15 dicembre 2013

Consulente tecnico del pubblico ministero punito di più del CTP per il compimento di una falsa consulenza - profili di incostituzionalità

Premesso che l'oggetto del processo è costituito dalla condotta di alcuni soggetti che consegnavano ad un consulente tecnico del Pubblico ministero una somma di denaro (da quello simulatamente accettata) allo scopo di fargli predisporre una consulenza falsa, le Sezioni Unite sono chiamate a dare una qualificazione giuridica a detto fatto e, in particolare, a dare risposta alla questione: "se sia configurabile il reato di intralcio alla giustizia di cui all'art. 377 c.p., nel caso di offerta o di promessa di denaro o di altra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero al fine di influire sul contenuto della consulenza qualora il consulente tecnico non sia stato ancora citato per essere sentito sul contenuto della consulenza".

...la questione ermeneutica sottoposta all'esame della Corte si concentra sull'applicabilità di una delle due fattispecie delittuose già sperimentate nel corso del procedimento di merito, e cioè l'istigazione alla corruzione o l'intralcio alla giustizia.

A fronte di un orientamento giurisprudenziale, espresso da un unico precedente, per altro non recente, della Sesta Sezione (sentenza n. 4062 del 07/01/1999, Pizzicaroli, Rv. 214146), che aveva configurato il reato di istigazione alla corruzione nel caso di offerta o promessa di denaro o altra utilità fatta al consulente del pubblico ministero (nominato in fase di indagine e non ancora citato per il successivo eventuale dibattimento) affinchè ammorbidisse gli esiti della sua relazione, l'ordinanza della medesima Sesta Sezione, con la quale è stata rimessa la questione alle Sezioni Unite, evidenzia come possibile una qualificazione alternativa del fatto in termini di intralcio alla giustizia ex art. 377 c.p..

[...]

Procedendo per gradi, deve preliminarmente ricordarsi che il delitto di intralcio alla giustizia esiste, con questa rubrica, nel nostro ordinamento giuridico dal marzo del 2006.

Tale reato, infatti, è stato introdotto dalla legge 16 marzo 2006, n. 46, di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'ONU contro il crimine organizzato transnazionale (c.d. Convenzione di Palermo o Toc Convention), che, all'art. 23, invitava gli Stati aderenti a punire, con sanzione penale, la c.d. obstruetion of justice, e cioè le condotte di violenza, minaccia, intimidazione, promessa, offerta di vantaggi considerevoli per indurre alla falsa testimonianza o comunque interferire nella produzione di prove anche testimoniali, nel corso di processi relativi ai reati oggetto della Convenzione, ovvero consistenti nell'uso di violenza, minaccia, intimidazione per interferire con l'esercizio di doveri d'ufficio da parte di un magistrato o di un appartenente alle forze di polizia, in relazione agli stessi reati.

Per adeguarsi a tale indicazione, il legislatore, preso atto che nel sistema italiano esisteva già una norma - l'art. 377 c.p. - che puniva l'offerta o la promessa di vantaggi nei confronti del testimone e che era rubricata come "subornazione", con la citata L. n. 146, art. 14, è intervenuto sulla disposizione vigente, rinominando il già esistente delitto, appellandolo con il termine richiestoci dalla disposizione internazionale (e cioè come "intralcio alla giustizia") e aggiungendo al testo vigente due ulteriori commi (gli attuali terzo e quarto) per punire le condotte di violenza e minaccia.

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Per completezza, è opportuno ricordare che con la L. 20 dicembre 2012, n. 237 (di ratifica dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale permanente competente a conoscere del crimine di genocidio, c.d. dell'Aja) si è ulteriormente interpolato l'art. 377: con l'art. 10, comma 8, della novella si è estesa la portata della fattispecie penale in commento all'ipotesi in cui l'offerta o la promessa di denaro o altra utilità sia rivolta a persona chiamata a rendere dichiarazioni innanzi alla Corte dell'Aja.

Nessuna modifica è stata, invece, apportata dal legislatore all'art. 373 c.p., che, sotto la rubrica "Falsa perizia o interpretazione", punisce unicamente il perito o l'interprete che, nominato dall'autorità giudiziaria, da parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero.

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La dottrina, in modo assolutamente maggioritario, ritiene che il riferimento contenuto nell'art. 377 c.p., vada letto come riguardante il solo consulente tecnico di ufficio nominato dal giudice civile, e ciò malgrado sia assolutamente fuori discussione che, già prima dell'intervento del D.L. n. 306 del 1992, questa figura poteva essere destinataria di un'attività subornatrice punibile, in quanto l'art. 64 c.p.c., lo parifica ai fini della responsabilità penale al perito nominato dal giudice penale (v. Sez. 6, n. 14101 del 05/02/2007, Avancini, Rv. 236214). La disposizione del D.L. non avrebbe, in questa prospettiva, innovato, ma semplicemente confermato l'interpretazione già in precedenza proposta, con l'obiettivo di fugare ogni possibile dubbio ermeneutico. Non sarebbero, invece, possibili soggetti passivi dell'attività illecita punita dall'art. 377 c.p., i consulenti di parte e quelli nominati dal pubblico ministero, in quanto nei loro confronti non sarebbe ipotizzabile il delitto di cui all'art. 373 c.p..

Queste conclusioni, adombrate pure dai ricorrenti, trovano conforto anche nella giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato che il reato di falsa perizia (art. 373 c.p.) non è configurabile con riferimento all'attività dei consulenti di cui possono avvalersi sia il difensore sia il pubblico ministero, desumendosi questa conclusione non solo dal principio di stretta legalità sancito dall'art. 2 c.p., che inibisce il ricorso all'interpretazione analogica, ma, indirettamente, anche dal fatto che in occasione delle modificazioni apportate dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 11, comma 6, convertito dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, in tema di subornazione, era stato incluso tra le persone verso le quali si dirige l'opera del subornatore proprio il consulente tecnico: il che contribuiva a far ritenere che l'omessa indicazione del consulente tecnico nella norma dell'art. 373 c.p., fosse intenzionale (Sez. 6, n. 1096 del 26/03/1999, Poletti, Rv. 213681).

