatorio, sempre per volontà dei contraenti. Sarà
cumulativo allorché il deb originario e il terzo (NB attenzione se il verbo
accollare si coniuga in forma riflessiva! A tal punto molti manuali suggeriscono
di ovviare al problema parlando di deb. originario e terzo debitore accollante)
restino coobbligati in solido nei confronti del creditore. È invece liberatorio
con la liberazione del deb. originario: ma quale è la forma con cui si libera
il deb. originario (e vedi supra)? È
successione a titolo particolare nel debito (il deb. accollante succede a
titolo particolare nel debito del deb. originario) c.d. “accollo privativo”? Oppure novazione soggettiva passiva (sulle
ceneri della precedente obbligazione ne nascerebbe una nuova uguale in ordine
al contenuto oggettivo ma diversa per il soggetto stipulante) c.d. accollo novativo. NB l’accollo novativo non
è configurabile: l’accollo è un accordo tra nuovo deb. e il deb. originale e
può essere solo privativo in quanto la novazione (regolata dal cc è quella
oggettiva: ma il discorso non cambiala sostanza) è, invece, un modo di
estinzione del rapporto obbligatorio quale accordo tra un creditore e un
debitore. L’accollo è sempre promittendi
causa, mai solvendi causa. NB
accollo ex lege è quello relativo alla cessione d’azienda art. 2112 cc.
b) EFF. DIRETTI SFAVOREVOLI. A
loro volta vengono distinti ulteriormente in: 1- con. sul patrimonio del terzo
(artt. 1478 cc – vendita di cosa altrui: es. di scuola di obbligazione di
risultato –, 2822 cc – ipoteca su beni altrui –); 2- con. a carico del terzo
(art. 1381 cc – promessa del fatto del terzo: altro es. di obbligazione di
risultato. Porta ad indennizzo quale debito di valuta e, in eventuale aggiunta, porterebbe al risarcimento del
danno da resp. precontrattuale se viene commesso un illecito – ); 3- con. a
danno del terzo.
°°°
26.5.2012 (5° appuntamento) (segue dal 19.5.2012)
CONTRATTI IN GENERALE
Circa i requisiti del contratto:
perfezione, validità, efficacia. Diciamo che un atto valido non sempre è
efficace così come un atto invalido non sempre è anche inefficace. Verifichiamo
le ipotesi di
Atti validi ma
inefficaci:
a) inefficacia temporanea in
virtù di condizione sospensiva o termine iniziale;
b) difetto di legittimazione
disponendo un soggetto di un diritto altrui come il falsus procurator. Il cc
limita la responsabilità del f.p. ad una resp. precontrattuale per aver
contrattato in difetto di potere rappresentativo: unica conseguenza di un atto
valido ma inefficace avendo disposto di un diritto altrui. E' comunque soggetto
alla sanatoria della ratifica divenendo efficace nei confronti del dominus. Al
limite il f.p. può pagare i danni circa gli interessi negativi. Con altro atto
poi, il 3° e il f.p. possono porre nel nulla la loro precedente pattuizione
così vanificando la successiva ratifica. La ratifica NB riguarda solo il
difetto di legittimazione non i difetti soggettivi (es. l’incapacità).
c) gli atti risultanti
inopponibili: tutte ipotesi codificate relative al concorso o conflitto tra più
aventi causa verso un dante causa ossia quando uno stesso diritto è fatto
oggetto di più alienazione. In tal caso chi vincerà dipenderà dal diritto:
I- cessione del credito: contratto consensuale ad effetti
reali prevale colui che ha comunicato per primo o ha ricevuto per primo
l’accettazione (trasferisce il credito: la comunicazione e l’accettazione è un
problema di opponibilità ai terzi non anche una condizione di validità – il
contratto è già valido perché consensuale);
II- diritti personali di godimento (es. locazione) ≠ dai
diritti reali di godimento (es. l’usufrutto) quali ad effetti reali: es. tra
più conduttori prevale chi per primo si è immesso nel godimento del bene
legittimamente;
III- diritti reali immobiliari (es. proprietà): prevale chi
per primo ha trascritto ai fini dell’opponibilità al 3°;
IV-
in materia di possesso e trasferimento: prevale chi per
primo ha conseguito il possesso del bene in buona fede ( nel senso soggettivo:
ignorare di ledere un altrui diritto soggettivo).
d) effetti della azione
revocatoria: è mezzo tipico di conservazione della garanzia patrimoniale
assieme alla surrogatoria e al sequestro conservativo (NB quest’ultimo a ≠ dei
primi due non è mezzo ordinario ma segue le regole processuali ex art.669-bis
ss.).
NB il 700 si può fare SOLO se non c’è una misura cautelare
tipica: ergo non si può fare un 700 se nella opposizione a D.I. si sia
dimenticato di chiedere la sospensiva della esecutività del D.I. stesso.
Con l’accoglimento della domanda
revocatoria si dichiara l’inefficacia della alienazione: è una declaratoria di
inefficacia che permette l’esecuzione forzata per espropriazione contro il 3°
proprietario.
Atti invalidi ma efficaci: in generale gli atti
soggetti ad annullabilità potendo venir meno tramite l’azione di annullamento,
la sanatoria, la decadenza.
Relativamente alla autonomia
contrattuale la parte ha diverse libertà, ed in particolare:
[I] libertà di scelta del contraente: con il limite
dell’obbligo di contrarre trovandosi in situazioni di monopolio di impresa;
[II] libertà di contrarre: con il
limite pattizio quale il contratto preliminare (e l’opzione v. dopo).
Disattesa dalla giurisprudenza è
la costruzione operata da una autorevole dottrina che prende spunto dal diritto
romano: l’emptio avveniva infatti con l’obbligo a stipulare l’atto
tipico finale (ossia i 3 modi di trasmissione quali la traditio, la mancipatio
e l’in iure cessio). Il preliminare di oggi cioè imporrebbe l’obbligo di
stipulare: infatti l’art.2932 cc non è una deroga all’art.612 cpc (il quale
vieta che l’obbligo di fare infungibile possa essere eseguito in forma specifica).
Ma, si diceva, la giurisprudenza è di diverso avviso ritenendo che il
preliminare obbliga a prestare il futuro consenso. E l’art.2932 cc è
costitutivo-sostitutivo: il giudice pronuncia sentenza sostitutiva del
contratto.
Opzione/prelazione/preliminare:
Opzione è il contratto
con cui l’opzionario si obbliga dietro corrispettivo a tener fermo una certa
proposta contrattuale per un certo tempo facoltando la controparte ad aderivi:
l’opzione possiede già tutti gli elementi perfezionativi del contratto
necessitado solo l’adesione del beneficiario (è una proposta irrevocabile
ottenuta pattiziamente).
Prelazione se l’opzione ed
il preliminare appartengono ad [II], la prelazione appartiene ad [I] cioè si
riferisce alla scelta del contraente. Può essere:
a)
prel. convenzionale: ha solo effetti obbligatori
potendo ottenersi solo risarcimento danni se disattesa;
b) prel. legale: ha effetto reale per cui il prelazionario
pretermesso sarà in grado di recuperare il bene anche nei confronti del 3° in
buona fede.
LA CONSERVAZIONE DELL'ATTO
Nel diritto romano non si
rinviene applicazione del principio di conservazione: in quel sistema si
conoscevano solo due tipi determinati di contratti astratti e formali; di conseguenza
la produzione di effetti giuridici di cui alla convenzione tra le parti
scaturiva esclusivamente dal compimento di alcune formalità in difetto delle
quali non vi era, utilizzando una terminologia attuale, una valida esplicazione
della autonomia negoziale. Parte della dottrina ritiene che sia espressione del
principio in esame la ratihabitio che nel sistema romano avrebbe
permesso di conservare gli effetti giuridici dell’attività compiuta da falsus
procurator. Altri romanisti sostengono che l’istituto sia stato elaborato
in epoca intermedia o, al più, nel diritto giustinianeo o bizantino.
Nel diritto vigente il principio
di conservazione opera su due piani distinti: interpretativo ed applicativo. Il
primo è espressamente riconosciuto ex art.1367 cc. sulla portata effettuale del
contratto o di sue singole clausole (stabilendo la prevalenza
dell’interpretazione in virtù della quale la manifestazione negoziale produce
“qualche effetto” anziché nessuno). NB per le leggi il criterio principale è
quello ex art.12 preleggi (il tenore testuale), mentre per i negozi il criterio
ermeneutico principale è indicato ex art.1362 cc (la volontà delle parti). Sul
piano applicativo il principio di conservazione trova riconoscimento in diversi
istituti riunibili in tre tipologie contrattuali:
a)
mantenimento dell’atto viziato: mediante
conversione formale e sostanziale (art.1424 cc.); con la nullità parziale e
l’inserzione automatica di clausola (art.1419 cc.); mediante la convalida
(art.1444 cc.); la reductio ad aequitatem (art.1450 cc.) e la rettifica
(art.1432 cc.);
b)
conservazione degli effetti dell’atto viziato:
in altri istituti del cc. il canone di conservazione si esplica consentendo il
permanere esclusivo degli effetti dell’atto. In alcune ipotesi il contratto
determina l’effetto tipico della soluti retentio ossia della
irripetibilità di quanto già stato dato (con riferimento alle obbligazioni
naturali);
c)
permanenza del vincolo obbligatorio: il
legislatore in considerazione di determinati interessi coinvolti, ritiene di
dover tutelare determinate situazioni giuridiche oggettive delle parti o dei
terzi attraverso la conservazione del vincolo obbligatorio (es. artt.2332 cc.
in tema di società, 2126 cc. in tema di contratto di lavoro, 128 cc. sul
matrimonio putativo).
In riferimento al punto b) le
ipotesi classiche di obbligazioni naturali sono:
1-
volontaria disposizione di disposizioni
testamentarie: l’art.590 cc. è finalizzato a garantire il rispetto della
volontà del de cuius (c.d. favor testatoris) che, pur essendo inficiata dal
vizio di nullità, non può essere dallo stesso modificata o rinnovata;
2- adempimento del debito da giuoco;
3-
adempimento del debito prescritto: parte della
dottrina ritiene abbia rilevanza processuale qualificandola come rinuncia
all’eccezione di prescrizione posto che la prescrizione non è rilevabile
d’ufficio (NB l’eccezione di prescrizione richiede che la costituzione in
giudizio sia, dalla parte convenuta, rituale ossia almeno fino alla udienza di
comparizione).
Ma a questo punto dobbiamo
domandarci se siano configurabili altre ipotesi extratestuali altre ad 1- 2- e
3-, e se il principio della soluti retentio possa trovare applicazione anche al
di fuori dell’obbligazioni naturali. Circa la prima domanda altra ipotesi è il
diritto al compenso spettante al professionista non abilitato per le
prestazioni professionali eseguite. Infatti il professionista non abilitato non
ha diritto di azione per ottenere il pagamento della prestazione prestata:
trattandosi di credito non azionabile si tratterà di un’obbligazione naturale.
Circa la seconda domanda è da dire che prestazioni contra bonos mores (art.2035
cc. prestazioni contrarie ai buoni costumi) danno luogo alla irripetibilità
della prestazione.
°°°
19.5.2012 (4° appuntamento) (segue dal 12.5.2012)
I CONTRATTI: LA VENDITA
La compravendita (artt.1470 ss
c.c.) è un contratto oneroso a prestazioni corrispettive, normalmente è un
contratto ad effetti reali. Vediamo come si forma un contratto di compravendita
(NB non serve il notaio se non quando si compra-vende un bene immobile ed altri
determinati beni – es. merci a campione ecc. – che richiedono specifiche forme
di pubblicità per rendere opponibile quel contratto ai terzi).
Quindi trattando della
“compravendita” immobiliare, notiamo che il c.c. tratta terminologicamente in
prevalenza della “vendita”: ciò perché la posizione che viene esaminata nel
codice è quella del venditore (mentre pochi risultano gli articoli relativi
alla figura del compratore: es. 1479 ss, 1498 ss c.c.). Ma il nomen juris,
nella realtà, può essere anche “cessione” (es. cessione di quote), oppure
“costituzione” (es. costituzione di usufrutto).
L’oggetto del contratto di compravendita non è
semplicemente il bene: l’oggetto immediato è il diritto, mentre il bene è
l’oggetto mediato. Nella compravendita immobiliare, quindi, oggetto del
contratto è il trasferimento della piena proprietà dell’immobile. Ma “oggetto”
possono essere altri elementi: es. la vendita di eredità. Circa i beni
immobili, le norme relative all’oggetto sono quelle della vendita a corpo e a
misura. E l’oggetto deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile.
La possibilità dell’oggetto es. può venire meno in alcune ipotesi come nella
vendita di cosa futura. La vendita si realizza, infatti, col consenso, e non
con la consegna (che avveniva al tempo dei romani); ma vi possono essere delle
ipotesi nelle quali non è possibile la manifestazione del consenso, perché
relativo ad un oggetto o che non esiste, o non è in quel momento nella
disponibilità del venditore (appunto ipotesi di cosa futura). E si diventerà
proprietari dell’immobile futuro, non con il consenso, ma quando il bene verrà
in esistenza: avremo la vendita c.d. obbligatoria. E l’oggetto deve essere
lecito (es. non sarà lecito un oggetto del contratto che concerni l’usufrutto
legale). Circa la determinazione e determinabilità dell’oggetto, invece, il
c.c. non si preoccupa di soffermarsi troppo.
Ma altro elemento fondamentale
della compravendita è anche il prezzo: non si avrà vendita se manca il prezzo
(se vi sarà uno scambio con cosa allora saremo nell’ipotesi della permuta: es.
se si hanno buoni del tesoro e con questi si vuole per es. pagare
l’appartamento, non avremmo una compravendita ma appunto una permuta). Il
prezzo è un corrispettivo, non il corrispettivo: è importante che sia
determinato, non che sia stato pagato. Circa la sua quantificazione: ex
art.1473 c.c. da parte del terzo; mentre ex art.1474 c.c. in campo immobiliare
non può trovare applicazione: non può esistere una integrazione automatica
nella quantificazione del prezzo di un immobile. E circa la determinazione
della prestazione da parte del terzo, ex art.1349 c.c. (risultando a norma di
tale articolo una determinazione per equità ed una riferita al mero arbitrio),
per la vendita immobiliare (come per qualsiasi altra vendita) si dovrà parlare
di determinazione secondo equità (la quale è compresa nell’ordinamento
giuridico, mentre con il mero arbitrio non si avrebbe compravendita in quanto
non si viene a perfezionare il sinallagma contrattuale -la manifestazione di
volontà- tra le parti, necessitando il comportamento del terzo).
