13 gennaio 2013

Azione di rivendicazione o di reintegrazione e non la riconvenzionale per rientrare in possesso del bene


Premesso quanto precede, e rilevato che il richiamo da parte della ricorrente ad una massima giurisprudenziale di legittimità (relativa a Cass. 3A n. 23.086 del 10.12.04) in tema non risulta di apporto alla tesi sostenuta, poichè dal contenuto della motivazione della sentenza citata non sembra cogliersi alcun esplicito riferimento alla diversità del titolo ad detinendum opposto dal convenuto, rispetto a quello la cui validità o persistenza sia contestata dalla parte attrice, deve ritenersi che, nel caso di specie, l'opposizione in via di eccezione dei gradati titoli petitori ad possidendum da parte della convenuta, detentrice in virtù di un apparente titolo personale, non sarebbe valsa a paralizzare la domanda recuperatoria della posseditrice tradens, in un contesto nel quale il godimento del bene era stato conseguito in forza di un (apparente) titolo personale, che non avrebbe potuto comportare il trasferimento anche del possesso (v. S.U. 7930/08, secondo cui il promissario acquirente, cui il bene sia stato anticipatamente consegnato, è solo detentore qualificato e non possessore del bene medesimo,il cui possesso continua ad essere esercitato per conto del promittente venditore).

Nè legittima avrebbe potuto ritenersi la protrazione di tale godimento, in forza non del titolo in virtù del quale lo si era conseguito, ma di altri, quand'anche preesistenti, di cui le parti non avevano tenuto conto all'atto della traditio e dal detentore poi invocati, adducendo una sorta di postuma "scoperta", soltanto successivamente a tali stipula e consegna; Il riconoscimento di un siffatto effetto paralizzante della domanda recuperatoria del tradens, in virtù di mera eccezione, e non anche di azione riconvenzionale di rivendicazione, con la quale soltanto avrebbe potuto ai sensi dell'art. 948 c.c. conseguirsi il possesso o la detenzione, da parte del proprietario (o comproprietario) del bene nei confronti di chiunque lo possedesse o detenesse (nella specie dell'attrice), si sarebbe tradotto nell'implicita ammissione di una illegittima forma di autotutela accordata alla parte convenutala ritenersi non consentita, al di fuori dei casi eccezionali espressamente previsti (come nell'ipotesi di cui all'art. 1460 c.c.),in virtù di un principio fondamentale ed immanente nell'ordinamento civile, secondo il quale nessuno può farsi ragione da sè medesimo,senza ricorrere al giudice,nelle forme e nei casi consentiti.

Ne consegue che, essendo il possesso o la detenzione di un bene, da altri posseduto e di cui ci si affermi proprietario o comproprietario, recuperabili soltanto con l'azione di rivendicazione (o con quella di reintegrazione nel possesso ex art. 1168 c.c.), e non con la proposizione di una semplice eccezione riconvenzionale, il cui accoglimento si sarebbe risolto nella ratifica giudiziale di un illegittimo atto di autotutela, correttamente il giudice a qua (pur pronunziandosi, senza esservi tenuto, sulle eccezioni petitorie della convenuta e dichiarandole comunque infondate) ha ritenuto dirimenti la natura personale dell'azione di rilascio esercitata dall'attrice e l'accertata radicale invalidità del titolo in virtù del quale era avvenuto il trasferimento della detenzione.

Le suesposte ragioni di rigetto dell'esaminato motivo comportano il consequenziale assorbimento reiettivo del primo e del secondo.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-11-2012, n. 21494


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