06 gennaio 2013

Rapporto di causalità - perdita di chances - condotta del medico


Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro intrinseca connessione, sono infondate per le ragioni che seguono.

Occorre muovere dalla considerazione che nella sentenza n. 4400 del 2004, che cassò con rinvio la pronuncia della Curia meneghina, questa Corte ebbe modo di precisare che anche in sede civile risarcitoria, il nesso di causalità materiale andava determinato a norma degli artt. 40 e 41 cod. pen., (confr. Cass. pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328); che, esclusa la possibilità di dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma o meno dell'esistenza del nesso causale, dovendo il giudice verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, il rapporto di causalità andava affermato quando risultasse giustificato e processualmente certo che la condotta colpevole del medico era stata condizione necessaria dell'evento lesivo con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica; che in una situazione in cui era certo che il medico aveva dato alla patologia sottopostagli una risposta errata o in ogni caso inadeguata, era possibile affermare che, in presenza di fattori di rischio, detta carenza aveva aggravato la possibilità che l'esito negativo si producesse, di talchè il paziente aveva perso, per effetto di detto inadempimento, delle chances di guarigione che statisticamente aveva;

che la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non era una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d'autonoma valutazione, onde la sua perdita configurava un danno concreto ed attuale (ex pluribus Cass. civ. 10 novembre 98 n. 11340, Cass. civ. 15 marzo 1996 n. 2167).

In tale prospettiva, nel medesimo arresto, questa Corte, precisato che la domanda per perdita di chances è ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato, perchè in questo secondo caso l'accertamento è incentrato sul nesso causale, mentre nel primo oggetto dell'indagine è un particolare tipo di danno, e segnatamente una distinta ed autonoma ipotesi di danno emergente, incidente su di un diverso bene giuridico, quale la mera possibilità del risultato finale, ha affermato che, nella fattispecie, gli attori avevano domandato esclusivamente il risarcimento del danno per la morte del loro congiunto, conseguente ad assunto errore diagnostico ed omesso intervento chirurgico, di talchè il giudice di merito avrebbe dovuto valutare se esisteva siffatto errore ovvero un'omissione del comportamento dovuto sulla base dei normali protocolli di cura e, in caso positivo, se, in assenza di tanto, il B. aveva ragionevoli probabilità di salvezza.

[...]

Ora nella fattispecie, il giudice di merito si è espresso negativamente proprio sull'esistenza del nesso di causalità materiale, di talchè ogni indagine sotto il profilo della causalità giuridica è irrimediabilmente preclusa.

Piuttosto la negativa valutazione formulata sul punto dal decidente è oggetto delle critiche svolte nel primo mezzo. Di esse conviene quindi occuparsi.

Trattasi di censure prive di fondamento per le ragioni che seguono.

Va qui ancora una volta ribadito che l'accertamento del legame eziologico tra la condotta illecita del medico, commissiva o omissiva e la lesione in concreto patita dal paziente, è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, con la precisazione che nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (confr. Cass. Civ. 16 ottobre 2007, n. 21619).

Venendo al caso di specie, il giudice di merito, con argomentazioni immuni da errori logici, esenti da aporie e da contrasti disarticolanti con il contesto fattuale di riferimento, ha affermato, sulla base dei rilievi del consulente tecnico, che il giudizio controfattuale in ordine alla incidenza eziologica del comportamento dei sanitari sulla morte del paziente non dava possibilità di salvezza dello stesso superiori al 10%, di talchè, anche a volere ipotizzare una immediata, corretta diagnosi della patologia che lo aveva colpito, mancava una soglia di probabilità di sopravvivenza apprezzabile in termini tali da consentire di addebitare all'ente ospedaliero la responsabilità della morte del B..

Tale valutazione che applica correttamente i principi giuridici che governano la materia, resiste ai rilievi critici degli impugnanti, rilievi che, attraverso la surrettizia evocazione di vizi di violazione di legge, in realtà inesistenti, mirano esclusivamente a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimità.

Il ricorso è respinto.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-11-2012, n. 21245


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