Il pagamento del prezzo può anche
avvenire con l’accollo totale o parziale di un debito della parte venditrice
(vedi sentenza Cass. 25 agosto1998, n.8442). Occorre conciliare la normale
efficacia tra le parti (regolamento contrattuale art.1376 c.c. cardine del
sistema) e l’incidenza di tale regolamento sul patrimonio esterno (del
creditore). Ex art.1411 c.c. si ammette l’incidenza del contratto sulla sfera
del terzo, quando il contratto produce effetti favorevoli (inteso non in senso
vantaggioso sul piano economico, ma in senso giuridico, ossia di una posizione
soggettiva attiva -es. l’acquisto di un appartamento che magari, però, abbisogna
di molta manutenzione e di una ristrutturazione tale che al limite potrebbe
comportare un bilancio economico di svantaggio per il terzo-) per il terzo. Ma
a tal punto se il terzo (il creditore) ha vantaggio nel vedersi attribuire il
compratore dell’immobile come nuovo debitore, ha del pari una situazione di
svantaggio nel vedere il vecchio debitore cedere la propria posizione
debitoria, la quale deve, comunque, trovare il consenso da parte dello stesso
creditore: consenso che perfezionerebbe, a questo punto, l’intera fattispecie
contrattuale della compravendita immobiliare (due negozi giuridici collegati:
accollo autonomo ma che al momento della sua perfezione realizza la causa
negoziale del contratto di compravendita). Ma altro indirizzo dottrinale (per
tutte, Cass. n.861/1992) costruisce l’accollo in termini di negozio
bilaterale: l’accollo non è più un negozio autonomo, ma è una pattuizione, una
modalità che può inerire ad altra pattuizione invece contrattuale. Ossia la
compravendita con accollo di un mutuo di un terzo, laddove abbia una efficacia
esterna, si pone come un negozio bilaterale che produce anche effetti
favorevoli ad un soggetto terzo (il creditore): effetto favorevole come la
possibilità di agire nei confronti del nuovo debitore accollante. Il creditore
con la dichiarazione di adesione all’accollo, rende irrevocabile la
stipulazione in suo favore. Se l’accollo è stato voluto dal venditore e dal
compratore in modo liberatorio per il debitore originario, l’adesione del terzo
(adesione come elemento non perfezionativo della compravendita, giocando un
ruolo meramente esterno, attuativo, rendendo irrevocabile la stipulazione v.
art.1411 c.c.) vale a tal punto a liberare il debitore originario (liberazione
che comporta, si è detto, una situazione di svantaggio per il creditore). Circa
le eccezioni (art.1263 c.c.) saranno opponibili tutte le eccezioni inerenti al
contratto di compravendita (il compratore potrà dire al terzo che non vuole
pagare perché la cosa non corrisponde al programma contrattuale -vedi Cass. 2
dicembre 1993 n.11956-).
Circa le garanzie nella
compravendita nel codice del ’42 (a diff. di quanto emergeva dal codice
precedente) si tratta di obbligazioni del venditore: la garanzia per evizione
viene presentata in termini di obbligazione, come un effetto legale del
contratto (ossia si passa dalla garanzia come afferente un momento genetico del
contratto, alla garanzia afferente un momento attuativo del contratto: non
siamo nell’ambito della invalidità del contratto -per cui la responsabilità
delle parti si delinea in riferimento alla conoscenza della causa di invalidità
e una individuazione di una diligenza nella parte nella conoscenza o
conoscibilità di tale causa- ma in quello dell’inadempimento -dove avremo la
piena responsabilità che comporta la restituzione del prezzo pagato, il
rimborso per le spese effettuate per il contratto, il pagamento degli interessi
legali e l’eventuale risarcimento del maggior danno che il compratore abbia
sostenuto-). La garanzia del venditore per evizione e vizi null’altro sono se
non una manifestazione di quello che è il normale sinallagma contrattuale:
ossia applicazione della regola della responsabilità del venditore per
inadempimento. Quindi la garanzia laddove comporti la riduzione del prezzo non
è che una azione di inesatto adempimento; laddove, invece, si chieda la
risoluzione non si avrà altro che un’azione risolutoria riconducibile al
paradigma dell’art.1456 c.c. (vedi Cass. n.4260/1996). Questa impostazione è
l’unica che ci permette di distinguere nettamente la responsabilità per vendita
di cosa altrui, dalla promessa per fatto del terzo: l’elemento nodale della
distinzione sta nel fatto che nella vendita per fatto del terzo si promette, si
deduce in obbligazione il comportamento che dovrà essere tenutola un altro
soggetto, mentre nella vendita di cosa altrui si promette un proprio
comportamento, una propria prestazione, che non è quella di garantire che altri
faccia qualcosa, ma è la prestazione di far acquistare il diritto e con la
importante conseguenza che il momento in cui il venditore acquista in capo a se
stesso il diritto, tale diritto automaticamente si ritrasferisce in capo al
soggetto compratore. Nello schema della vendita di cosa altrui quindi si ha un
differimento dell’effetto traslativo, ma quello che più è significativo sul
piano effettuale è la circostanza che l’effetto traslativo si produce
automaticamente senza aver bisogno di un ulteriore negozio di trasferimento.
Circa la possibilità di derogare
alla garanzia quale delineata dalla legge (aggravando da un lato la garanzia
del venditore, ovvero dall’altro andando ad esonerare il venditore in tutto o
in parte dalla garanzia), ipotesi possono essere: “il venditore presta le garanzie
di legge rendendo edotta la parte acquirente che l’immobile è gravato da ……”. E
notiamo che la deroga al regime legale può essere su più livelli: es. se viene
ridotta, limitata o esclusa la responsabilità per danni; ancora che venga
escluso il pagamento degli interessi legali sui rimborsi e sulla restituzione
del prezzo; ancora che venga escluso il rimborso delle spese fatte per il
contratto; infine che venga limitata la responsabilità del venditore alla
restituzione del prezzo. Ma cosa succederebbe se le parti volessero pattuire
l’esclusione della restituzione del prezzo in caso es. di evizione? Escludere
una responsabilità restitutoria del prezzo sarebbe sì possibile ex art.1322
c.c., ma non rientreremmo più nell’ambito di una vendita commutativa o
corrispettiva, ma saremmo di fronte ad un diverso tipo contrattuale: una
vendita di natura aleatoria (contratto con causa diversa da quella della
vendita ex art.1470 ss.c.c.). Da notare l’incidenza su tale disciplina degli
articoli 1469-bis e ss (es. l’art.1469-quienquies n.1 c.c. sull’inefficacia
della clausola di esonero da responsabilità per il professionista) e 1341 c.c.
(vedi sentenza Cass. 23 marzo 1993 n.1212).
