31 gennaio 2013

Il contributo per il mantenimento del figlio


Il motivo merita accoglimento nei sensi che seguono.

Emerge pacificamente dalla narrativa della vicenda fattuale che il B. ha corrisposto alla R. l'assegno di mantenimento per la figlia S. fino al compimento del 18 anno d'età, e successivamente lo ha versato direttamente a quest'ultima, secondo gli accordi intervenuti in sede di divorzio, sino al 1997, data in cui, col tacito consenso di tutti, ne interruppe il versamento. La coabitazione tra la figlia e la madre, inoltre, non trae titolo da pronuncia giudiziale d'affidamento ma si fonda sul diritto di comproprietà, dunque su titolo di natura reale, discendente dalla cessione in proprietà dell'immobile dalle stesse abitato, che venne disposta dal B. a loro favore in sede di divorzio. La resistente non smentisce questa ricostruzione, nè la narrativa della sentenza impugnata la prospetta in termini diversi.

Dalla vicenda processuale emerge che S. B., figlia delle parti e destinataria dell'assegno, ha spiegato intervento in causa dichiarando d'aver rinunciato alla sua corresponsione da parte del padre sin dal novembre 1996, per aver raggiunto a quella data la condizione di autonomia economica e che in epoca coeva cessò la sua convivenza con la madre, con la quale aveva sino ad allora condiviso l'appartamento in cui avevano coabitato e di cui erano comproprietarie.

La statuita inammissibilità dell'intervento anzidetto, che rappresenta questione preclusa al controllo di questa Corte in quanto la decisione del giudice d'appello non è stata impugnata in parte qua (cfr. Cass. n. 4296/2012 in ordine alla ritualità di tale iniziativa da parte del figlio), rende nondimeno palese l'insussistenza dell'interesse della R. a resistere munito dei requisiti di concretezza ed attualità postulati dall'art. 100 c.p.c.. E' incontroverso che il genitore convivente col figlio minorenne, ovvero maggiorenne ma non autosufficiente, è legittimato jure proprio ad ottenere dall'altro coniuge il contributo per il mantenimento del figlio, il quale è a sua volta munito di concorrente legittimazione (Cass. citata; nonchè Cass. nn. 21437/2007, 13184/2011) ad agire in via prioritaria per ottenere il versamento diretto del contributo, e, in senso speculare ma opposto, per resistere all'iniziativa giudiziaria assunta dal genitore che non intenda assolvere alla sua obbligazione. La legittimazione personale del genitore convivente presuppone la convivenza col figlio minorenne ovvero maggiorenne ma non autosufficiente e sussiste finchè persiste tale condizione e sempre che il figlio non abbia agito in via autonoma (Cass. n. 11320/2005) esplicando la sua personale legittimazione basata sulla sua personale titolarità del diritto al mantenimento (Cass. di recente n. 13184/2011). Siffatta costruzione esegetica non è mutata a seguito dell'introduzione dell'art. 155 quinquies c.c., non applicabile però nella specie ratione temporis, che prevede al comma 1 che "Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto" che incide sulle sole modalità attuative di tale diritto. Ciò premesso, va osservato che nella specie è conclamata, nonchè indiscussa, l'assenza dell'interesse di S. B., destinataria dell'assegno, a pretenderne il pagamento da parte del padre, il cui obbligo, per l'effetto, sicuramente in astratto perdurante anche dopo il raggiungimento della maggiore età da parte della predetta (per tutte Cass. n. 1773/2012), è però cessato in concreto in ragione del raggiungimento dell'indipendenza economica da essa acquisita, dichiarata e seguita da espressa rinuncia al relativo introito. Il logico corollario ha determinato la cessazione della legittimazione spettante alla madre, a sua volta non più tenuta all'obbligo di contribuzione ai sensi dell'art. 148 c.c., al versamento dell'assegno da parte del coniuge, da quell'obbligo volontariamente affrancato dalla stessa avente diritto. Ed invero, in quanto presuppone necessariamente la sussistenza del diritto del figlio al mantenimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 147 e 148 c.c., la legittimazione ad agire del genitore affidatario cessa sincronicamente al sopravvenire di una causa d'estinzione di quella posizione sostanziale che il suo esercizio mira a garantire.

Non persistono dunque nè quella legittimazione nè quella personale del figlio se questi, titolare del diritto al mantenimento, vi abbia inequivocabilmente abdicato per la raggiunta sua condizione d'indipendenza che frustra la ratio sottostante l'obbligo contributivo posto a suo favore dal citato quadro normativo. Siffatta rinuncia, che incide evidentemente anche sull'obbligo di contribuzione che grava sullo stesso genitore affidatario ex art. 148 c.c., seppur nel caso di specie sia stata esplicitata in giudizio in forma ritenuta dal giudice del merito irrituale, ridonda comunque e per l'effetto inevitabilmente sulla verifica del perdurare dell'interesse della resistente R. ad opporsi alla pretesa esercitata dal coniuge, dal momento che l'adesione ad essa prestata dalla figlia S., rilevando nei sensi riferiti in chiave sostanziale, vanifica il senso della sua insistenza al rigetto della relativa domanda. Analoghe argomentazioni valgono con riguardo al contributo per le spese condominiali.

La Corte del merito ha risolto la questione aderendo acriticamente al principio espresso nel precedente della Cassazione citato che, come si è rilevato, riguarda l'ipotesi della revisione delle condizioni di divorzio, non omologabile a quella in esame, senza tener conto nè della rinuncia alla corresponsione dell'assegno espressa da S. B., nè del titolo sottostante la coabitazione madre - figlia, nè infine della formulazione della domanda, così come precisata dall'attore, odierno ricorrente, nel senso che dovevasi intendere tesa all'accertamento dell'insussistenza dell'obbligo paterno di mantenimento della figlia e non alla revisione delle condizioni di divorzio, dunque ad ottenere pronuncia dichiarativa e non costituiva.

Avendo ignorato tali decisivi rilievi, il giudice del gravame è pervenuto a decisione conclusiva affetta dal denunciato errore, che deve per l'effetto essere cassata con pronuncia nel merito ex art. 384 c.p.c., attesa l'esauriente istruttoria, disponendo l'accoglimento della domanda proposta da L.B. dalla data del novembre del 1996 in cui risultano essersi pacificamente verificati i seguenti eventi: la percezione di borsa di studio da parte della figlia S. che, seppur per la sua temporaneità e modestia di regola non dimostra l'acquisizione di indipendenza economica (Cass., ord. n. 2171/2012) in concreto è stata indicata dalla stessa beneficiaria quale adeguata fonte del suo mantenimento, e la conclusione di altri contratti di lavoro; la cessazione della convivenza tra la ragazza e la madre, con lei convivente in qualità di comproprietaria dell'immobile adibito ad abitazione, dunque in forza di titolo non riconducibile alla sua condizione di affidataria.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 13-12-2012, n. 22951


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