A parere del Collegio, effettivamente nella fattispecie qui considerata la norma richiamata dall'art. 377 c.p., in termini di direzione della condotta di intralcio non può essere, con riferimento al consulente tecnico nominato in sede penale, l'art. 373 c.p., che evoca, per quel che qui interessa, una "falsa perizia", in quanto il consulente tecnico (anche quello del pubblico ministero e pur con le precisazioni di cui si dirà) non è un perito e non produce dunque una perizia. Certo è ben possibile pensare che vi sia stato un difetto di coordinamento tra l'inserimento nell'art. 377 c.p., ad opera del D.L. n. 306 del 1992 del riferimento al consulente tecnico e la mancata previsione di tale figura soggettiva nell'art. 373 c.p., ma il rispetto del principio di tassatività del precetto penale rende impossibile considerare il riferimento alla "perizia" come estensibile alla "consulenza tecnica". A riprova della correttezza di questa conclusione va ricordato che il Progetto di riforma del codice penale elaborato dalla Commissione ministeriale presieduta dal prof. Pa. nella parte relativa ai delitti contro l'amministrazione della giustizia ha previsto espressamente il reato di "falsa perizia, interpretazione o consulenza", includendo tra i soggetti attivi di tale reato anche il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (v. il relativo Schema di delega legislativa per l'emanazione di un nuovo codice penale).

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Per le argomentazioni sopra svolte deve concludersi che appare del tutto razionale che al consulente tecnico del pubblico ministero siano applicabili le conseguenze penali previste, in caso di false dichiarazioni, dall'art. 372 c.p. (o, in sede di indagini, dall'art. 371 bis c.p.), ovviamente limitatamente a quella parte di attività che non contiene valutazioni tecnico-scientifiche, ma riporta l'esposizione circa la natura e la consistenza di queste.

A riprova di ciò sta, del resto, anche il dato letterale della norma: il riferimento al "consulente tecnico" - inserito nel testo dell'art. 377 c.p.p., senza ulteriori specificazioni, ad opera del D.L. n. 306 del 1992 - si presta senz'altro a essere rapportato anche alla figura di cui ci si occupa. L'opinione contraria, espressa, come si è visto, in dottrina e prospettata inizialmente pure dai ricorrenti, secondo cui il riferimento al consulente tecnico inserito dal citato d.l. n. 306 riguarderebbe solo quello nominato dal giudice civile, si scontra sia con un'obiezione formale (una simile specificazione non è indicata dalla norma) sia, soprattutto, con una insuperabile considerazione sistematica (l'estensione al consulente tecnico in sede civile delle disposizioni penali relative ai periti discende positivamente dalla espressa previsione dell'art. 64 c.p.c., comma 1, dovendosi essa dunque apprezzare, ove questo ne fosse il senso, chiaramente superflua; tanto che si è sempre ritenuto che il riferimento al "perito", contenuto nell'art. 373 c.p., debba intendersi fatto anche al consulente del giudice civile, proprio in forza del citato art. 64 c.p.c.).

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Si tratta, però, di una soluzione che - sebbene imposta per essere, come si è visto, l'art. 322 c.p., comma 2, l'unica norma applicabile al caso concreto - presenta, ad avviso del Collegio, innegabili profili di incostituzionalità.

L'offerta di denaro o di altra utilità al consulente del pubblico ministero (pubblico ufficiale) per il compimento di una falsa consulenza risulta punita più gravemente dell'analoga condotta diretta a un perito, che rientra pacificamente, per il principio di specialità, nell'art. 377 c.p., comma 1. Nella prima ipotesi, infatti, per il combinato disposto degli artt. 319 e 322 c.p., (nella formulazione vigente pro tempore, prima della riforma recata dalla L. n. 190 del 2012), sarebbe irrogabile la reclusione da un anno e quattro mesi a tre anni e quattro mesi; nella seconda, invece, per il combinato disposto degli artt. 372, 373 e 377 c.p., la reclusione da otto mesi a tre anni.

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Preso atto dell'inerzia del legislatore, che non ha ritenuto di intervenire sull'art. 373 c.p. (per prevedervi anche la falsa consulenza, includendo tra i soggetti attivi del reato anche il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero) e neppure di inserire tra i reati contro l'amministrazione della giustizia un apposito delitto che punisca la condotta di intralcio alla giustizia esercitata specificamente nei confronti del consulente tecnico del pubblico ministero, non resta che rilevare la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 322 c.p., comma 2, in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della inspiegabile disparità di trattamento di situazioni analoghe e della irragionevolezza, nella parte in cui per l'offerta o la promessa di denaro o altra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero per il compimento di una falsa consulenza prevede una pena superiore a quella di cui all'art. 377 c.p., comma 1, in relazione all'art. 373 c.p..

La rilevanza della questione discende, come si è visto, da tutte le considerazioni sopra svolte, che portano a concludere che l'unica disposizione applicabile alla particolare fattispecie sottoposta all'esame della Corte è appunto l'art. 322 c.p., comma 2, con gli inevitabili profili di contrasto con l'art. 3 Cost., di cui si è detto.

La questione di costituzionalità sollevata impone la sospensione del giudizio in corso. La Cancelleria provvederà a notificare la presente ordinanza ai ricorrenti, al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e a comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-06-2013) 23-10-2013, n. 43384


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