Cassazione civile, sez. II, 10 marzo 1997, n.2126:
Nella vendita di cosa futura –
(art. 1472 c.c.) – l’effetto traslativo si verifica nel momento in cui il bene
(nella specie appartamento da costruire) è venuto ad esistenza nella sua
completezza, restando irrilevante soltanto la mancanza di rifiniture o di
qualche accessorio non indispensabile alla sua utilizzazione; pertanto la
trascrizione – legittima, ai sensi dell’art. 2643 c.c. – di una vendita di cosa
futura è idonea a rendere opponibile il relativo diritto, allorché verrà ad
esistenza, agli acquirenti dello stesso bene che non hanno trascritto o hanno
trascritto posteriormente il loro titolo, ma è irrilevante ai fini (art. 111
c.p.c.) dell’opponibilità all’acquirente di bene futuro della domanda
trascritta nei confronti del suo dante causa prima della venuta ad esistenza di
tale bene. (1)
(1) La controversia alla
base della pronunzia della Suprema Corte qui annotata si presenta piuttosto
complessa: in estrema sintesi, A aliena due appartamenti da costruire
rispettivamente a B e a C, i quali trascrivono tempestivamente il relativo atto
di compravendita. Successivamente, D conviene in giudizio A trascrivendo ex
art. 2652 c.c. una domanda giudiziale volta all’ottenimento di una sentenza di
demolizione degli appartamenti oggetto della vendita (di cosa futura)
originaria. Gli appartamenti in questione, terminata la costruzione, sono
alienati da B e C a terzi i quali, a loro volta, si oppongono ex art.
404 c.p.c. alla sentenza di demolizione emessa contro A, in quanto
pregiudizievole dei loro diritti di terzi rispetto alla controversia.
Tale vicenda offre alla Corte di Cassazione l’opportunità di occuparsi
- per la prima volta in maniera diffusa - di una questione giuridica alquanto
complessa e controversa, ossia della immediata trascrivibilità di una vendita
di cosa futura, ai fini dell’opponibilità della stessa ai terzi e, quindi, di
un’adeguata tutela dell’acquirente.
A tal riguardo, la Suprema Corte conferma, in primo luogo, la sua
adesione alla configurazione giuridica della vendita di cosa futura come
vendita obbligatoria: l’alienante, dunque, è tenuto a far sì che si realizzi
l’acquisto del bene in capo all’acquirente, secondo la comune regola che
impegna il venditore a far acquistare al compratore il diritto quando
l’acquisto non sia un effetto immediato del contratto (art. 1476, n. 2 c.c.).
La Cassazione, dunque, respinta sia la teoria che ravvisa nella vendita di cosa
futura un contratto a consenso anticipato e a formazione progressiva,
produttivo di soli effetti preliminari fino alla venuta a esistenza del bene,
sia quella che la considera una vendita sottoposta a condizione sospensiva o a condicio
iuris, si allinea definitivamente alla dottrina oggi più accreditata.
In secondo luogo, inquadrata la vendita di cosa futura tra le vendite
di tipo obbligatorio, la Corte Suprema ne riconosce, in maniera coerente e
consequenziale - oltre che conforme a un ormai consolidato filone
giurisprudenziale - l’immediata trascrivibilità, ancorché il bene non sia
ancora venuto a esistenza.
Un’interpretazione estensiva dell’art. 2643, n. 1 c.c., infatti,
permette agevolmente di affermare che sono soggetti a trascrizione non solo i
contratti immediatamente traslativi, ma anche quelli potenzialmente idonei a
trasmettere la proprietà, quali, in particolare, le vendite obbligatorie.
E’ da ritenere, in proposito, che l’elencazione contenuta nella norma
in esame abbia carattere tassativo esclusivamente per quel che concerne il tipo
di mutamento giuridico, ossia per l’effetto prodotto, qualunque sia la
natura giuridica dell’atto che vi abbia dato origine. A conferma di tale assunto,
d’altronde, l’art. 2645 c.c. assoggetta espressamente a trascrizione ogni altro
atto o provvedimento che produca taluno degli effetti dei contratti menzionati
nell’art. 2643 c.c..
Che la legge non alluda ai soli contratti con effetto traslativo immediato,
infine, si desume, indirettamente ma inequivocabilmente, dalla disposizione di
cui all’art. 2659 c.c.: l’espressa menzione dei contratti sottoposti a termine
o a condizione, infatti, consente, con l’ausilio della semplice interpretazione
estensiva, di ritenere soggetti a trascrizione tutti i contratti di vendita
obbligatoria e, per ciò solo, la vendita di cosa futura.
Ammessa l’immediata trascrivibilità del contratto in esame, peraltro,
la Corte Suprema si trova d’innanzi a un quesito di fondamentale importanza
dovendo, invero, stabilire quale efficacia sia da ricollegare alla trascrizione
in parola, ossia se essa retroagisca al momento dell’annotazione sul pubblico
registro oppure se sia efficace soltanto a partire dal momento della venuta a
esistenza del bene: al proposito essa, confermando le statuizioni della Corte
di merito, afferma che “l’ordinamento non attribuisce alcuna efficacia di
prenotazione alla trascrizione del contratto produttivo di effetti meramente
obbligatori”. La trascrizione, dunque, se pure legittimamente operata al
momento della stipulazione del contratto, inizia a dispiegare i suoi effetti
conservativi e protettivi soltanto a far data dalla venuta a esistenza del
bene, ossia “in concomitanza del verificarsi dell’effetto traslativo”.
Coerentemente con queste premesse, la Cassazione ritiene che attribuire
efficacia alla trascrizione fin dal momento della stipulazione del contratto,
significherebbe far retroagire a questo stesso momento, il trasferimento della
proprietà, nonostante l’inesistenza del bene compravenduto. Ed emerge ictu
oculi come tale conseguenza costituisca un risultato giuridicamente
inammissibile in quanto in netto contrasto con il chiaro disposto normativo di
cui all’art. 1472 c.c., il quale - senza lasciare spazio alcuno a libertà
interpretative - àncora l’effetto traslativo alla venuta a esistenza della
cosa.
L’analisi della disciplina della
compravendita suesposta acquisisce comunque rilievo per tutte le fattispecie
negoziali (permuta, transazione ecc.) con le quali si attua il trasferimento di
un diritto reale mobiliare o immobiliare.
Ma ora soffermiamoci su alcuni
istituti particolarmente interessanti anche per i riflessi giurisprudenziali
avuti:
il patto di riscatto.
È disciplinato come sottosezione
delle norme dedicate alla compravendita; l’effetto tipico del patto di riscatto
è quello di costituire in capo al soggetto alienante il diritto potestativo di
riscattare con una propria dichiarazione unilaterale di volontà (con efficacia
reale immediata) il diritto trasferito all’acquirente. Per il principio che
governa il cod. civ. circa la libera circolazione dei beni, il patto di
riscatto è circondato da alcuni limiti (es. non può essere previsto per un
periodo superiore a 5 anni). Il p. di r. si caratterizzerebbe (per la dottrina
es. Satta, Rubino ecc.) come un modalità accessoria del contratto di
compravendita senza andare ad incidere sulla causa del contratto che resterebbe
quella tipica del contratto di compravendita. Tale impostazione è stata
condivisa dalla giurisprudenza fino agli anni ’70 (Cass. 4921) poi
successivamente si sostenuto che il p. di r. fosse un negozio con una propria
rilevanza causale: ossia la vendita con p. di r. sarebbe un negozio tipico di
compravendita al quale si collega un ulteriore patto, con propria rilevanza
causale, quale il riscatto. Patto che va distinto da figure affini che però non
producono lo stesso effetto: patto di retrovendita (preliminare unilaterale che
obbliga una sola parte); il patto di opzione (accordo sulla irrevocabilità
della proposta di retrovendita); il patto di prelazione (che semplicemente
conferisce al prelazionante il diritto di essere preferito a parità di
condizioni). Caratteristica del p. di r. è quella, invece, di attribuire
all’alienante un penetrante potere di disporre del patrimonio altrui.
