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04 gennaio 2013
Responsabilità professionale
Ciò che spetta al giudice di legittimità, invece, è la valutazione giuridica in tema di nesso di causalità.
Al riguardo, i richiami contenuti nel motivo di ricorso alla giurisprudenza in argomento sono corretti, ma non per questo conducono alla cassazione della sentenza impugnata.
Questa Corte, infatti, ha da tempo chiarito che, in tema di responsabilità professionale del medico, il positivo accertamento del nesso di causalità deve formare oggetto di prova da parte del danneggiato (v., tra le altre, le sentenze 18 aprile 2005, n. 7997, e 11 maggio 2009, n. 10743); come pure ha insegnato che, in relazione alla causalità omissiva, "la positiva valutazione sull'esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l'azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l'evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, e non può esserne esclusa l'efficienza soltanto perchè sia incerto il suo grado di incidenza causale" (così, tra le altre, le sentenze 13 maggio 2008, n. 11903, e 2 febbraio 2010, n. 2360); il relativo accertamento, in altre parole, deve tendere ad (accertare) che l'evento non si sarebbe verificato se l'agente avesse tenuto la condotta doverosa a lui imposta, con esclusione di fattori alternativi (sentenza 14 febbraio 2012, n. 2085).
Questo accertamento a contrario o "controfattuale" si deve svolgere, come i ricorrenti evidenziano, in base al principio della cd. preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" (secondo quanto enunciato da questa Sezione nella citata sentenza n. 21619 del 2007, poi autorevolmente ripreso dalla pronuncia delle Sezioni Unite 11 gennaio 2008, n. 576, e confermato, tra le altre, dalle recenti sentenze di questa Sezione 17 febbraio 2011, n. 3847, e 21 luglio 2011, n. 15991).
A tale ormai consolidata giurisprudenza l'odierna pronuncia intende dare continuità. Sennonchè, per le ragioni sopra in sintesi riportate, la sentenza di appello ha dato contezza proprio del fatto che l'accertamento controfattuale ha condotto ad esito negativo; in altre parole, non ha trovato alcun riscontro probatorio l'ipotesi per cui, ove allo sfortunato giovane fosse stata impedita ogni attività sportiva, ciò ne avrebbe evitato la morte improvvisa. Va ribadito nell'odierna pronuncia - come questa Corte ha affermato in altra occasione (sentenza 10 maggio 2000, n. 5962) - che il nesso di causalità può esistere non solo in relazione al rapporto tra fatto ed evento morte, ma anche tra fatto ed accelerazione dell'evento morte; sicchè per escludere il nesso di causalità, in relazione alla lesione del bene "vita", è necessario non solo che il fatto non abbia generato l'evento letale, ma anche che non l'abbia minimamente accelerato. La sentenza impugnata, però, è stata precisa anche su questo punto, là dove ha spiegato che l'arresto cardiaco è stato determinato da "fattori esclusivamente immanenti" alla patologia dalla quale era afflitto il ragazzo, con ciò escludendo che la modesta attività sportiva di quella fatale giornata possa avere avuto un effetto anche solo anticipatorio della morte. Del resto, la sentenza in esame ha anche rilevato che l'attività sportiva del ragazzo si era protratta "per alcuni mesi" (evidentemente, senza motivi di allarme), il che corrobora ancor di più la tesi della tragica fatalità, non causalmente ricollegabile a responsabilità del medico.
[...]
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
Tenendo conto della tragicità dell'evento, dei discordanti esiti dei due giudizi di merito e della complessità e delicatezza delle questioni giuridiche affrontate, si ritiene equo compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-11-2012, n. 20996
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