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13 gennaio 2013
Impugnazione della sentenza e morte della parte vittoriosa
Si è ormai consolidato l'orientamento di questa Corte (confronta Cass. Sez. Un. 16 dicembre 2009, n. 26279) secondo cui l'atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell'evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente; ove l'impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non può trovare applicazione la disciplina di cui, all'art. 291 cod. proc. civ..
(Principio enunciato dalla S.C. in riferimento ad un giudizio iniziato in epoca anteriore alla L. 26 novembre 1990, n. 353).
In motivazione le Sezioni Unite hanno chiarito che la morte è evento ineluttabile, sicchè l'eventualità che si verifichi, nel corso del processo (senza essere dichiarato o notificato dal procuratore) o dopo la pubblicazione della sentenza, non è affatto remota. E per queste ipotesi l'art. 328 c.p.c. contiene regole che danno luogo a un'adeguata tutela del diritto di impugnazione della parte non colpita dall'evento:- a norma del comma 1, la notificazione della sentenza, effettuata dalla parte vittoriosa quando era ancora in vita, diviene inefficace, se la morte sopravviene durante la pendenza del termine "breve" di impugnazione, il quale non inizia a decorrere di nuovo se non da quando il soccombente ha avuto notizia del decesso dell'altra parte mediante la prescritta rinnovazione della notificazione della sentenza ad opera degli eredi, ai quali poi l'atto di impugnazione può essere notificato collettivamente e impersonalmente, per il disposto dell'art. 330 c.p.c.; - a norma del comma 3, se la notificazione della sentenza o la sua rinnovazione non sono avvenute, il termine "lungo" è prorogato di sei mesi, se la morte si è verificata dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.
Il soccombente, al quale il decesso non è stato comunicato mediante la notificazione della sentenza e lo ignora senza colpa, dispone dunque di almeno un anno, per poter verificare se eventualmente la parte vittoriosa non sia più in vita: accertamento agevolmente effettuabile mediante la consultazione dei registri di stato civile, dato che la morte di ognuno viene annotata a margine del suo atto di nascita, come dispone il D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 81.
L'ampiezza del suddetto lasso di tempo è tale, da non rendere eccessivamente difficoltoso - tanto da menomare sensibilmente il diritto di azione dell'impugnante - l'adempimento del compito che il principio del contraddittorio gli impone, secondo l'insegnamento, già richiamato nelle sentenze n. 11394/96 e 15783/05, di uno dei fondatori della moderna scienza italiana del diritto processuale civile: le parti, quando è definito un grado e deve aprirsene un altro, "tornano nella situazione in cui si trova l'attore prima di proporre la domanda, cioè di dover conoscere la condizione di colui col quale intende contrarre il rapporto processuale". Il giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza impugnata con il ricorso in esame è iniziato il 1 dicembre 1987. Non possono quindi venire in considerazione nè il nuovo testo dell'art. 164 c.p.c., come modificato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 9 (che consente di sanare con effetto retroattivo le nullità della citazione, mediante la sua rinnovazione), nè l'art. 153 c.p.c., comma 2 inserito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46 (che ammette la rimessione in termini della parte incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile).
Pertanto il ricorso è inammissibile. Non luogo a provvedere sulle spese.
Cass. civ. Sez. III, Sent., 04-12-2012, n. 21716
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