Difficile pare la ricostruzione
giuridica di tale fattispecie: sulla struttura del p. di r. vi sono
orientamenti diversi. Si è sostenuto es. che il p. di r. potesse essere ricondotto
(tesi tradizionale) ad una condizione risolutiva potestativa semplice: cioè con
esso si avrebbe una vendita sotto condizione risolutiva. L’evento condizionante
sarebbe la dichiarazione di volontà dello stesso alienante. E per evitare di
incorre, poi, nella nullità prevista in materia di contratti circa la
condizione “meramente” potestativa, si sottolinea che la controprestazione
dovuta dal riscattante (cioè il pagamento del prezzo) fa si che l’interesse del
soggetto riscattato sia certamente sottesa alla realizzazione dell’evento
condizionante, ma no totalmente, ossia tale condizione risolutiva è
potestativa, ma non “meramente” potestativa: si parla al riguardo di condizione
potestativa “semplice”, perché appunto l’avverarsi dipende dall’interesse, ma
di tale interesse il soggetto portatore non è arbitro assoluto, nel senso che
al momento in cui realizza il proprio interesse al riscatto del bene,
contemporaneamente però viene tutelato anche l’interesse della controparte a
ricevere il corrispettivo, la somma per il riscatto. In Cass. si propende per
l’idea di condizione potestativa semplice (fra tutte la n.1895 del 1975). Le
altre tesi che si fondano su di una autonomia causale del p. di r., ci
propongono delle ricostruzioni diverse (es. il Rubino riscontra un potere di
revoca retroattivo nel patto di riscatto; il Perosi poi ci suggerisce l’idea si
una proprietà risolubile: ipotesi di proprietà temporanea come es. il legato a
termine o la multiproprietà).
In giurisprudenza si è
sottolineato l’interesse sul patto di riscatto perché
si è rilevata la possibile utilizzazione del p. di r. per finalità contrarie
alle disposizioni di legge: per aggirare il divieto del patto commissorio ex
art. 2744 c.c.. L’attenzione della giurisprudenza fino al 1979 era assorbita
dalla considerazione della tipicità del patto di riscatto: ossia la vendita col
patto di riscatto è un negozio disciplinato dal legislatore e non può non
essere valido. Il fatto che venga utilizzato per finalità contrarie ai principi
dell’ordinamento non rileva perché concerne un negozio avente una causa tipica
riconosciuta dal legislatore. La fattispecie concreta risulta quella in cui,
dovendo procurarmi un finanziamento, piuttosto che concedere ipoteca sul bene
(con il limite inderogabile dell’art. 2744 c.c.) io decida di trasferire il bene
al soggetto finanziatore riservandomi il patto di riscatto. Tale problematica
si è poi estesa anche alle ipotesi di sale and lease back: in
giurisprudenza si è ritenuto che il contratto con il quale l’utilizzatore, già
proprietario del bene trasferisce il bene al finanziatore per poi farselo
concedere in leasing con patto di riscatto al termine del rapporto, possa
celare una ipotesi di vendita con patto commissorio. E se quindi la
giurisprudenza in un primo momento ha negato la sovrapposizione delle due
situazioni, ha poi modificato traiettoria con la sentenza n. 3800 del 1983.
Dopo tale decisione ci sono state pronunce alterne fino alla sentenza delle
SS.UU. n.1611 del 1989, hanno riaffermato la tesi dell’applicabilità
dell’art. 2744: l’interprete dovrà analizzare l’intera fattispecie al fine di
verificare se il patto di riscatto sia finalizzato ad eludere il divieto del
patto commissorio. Indici di riferimento onde riscontrare tale fine contrario
all’ordinamento sono: la situazione economica in cui versava il soggetto al
momento della conclusione del contratto; il prezzo della vendita; l’entità
delle reciproche prestazioni; la durata del rapporto.
°°°
12.5.2012 (3° appuntamento) (segue dal 5.5.2012)
CONTRATTI IN FRODE ALLA LEGGE: NOZIONE E CRITERI INDIVIDUATIVI
Nella considerazione della frode alla legge partiamo
dall’individuazione di due momenti:
a)
non ci si conforma alla volontà della legge;
b)
si aggira la finalità della legge (ossia si rispetta la
lettera ma si viola l’essenza della legge).
La frode alla legge ha una
connotazione oggettiva (cioè un negozio che raggiunge un risultato contrario ad
una norma imperativa) o deve avere anche connotazioni soggettive (cioè l’intenzione,
il dolo di aggirare una norma di legge)? E qual'è la connotazione patologica
del negozio mezzo utilizzato? Ancora qual'è l’utilità di tale figura rispetto
al negozio illecito per illiceità del motivo comune se il negozio in frode alla
legge è un negozio lecito che le parti utilizzano per ottenere uno scopo?
Problemi questi che si sono trascinati in dottrina fino a quando autori come De
Nova hanno ritenuto tale figura ormai superata. Infatti assieme al concetto di
tipo cioè di causa in astratto, si aggiunge un concetto dei causa in concreto,
che sarebbe la causa del tipo negoziale (es. nella vendita scambio di cosa con
prezzo) arricchita del motivo comune che nel caso concreto le parti hanno
impresso (es. la vendita a scopo di garanzia) e che si è obiettivato nella
causa che quindi diventa, nella fattispecie, causa concreta. In tali casi,
alcuni autori hanno detto che dove c’è un motivo illecito perché vuole aggirare
un divieto posto da una norma imperativa, perché parlare di frode alla legge?
Perché, se il motivo si obiettivizza nella causa tipica, diventa causa concreta
e allora avremmo un negozio illecito per illiceità della causa in concreto.
Ancora più recentemente la
dottrina dominante tende a ritenere la frode alla legge come la clausola generale
di tipizzazione del tipo a combinato contesto (es. clausole di tale tipo sono
soventi nel diritto penale come l’art.56 c.p. oppure l’art.110 c.p. o anche
l’art.40 capoverso c.p.): ossia quelle clausole che agendo in combinato
contesto (accoppiandosi) con una norma o con una serie di norme, producono
fattispecie similari alla norma con cui si accoppiano. La congiunzione, con
combinato contesto, con le norme di divieto, norme imperative che vietano certi
comportamenti negoziali, configurerebbe una serie di figure parallele: il
divieto cioè si estenderebbe, in virtù di tale combinazione anche a negozi
diversi da quello vietato, ma che raggiungono lo stesso risultato pur avendo
una causa tipica lecita e tipizzata.
