20 gennaio 2013

Chiamata del terzo - causa inscindibile - interpretazione della domanda


La Corte d'appello ha fatto corretta applicazione del principio per cui "quando il convenuto chiami in causa un terzo per ottenere la declaratoria della sua esclusiva responsabilità e la propria liberazione dalla pretesa dell'attore la causa è unica ed inscindibile, potendo la responsabilità dell'uno comportare l'esclusione di quella dell'altro, ovvero, nella ipotesi di coesistenza di diverse autonome responsabilità, ponendosi l'una come limite dell'altra; e pure ove l'attore non estenda la propria domanda contro il chiamato, la domanda stessa si intende automaticamente riferita anche al terzo, trattandosi di individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario. Ne consegue che non è possibile procedere alla separazione del giudizio principale da quello instaurato con la chiamata in causa del terzo senza incorrere nella violazione del principio del contraddittorio e quindi nella sanzione di nullità di tutte le successive attività processuali ed altresì che i due giudizi devono rimanere uniti anche nelle fasi di impugnazione" (Cass. n. 4529 del 1995; Cass. n. 7039 del 1997; Cass. n. 2219 del 2000; Cass. n. 11366 del 2002; Cass. n. 847 del 2007).

[...]

In proposito, si deve rilevare che nella giurisprudenza di questa Corte è saldo il principio per cui "in tema d'interpretazione della domanda, il giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa, alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate" (Cass. n. 19630 del 2011); il giudice di merito, non è tenuto, quindi, "ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte i- stante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale. In particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un'istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa pretendi" (Cass. n. 3012 del 2010; Cass. n. 22665 del 2004).

Più in generale, in contrasto con quanto sostenuto dalla ricorrente, deve ricordarsi che "il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) - come il principio del tantum devolutum quantum appellatum (artt. 434 e 437 cod. proc. civ.) - non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti, autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonchè in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed, in genere, all'applicazione di una norma giuridica, diversa da quella invocata dall'istante, ma implica tuttavia il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene della vita - diverso da quello richiesto (petitum mediato) - oppure di emettere qualsiasi pronuncia - su domanda nuova, quanto a causa petendi - che non si fondi, cioè, sui fatti ritualmente dedotti o, comunque, acquisiti al processo - anche se ricostruiti o giuridicamente qualificati dal giudice in modo diverso rispetto alle prospettazioni di parte - ma su elementi di fatto, che non siano, invece, ritualmente acquisiti come oggetto de contraddittorio" (Cass. n. 11039 del 2006; Cass. n. 15496 del 2007;

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 12-12-2012, n. 22776


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