24 settembre 2012

Motivazione apparente: dovere di motivazione del giudice - lavoratrici madri licenziate


"E' ben vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non adempie il dovere di motivazione il giudice che si limiti a richiamare principi giurisprudenziali asseritamente acquisiti senza tuttavia formulare alcuna specifica valutazione sui fatti rilevanti di causa e, dunque, senza ricostruire la fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta; in una situazione di tal tipo, infatti, il sillogismo che distingue il giudizio finisce per essere monco della premessa minore e, di conseguenza, privo della conclusione razionale (Cass. n. 11710 del 2011). Tuttavia, tale situazione nella fattispecie in esame non ricorre, in quanto la decisione impugnata ha richiamato i principi giurisprudenziali che la stessa P., appellante principale, aveva indicato a sostegno della sua doglianza relativa al mancato riconoscimento delle retribuzioni dal giorno del licenziamento senza necessità di un atto di messa in mora del datore di lavoro. La motivazione della sentenza contiene una chiaro riferimento alla giurisprudenza espressa in materia di licenziamento nullo perchè intimato durante lo stato di gravidanza della lavoratrice ("con l'appello principale la P. ... ha comunque rilevato la contrarietà di tale decisione rispetto a tutta la consolidata elaborazione giurisprudenziale, in base alla quale la lavoratrice licenziata in stato di gravidanza non ha alcuna necessità di fare offerta della propria prestazione. La censura è completamente fondata...ed è qui inutile riportare i principi giurisprudenziali in materia, ampiamente citati nel ricorso in appello ed a tutti noti").

E' evidente che non si versa in una situazione di motivazione apparente, essendo stata indicata la fattispecie legale cui atteneva l'orientamento giurisprudenziale condiviso e nella quale era ritenuta sussumibile la fattispecie concreta e tale giudizio espresso dal giudice di merito non è stato specificamente censurato in sede di ricorso per cassazione.

Va pure osservato che soddisfa l'obbligo di motivazione la sentenza del giudice di merito che, in punto di diritto e sulla questione discussa e decisa, abbia riportato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, dichiarando di condividerlo e di volervisi uniformare, in quanto anche in tal caso e con tali modalità risultano esposte, sia pure sinteticamente, le ragioni giuridiche della decisione (Cass. n. 13066 del 2007).

[...]

In ordine al quarto motivo, deve osservarsi che i principi di diritto di cui il giudice di appello ha fatto applicazione nel caso in esame sono quelli affermati dalla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la nullità del licenziamento derivante dalla normativa di tutela delle lavoratrici madri comporta l'obbligo datoriale di pagare le retribuzioni anche in mancanza di richiesta di ripristino del rapporto, dovendo il rapporto ritenersi come mai interrotto (cfr. Cass. n. 6595 del 2000; n. 1312 del 1998, n. 16189 del 2002, n. 10531 del 2004, nn. 426 e 10139 del 2005). Il licenziamento intimato in violazione delle norme anzidette è improduttivo di effetti, con la conseguenza che il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente e il datore di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall'inadempimento, in ragione dal mancato guadagno (Cass. n. 18537 del 2004). La nullità è comminata per il solo fatto che il licenziamento viene intimato nell'arco temporale protetto, risultando, pertanto, tale declaratoria del tutto svincolata dalle motivazioni - eccetto l'ipotesi della giusta causa - che l'abbiano determinato e, tra l'altro, indipendentemente dall'elemento psicologico del recedente.

Al riguardo, la società ricorrente non ha addotto argomenti atti a contrastare le ragioni su cui l'orientamento giurisprudenziale anzidetto si fonda, limitandosi ad opporre una propria diversa soluzione interpretativa, del tutto svincolata dall'esame e dalla confutazione della giurisprudenza costante."

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-09-2012, n. 15653

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