Ed è anche interessante capire
come la giurisprudenza giunge alla individuazione ed alla verifica della frode
alla legge. Anzitutto è da dire che tale ricerca giurisprudenziale non conduce
alla individuazione di fattispecie che per definizione sono in frode alla
legge: cioè non esistono categorie di contratto che di per sé sono sempre in
frode alla legge. Ma esistono categorie per così dire sospette, indiziate, in
relazione alle quali il giudice adotta determinati criteri per verificare,
volta per volta, esista o meno la frode alla legge. Laboratorio di studio che
ha portato all’elaborazione di tali criteri, è stato il divieto del patto
commissorio ex art.2744 c.c. e la sua estensione a figure similari come ad es.
la vendita a scopo di garanzia con patto di retrovendita (o patto di riscatto).
Lo studio consta di 3 tappe:
1-
l’analisi della norma di divieto in relazione alla
quale si vuole ipotizzare la costruzione della frode;
2-
l’analisi del negozio concreto che si sospetta in frode
alla legge;
3-
la fissazione che il giudice fa a se stesso di criteri
per la verifica in concreto della frode.
Circa la prima operazione la
norma deve essere una norma imperativa: ossia di norma in relazione della quale
c’è una comminatoria di nullità, e solo quella, essendoci norme imperative
senza una previsione esplicita di nullità (ossia quelle poste a tutela di un
interesse generale prevedendo un divieto generalizzato per tutti e non solo per
determinate categorie di soggetti): a fronte di tali norma la Cass. dice che la
norma è imperativa ma non basta. Non deve trattarsi di una norma imperativa
puramente formale, ma di risultato, di norma imperativa che commina a pena di
nullità un divieto per impedire un certo risultato che la legge respinge.
La seconda operazione è quella
fatta sul negozio concreto: trattasi, come si diceva prima di negozio tipico a
causa lecita, ma che ha dentro di se delle clausole le quali potrebbero
flettere la causa tipica allo scopo di raggiungere quel risultato che la norma
imperativa ha vietato in relazione però ad una previsione legale espressa.
La terza operazione è
l’elaborazione di criteri. Circa l’esempio del patto commissorio si consideri
che si tratta di patto con cui il creditore garantito da pegno o ipoteca
conviene con il debitore che, qualora egli non adempirà esattamente al momento
della scadenza del suo debito, diventerà proprietario delle cose date in pegno
o ipoteca. La vendita a scopo di garanzia con patto di riscatto è invece quella
figura con cui le parti trasferiscono all’inizio un certo bene a scopo di
garanzia, con il patto però che se il creditore garantito attraverso l’acquisto
del bene alienatogli sarà poi soddisfatto del suo credito, rivenderà il bene
che ha acquistato preventivamente in garanzia al debitore che glielo ha ceduto.
Per tanti anni si ritenne di non riscontrare frode alla legge il negozio con
patto di riscatto perché la legge che sarebbe frodata (l’art.2744 c.c.) prevede
un passaggio di proprietà successivo o contestuale all’inadempimento, mentre in
tal caso c’è una vendita ed eventualmente una retrovendita legata all’adempimento
del debito parallelo. Le SS.UU. dell’89 hanno però modificato tale
impostazione: la ratio della norma di divieto è quella di impedire una
coazione, un approfittamento del creditore sul debitore. E se tale
approfittamento si dovesse in concreto verificare attraverso non un patto
commissorio, ma con una vendita a scopo di garanzia con patto di retrovendita
avremo allora la frode alla legge. Con ciò non vuol dirsi che la vendita a
scopo di garanzia con patto di retrovendita si sempre in frode alla legge,
dovendo impostare appunto dei criteri. Questi possono essere una posizione
debitoria preesistente tra le parti stesse o ancora la sproporzione tra il
debito in relazione al quale la vendita funziona da garanzia (sia pur
preventiva) e il valore del bene alienato.
Ma se la vendita a scopo di
garanzia sia fatta da un terzo e non dal debitore? Anche in tal caso, dopo un
giudizio negativo, secondo la regola del caso per caso, anche la vendita
operata dal terzo contravviene all’art.2744 se arricchisce il creditore a
fronte di un inadempimento, rendendolo proprietario di un bene di valore
superiore al credito vantato.
Ma oltre alla presenza, caso per
caso, di indici positivi, occorre fare attenzione che non ricorrano indici
negativi ossia fattori che escludano la frode per definizione: es. se la
garanzia è costituita da un bene fungibile, ricadendo nel pegno irregolare, il
passaggio in proprietà è un effetto tipico del pegno irregolare.
Si erra poi quando in riferimento
a negozi in frode alla legge si adotta la terminologia di negozio simulato,
adottato per un intento fraudolento. Non si tratta di simulazione perché il
negozio in frode alla legge è un negozio voluto e lecito e solo con la scoperta
dei motivi per cui è stato voluto, motivi elusori di una norma di legge, si
arriva alla frode: il negozio simulato è un negozio non voluto in luogo del
quale nulla è stato voluto (simulazione assoluta) o è stato voluto qualcosa di
diverso (simulazione relativa).
Labili sono poi le differenze con
il negozio illecito per illiceità del motivo comune (art.1345 c.c.) o del
negozio illecito nella causa concreta (art.1343 c.c.). Ma all’atto pratico per
accertare illiceità del motivo comune o della causa concreta o del negozio
mezzo in termini di frode alla legge ex art.1344 c.c., occorre sempre
effettuare le tre operazione precedentemente viste.
Ma qual è la patologia del
negozio, “mezzo” per frodare la legge? Si sostiene che ex art.1344 c.c. sia la
nullità: ma non è detto che questa sia l’unico rimedio, poiché se vi sia un
rimedio specifico prevarrà tale rimedio (es. il retratto agrario nel caso di
prelazioni agrarie quale esempio di negozi in frode alla legge). Comunque sia
l’art.1344 si combina con la norma di divieto che attraverso questa indagine
risulta in concreto aggirata, facendo scattare il meccanismo dell’illiceità.
Allo stato attuale non si prevede
che la frode ai terzi sia individuabile come clausola generale: la
giurisprudenza, escluso quindi questa clausola generale invalidante della frode
ai terzi precisa che di volta in volta il terzo in frode al quale il negozio
sia stato concluso dovrà vedere se esista tra i rimedi generali un rimedio
esperibile. Es. esperendo l’azione di nullità, quando il negozio contenga una
causa, un elemento di nullità, perché la nullità può essere fatta valere da
chiunque sempreché vi abbia interesse. Se mancassero però cause di nullità, ma
ci fossero i presupposti della simulazione, perché il negozio fosse in ipotesi
simulato per raggiungere questo intento fraudolento, scatterebbe l’azione di
simulazione (NB che in tal caso il terzo potrà esperire anche provando la
simulazione con testi). Ma se il negozio non è nemmeno simulato tale rimedio
non sarà esperibile: allora si può pensare ad un’azione di risarcimento del
danno. Se poi il terzo, in frode del quale il negozio fosse concluso, avesse in
particolare nei confronti di uno dei contraenti una posizione di creditore, ci
troveremmo di fronte alla frode ai creditori che trova rimedio specifico
nell’azione revocatoria. Questo il pensiero della giurisprudenza nell’affermare
che a differenza della frode alla legge (che ha clausola generale ex art.1344)
non esiste clausola generale per la frode ai terzi, ma esistono tanti rimedi
tra i quali il privato potrà scegliere.
