13 gennaio 2013

Riduzione della penale


Nella giurisprudenza di questa Corte - fermo restando che il criterio cui il giudice deve fare riferimento per esercitare il potere di riduzione della penale non è la valutazione del danno che sia stato accertato o risarcito, ma l'interesse che la parte ha, secondo le circostanze, all'adempimento della prestazione cui ha diritto - possono registrarsi due orientamenti in ordine al momento cui riferire la valutazione. Secondo un primo maggioritario orientamento, deve aversi riguardo all'interesse all'esecuzione del contratto al momento della stipulazione della clausola (Cass. 9 maggio 2007, n. 10626; Cass. 5 agosto 2002, n. 11710; Cass. 25 giugno 1981, n. 4146; Cass. 29 marzo 1976, n. 1130; Cass. 14 febbraio 1974, n. 419); secondo altro orientamento, si deve avere, invece, riguardo all'"incidenza che l'inadempimento ha in concreto avuto sulla realizzazione dell'interesse della parte, riferita non al solo momento della conclusione del contratto, ma a quello in cui la prestazione attesa è stata sia pure in ritardo eseguita o è definitivamente rimasta ineseguita" (Cass. 3 settembre 1999, n. 9298; conf. Cass. 14 luglio 1976, n. 2716). Il Collegio, ritiene di dover seguire tale secondo orientamento benchè la lettera dell'art. 1384 c.c., coniugando al passato il verbo "avere" riferito all'interesse del creditore, offra un indubbio elemento a favore della tesi contraria. L'elemento letterale sembra, infatti, superato dall'elemento sistematico che può trarsi dalla funzione della previsione in capo al giudice del potere di ridurre la penale. In proposito le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che il potere di riduzione ad equità, è attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c. a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento e può essere esercitato d'ufficio per ricondurre l'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela (Cass. s.u. 13 settembre 2005, n. 18128). Tale funzione, come rileva la stessa decisione, nasce dalla necessità "di una rilettura degli istituti codicistici in senso conformativo ai precetti superiori della Costituzione, individuati nel dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.), nell'esistenza di un principio di inesigibilità come limite alle pretese creditorie (C. cost. n. 19/94), da valutare insieme ai canoni generali di buona fede oggettiva e di correttezza (artt. 1175, 1337, 1359, 1366 e 1375 cod. civ.)". In questa prospettiva al Collegio non sembra possibile espungere la considerazione della fase attuativa del rapporto ai fini della considerazione dell'interesse del creditore alla prestazione.

Anche in tale fase, infatti, trovano applicazione il dovere costituzionale di solidarietà ex art. 2 Cost., il dovere di correttezza (art. 1175 c.c.) ed il dovere di buona fede (art. 1375 c.c.). 

Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-12-2012, n. 21994


Nessun commento: