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13 gennaio 2013
Il termine assegnato per chiamare tl terzo in causa non è perentorio
Costituisce principio consolidato che il termine che il giudice istruttore abbia concesso alla prima udienza per la chiamata di un terzo in causa, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., comma 2 (nel testo vigente anteriormente a quello introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 29), sia in modo espresso, sia in modo implicito (attraverso la fissazione dell'udienza per la comparizione del terzo ed il conseguente obbligo del chiamante di notificare l'atto di chiamata non oltre l'ultimo giorno utile per il rispetto dei termini di cui all'art. 163 bis c.p.c.), non è fra quelli che la legge qualifica come perentori o consenta al giudice di dichiararlo tale, di modo che il giudice può prorogarlo per consentire alla parte di compiere quell'attività per cui era stato concesso, ma pur sempre prima della sua scadenza e non dopo (v., tra le tante, Cass. n. 1830 del 1980, n. 4537 del 1976). Si tratta cioè di un termine ordinatorio che è prorogabile, ai sensi dell'art. 154 c.p.c., solo prima della sua scadenza, sicchè il suo decorso senza la presentazione di un istanza di proroga, determinando gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori, impedisce la concessione di un nuovo termine; inoltre la proroga non può avere una durata superiore al termine originario e non può essere consentita una proroga ulteriore se non per motivi particolarmente gravi evidenziati nel provvedimento con il quale venga concessa (Cass. n. 23227 del 2010, n. 1064 del 2005, n. 6895 del 2003).
Diversamente, non solo si violerebbero i richiamati principi ma, contrariamente alla volontà del legislatore, si lascerebbe la parte interessata arbitra di decidere del corso temporale del procedimento.
Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-12-2012, n. 21684
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