°°°
5.5.2012 (2° appuntamento) (segue dal 1.5.2012)
TUTTI GLI ASPETTI DELL’OGGETTO DEL CONTRATTO
Cosa si intende per oggetto del
contratto? Per Bianca è il contenuto sostanziale del contratto (considerato che
contenuto formale risulta essere il testo che, sempre secondo Bianca, si
aggiunge al contenuto sostanziale). Ma oggetto e contenuto sono cose
differenti. (vedi dopo)
Possono le situazioni giuridiche
soggettive (onere, potestà, facoltà, aspettativa - soggezione, potere- obbligo)
formare oggetto di un contratto? La risposta è no, per cui le situazioni giu. soggettive non
possono essere l’oggetto del contratto.
1: oggetto come bene;
In dottrina si ha una ripartizione: 2:
oggetto come prestazione;
3: oggetto come interesse.
L’oggetto potrebbe essere il bene
(come soddisfazione di un interesse) oggetto della prestazione sul quale si
forma l’accordo: ma critica a tale interpretazione sta nel fatto che alcuni
contratti hanno come oggetto non beni ma diritti che non corrispondono a beni
(es. nel contratto di transazione consiste nelle reciproche concessioni che le
parti si fanno per comporre una disputa tra di loro: tali concessioni sono
rinunce, ma sono anche dei beni? No – NB la rinuncia ha effetto abdicativo mentre il rifiuto ha effetto impeditivo –). Quindi la definizione di bene come
oggetto del contratto non si può dire errata, ma è imprecisa poiché non
ricomprende tutte le ipotesi.
Diverso avviso è dire che
l’oggetto del contratto è la prestazione: questa consiste in un fare, non fare
(o sopportare) e un dare. Nei contratti a prestazioni corrispettive, a
differenza di quelli unilaterali dove si ha una unica prestazione, avremo
appunto due prestazioni: ossia due oggetti. Es. nella compravendita avremo: 1)
il bene comprato e venduto; 2) il prezzo corrisposto.
Secondo la struttura del
contratto (ossia lo scheletro, l’impalcatura del contratto) la prestazione
(l’oggetto) come si colloca ? Ex art.1325 cc. gli elementi del contratto sono a)
l’accordo b) causa c) oggetto d) forma (quando è richiesta). I soggetti sono
termini esterni al contratto: esterni in quanto devono sussistere al momento
dell’efficacia di questo. Si noti come ci sia simmetria tra i soggetti e
l’oggetto (es. circa la determinabilità di entrambi: per i soggetti vedi il
nascituro)
La teoria dell’oggetto del
contratto come prestazione è di supporto alla previsione che l’oggetto del
contratto sia elemento esterno dello stesso in quanto può preesistere alla
creazione del contratto (es. l’immobile può preesistere all’accordo tra il
proprietario e l’acquirente). Ma quale è a tal punto lo strumento tecnico
attraverso il quale il termine esterno, preesistente o successivo, rispetto al
momento di creazione del contratto entra a far parte del contratto ? Tramite la
rappresentazione descrittiva dell’oggetto, cioè ad es. nel contratto di
compravendita di un determinato immobile le parti diranno che si impegnano a "trasferire ed acquistare l’immobile in via …….". Ciò vale sia per il bene
preesistente ma tanto più per il bene non ancora esistente: si dovrà descrivere
il suddetto bene specificandone ad es. i materiali impiegati e così via.
A tal punto in quale parte della
struttura del contratto si colloca la descrittiva dell’oggetto (vedendo poi che
valore ha) ?
- Contenuto del contratto: è
l’insieme delle determinazioni poste in essere tra le parti per regolare i
propri interessi, dare un certo assetto ai loro interessi (ciò che le parti
hanno messo nel contratto);
- Regolamento del contratto:
l’insieme delle determinazioni delle parti quale fonti di autonomia privata
(c.d. autoregolamento: il regolamento negoziale -il contenuto-) più le fonti
integrative del contratto (c.d. eteroregolamento: il regolamento contrattuale), ossia tutte quelle norme che l’ordinamento autoritativamente inserisce nel
contratto, addirittura apportando una modificazione automatica tra le
determinazioni poste dalle parti in violazioni di regole autoritative ed
imperative e le disposizioni dell’ordinamento.
Nell’ambito del regolamento,
meglio del regolamento negoziale (cioè l’autoregolamento, ossia il contenuto),
poniamo la descrittiva dell’oggetto che quindi fa parte del contenuto
dell’oggetto.
Con ciò si tende verso la
dicotomia oggetto-contenuto (vedi prima) perché l’oggetto è, tramite la
rappresentazione descrittiva del medesimo, qualcosa che le parti vogliono:
difficilmente eterointegra la descrizione dell’oggetto.
Differenza fondamentale è quindi
tra contenuto ed oggetto: perciò alcuni Autori ritengono che la tesi di Bianca sia errata, poiché se si dice
che oggetto del contratto è il contenuto sostanziale del contratto si
confondono due elementi che in realtà sono diversi.
E tale differenza ci spiega anche un
ulteriore punto: ossia come l’oggetto, quale termine esterno, entri a far parte
del contratto. Il contenuto, insomma, contiene la descrittiva dell’oggetto che
è esterno al contenuto stesso e che quindi entra tramite tale descrittiva.
Ma la prestazione, a sua volta, è
l’oggetto dell’obbligazione che sorge in ragione del titolo dato dal contratto:
il contratto, in definitiva, è il titolo per far sorgere rapporti obbligatori
(es. di dare o di pagare). Quindi abbiamo l’obbligazione, l’oggetto della
obbligazione che risulta essere la prestazione e in fondo abbiamo l’oggetto
della prestazione che è il bene finale.
Ma la descrizione dell’oggetto
inserita nel contenuto del contratto, che valore ha in ordine all’assetto di
interessi tra le parti, specie in ordine all’efficacia intesa soprattutto come
esecuzione del contratto ? Tale valore è un valore dispositivo: cioè è
vincolante per le parti, ossia è una regola del contratto. Se la prestazione non
risulta conforme alla suddetta regola saremo di fronte ad un inadempimento.
Ma tutte le determinazioni del
contratto hanno valore dispositivo ? La risposta è no. Nel contratto ci sono le regole
espresse tramite enunciative, le quali sono di due tipi:
- enunciative
dispositive in senso proprio: le regole;
- enunciative
di mero valore enunciativo: descrittivo, programmatico ecc.
In caso di inadempimento la
descrittiva dell’oggetto è il parametro per valutare le prestazione volute e
quelle realmente eseguite. In pratica, ci serve per risolvere problemi pratici
circa l’individuazione della disciplina es. nella consegna della cosa viziata
(art.1492 cc: vizi della cosa); consegna della cosa priva delle qualità
iniziali (art.1497 cc: mancanza di qualità); consegna di aliud pro alio (di
estrazione giurisprudenziale: consegna di cosa diversa).
