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13 gennaio 2013
Violazione delle distanze nelle costruzioni
La sentenza impugnata ha premesso che il risarcimento del danno conseguente alle violazioni delle distanze, costituendo un illegittimo asservimento della proprietà dell'istante, compete a quest'ultimo senza la necessità di una specifica attività probatoria, e che quindi tale danno, in difetto di precise indicazioni della parte danneggiata, è rimesso alla valutazione equitativa del giudice di merito, come appunto nella fattispecie, atteso che, pur essendo certo nella sua consistenza ontologica, sussisteva una certa difficoltà a provarne l'ammontare; pertanto il giudice di appello, tenuto conto dell'epoca iniziale degli abusi, ha determinato detto danno all'attualità in Euro 10.000,00 oltre interessi legali dalla decisione.
Orbene tale convincimento è conforme all'orientamento consolidato di questa Corte secondo cui in materia di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti comunali, al proprietario confinante che lamenti tali violazione compete, oltre la tutela in forma specifica, anche quella risarcitoria, con la precisazione che, determinando la suddetta violazione un asservimento di fatto del fondo del vicino, il danno deve ritenersi "in re ipsa", senza necessità di una specifica attività probatoria (Cass. 7-3-2002 n. 3341; Cass. 7-5-2010 n. 11196); conseguentemente la domanda di risarcimento danni proposta dal S. non necessitava di ulteriori specificazioni, e neppure era necessario l'espletamento di una attività istruttoria in proposito; infine è appena il caso di osservare l'assoluta genericità, e quindi l'inammissibilità, del profilo di censura relativo alla quantificazione del suddetto danno, limitato alla deduzione di una sua pretesa eccessività rispetto alla lesione, senza pertanto denunciare concretamente alcun vizio motivazionale.
Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-11-2012, n. 21486
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