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06 gennaio 2013
Interpretazione del contratto
Quanto al secondo aspetto, la decisione impugnata è conforme al consolidato orientamento secondo cui, anche ai fini dell'accertamento della risoluzione di diritto, conseguente - come nella specie - a diffida ad adempiere senza esito, intimata dalla parte adempiente, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell'inadempimento; in particolare, dovrà verificare sotto il profilo oggettivo che l'inadempimento sia non di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall'art. 1455 cod. civ. (Cass. n. 9314/2007; 5407/2006; 4275/1994; 2979/1991).
Nel caso in esame, tale valutazione vi è stata ed è stata motivata correttamente sotto il profilo logico e quello giuridico. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato - oltre quanto segnalato al precedente punto - che la violazione della clausola 7) configurava certamente un grave inadempimento ai sensi, dell'art. 1453 c.c. (tale dovendosi, intendere il riferimento all'art. 1253 c.c.), nonchè artt. 1218 e 1454 c.c..
[...]
Con specifico riguardo alle doglianze formulate nel terzo motivo, si deve ribadire che:
per potersi configurare la violazione delle regole di interpretazione del contratto, non è sufficiente che il ricorrente faccia richiamo all'art. 1362 c.c. e segg., in quanto è necessario che vengano specificati i canoni in concreto non osservati ed il modo in cui il giudice del merito si sia da essi discostato, non essendo idonea una critica del risultato raggiunto dallo stesso giudice mediante la contrapposizione di una diversa interpretazione: (Cass., sez. lav., 22 novembre 2010, n. 23635; Cass., sez. 2, 31 maggio2010 n. 13242; Cass., Sez. lav., 1 luglio 2004, n. 12104; Cass., Sez. 2, 20 agosto 1997, n. 7738; Cass., Sez. 2, 30 gennaio 1995, n. 1092; Cass., Sez. lav. 23 gennaio 1990, n. 381), con il conseguente obbligo per il ricorrente di richiamare e specificare i canoni ermeneutici di cui assume la violazione, precisando in quale modo e con quali considerazioni il giudice se ne sia discostato.
Quando in sede di legittimità venga denunziata la violazione di tali regole, è necessaria la specifica dimostrazione del modo in cui il ragionamento seguito dal giudice di merito abbia deviato dalle regole nei detti articoli stabilite, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera proposizione di una diversa e più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (Cass. 4 giugno 2007 n. 12946 e n. 12936).
Invero, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (Cass. 20 novembre 2009 n. 24539; 2 maggio 2006 n. 10131; 17 luglio 2003 n. 11193).
Non può, perciò, trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (Cass. 27 marzo 2007 n. 7500); non potendo il ricorrente allegare la violazione da parte del giudice del merito dei criteri di ermeneutica contrattuale, allorchè si limiti a contrapporre la propria interpretazione del contratto agli esiti cui si perviene nella sentenza impugnata (Cass. 26 dicembre 2006 n. 26683);
Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-11-2012, n. 21237
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