°°°
1.5.2012 (1° appuntamento)
REGOLE PER L’INDIVIDUAZIONE DEL CONTRATTO
Chiediamoci se la denominazione
che le parti danno ad un atto che pongono in essere abbia o no valore
vincolante per l’interprete. Anzitutto occorre verificare se tale atto abbia i
requisiti di un contratto: ciò è desumibile ex art.1325. Quindi occorrerà
riscontrare a quale tipo di contratto corrisponda. Ma è contratto solo quello
inserito nel cc. ? No. La distinzione da fare è tra: a) contratti nominati
(previsti nel cc.); b) contratti tipici (non inseriti nel cc. ma tipizzati: es.
con l.130/99 è stata prevista la c.d. legge sulla cartolarizzazione dei
crediti. Riguardano i crediti di difficile esigibilità: tale massa di dubbi
crediti vengono trasferiti sul mercato come titoli azionari. Pur essendo un
contratto di cessione del credito, il tipo contrattuale tipizzato nel ’99
riguarda un blocco di crediti, con un certo valore, che una apposita società,
poi, venderà sul mercato) Poi occorre considerare che nel nostro sistema vige
il principio della libertà di concludere anche contratti non tipici o atipici
(ex art.1322). E per poter, quindi, individuare il tipo contrattuale
l’interprete deve prendere in considerazione la “causa” di quel contratto (NB
di origine tedesca c’è, però, il criterio tipologico con cui si individua il tipo
non solo con la causa, ma anche tramite altri elementi: oggetto, tempo ecc.; ed
in particolare viene in considerazione la c.d. “intuizione del tipo” ossia la
valutazione d’insieme o particolareggiata degli elementi. Ma tale criterio ha
una posizione minoritaria v. dopo). Causa è la funzione (per la dottrina
recente la funzione economica-sociale) del contratto: ma c’è una differenza:
Funzione:
è la causa, aspetto dinamico del contratto
diff.:
Struttura:
è lo scheletro del contratto, aspetto statico del contratto di riflesso alla
funzione
Sono elementi connessi; ma non
tutti i tipi contrattuali (le loro strutture) possono sopportare diversificate
funzioni o modificazione della propria funzione (es. il contratto delle
cassette di sicurezza previsto ex art.1839 con la limitazione di responsabilità -ex art.2- che veniva inserito nel contratto standard: con tale clausola si
veniva modificare il tipo contrattuale avendone un vero e proprio abuso. Si
veniva a modificare la struttura inserendo un elemento di disciplina non
compatibile con la funzione -NB la causa comunque non subiva modifiche-).
La giurisprudenza in tema di
contratti al riguardo ha una consolidata tendenza: c.d. tendenza alla
riconduzione ad un tipo o tipizzazione ad un tipo preconfezionato dal legislatore
(perciò è minoritario il criterio tipologico visto prima): esempio lo si è
avuto con il contratto di leasing che dagli anni ’70 (da quando cioè hanno
incominciato ad utilizzarlo nel nostro ordinamento) la cassazione ha sempre
cercato di smontare e scomporre nei suoi elementi per ricondurlo (tramite il
criterio adottato nei contratti misti: con l’assorbimento o la combinazione) al
tipo normativamente previsto. Tale comportamento è dovuto ad una necessità di
“sicurezza”: cioè saper quale disciplina poter applicare con certezza al
contratto (atipico). In definitiva si può dire che l’unico (effettivo)
contratto atipico è (anche se non più utilizzato) quello di baliatico:
della madre che non avendo il latte fa allattare il figlio dalla balia: NB i
risvolti in ordine all’affitto dell’utero -disciplinati in altri ordinamenti
come quello californiano-).
L’atipicità può aversi in diversi
modi: 1) legale: di un tipo contrattuale disegnato dall’ordinamento; 2)
sociale: di un tipo contrattuale che acquisisce una sua uniformità che nella
prassi viene fatta; 3) giurisprudenziale: successiva alla sociale in quanto
viene posto all’attenzione dei giudici nel momento in cui acquista consolidato
uso nella vita di tutti i giorni trovando, quindi, possibilità di contrasti e
diverbi relativamente alla sua concreta applicazione (dai gradi più bassi fino
alla cassazione e in questa, in caso di divergenza tra le sezione, al vaglio
delle s.u.).
Oltre alla combinazione tra più
contratti o tra un contratto tipico ed uno atipico (che realizzano il c.d. contratto misto) esistono anche i contratti collegati: normativamente è stato
previsto e per la prima volta considerato con l’introduzione dell’art.1469-ter I
c. sulla tutela del consumatore.
Il tipo contrattuale a cosa fa
riferimento ? Si riferisce allo schema (o modello) di predisposizione, di
organizzazione degli interessi.
E quale è la struttura formale di tale tipo (posto che
anche l’atipico è un tipo contrattuale) ? E le prestazioni di un contratto cosa
esprimono ?
I soggetti e l’oggetto del contratto non sono elementi del
contratto ma costituiscono i termini dello stesso: sono due aspetti esterni
rispetto al contratto.
Cosa sono le fonti di integrazione del contratto ? Sono
tutte le norme imperative che l’ordinamento impone che risultino presenti nello
schema (v. art.1374).
Quindi struttura del tipo contrattuale è l’insieme delle
regole di cui si compone quel tipo; il riferimento è alle prestazioni che
rappresentano l’aspetto dinamico ossia la funzione. Perciò sarà la funzione che
determinerà il tipo.
Ma ogni struttura ha la sua elasticità (o variabilità) che
può comportare una sua modifica: ma può darsi che l’allargamento sia tale da
ricomprendere ciò che (per la sua causa) non possa contenere.
Ma come si fa a capire l’elasticità (e quindi il suo
limite) del tipo contrattuale ? E anzitutto chiediamoci se l’inserimento di
clausole modifichi la funzione del tipo. La risposta è affermativa, ma cosa si
intende per clausola ? La clausola è “frammento di contratto” è una regola che
le parti si danno (da cui contratto come autoregolamento) per governare
l’intera operazione economica.
È sempre l’elemento funzionale (la causa in concreto) che
si riflette nelle prestazioni che le parti inseriscono nel contratto che
individua i limiti di elasticità del tipo; ma la prestazione (ed anche le
clausole intese come patti che vengono inseriti) determinano una uscita quando determinano
una alterazione della funzione tipica.
È il concetto di funzione tipica che determina
l’elemento di inquadramento dei limiti di elasticità del tipo, e quindi che
governa la disciplina della struttura formale del contratto al fine appunto
della classificazione della individuazione del tipo in un tipo o in un altro.
Con l’inserimento di elementi (inserimento di una clausola
valida) rispetto a quelli propri del tipo, non attinenti alla validità del
contratto, si potrebbe avere una modifica della prestazione alterando la
funzione tipica mediante una “fuoriuscita” dal tipo.
Cosa è il sottotipo ? È un contratto che appartiene al tipo
e presenta elementi in più (e non in meno poiché se no non sarebbe
riconducibile al tipo) che ne ampliano il contenuto ma non ne modificano la
funzione (es. rapporto di lavoro para-subordinato è un sottotipo del lavoro
subordinato).
Quando noi parliamo della struttura del tipo noi
distinguiamo il tipo, il sottotipo contrattuale e all’interno del tipo occorre
indagare ed esaminare questa elasticità del tipo ossia la capacità di subire
delle alterazioni che però non ne modificano la funzione e che quindi la
disciplina da applicare segue comunque quella propria del tipo contrattuale a
cui si riferisce.
Nessun commento:
Posta un commento