20 dicembre 2012

Nullità della sentenza e riesame ex novo e funditus de merito della controversia.


La Corte d'Appello, pur avendo chiaramente, e correttamente, ritenuto nella parte iniziale della motivazione, che la sentenza di primo grado fosse affetta da nullità, in quanto emessa ancor prima della scadenza dei termini concessi alle parti ex art. 190 c.p.c. (così vanificando le garanzie di difesa e pieno contraddittorio tra le parti), non solo ha omesso, nel dispositivo, di dichiarare tale nullità, ma, ponendosi in palese contrasto con il pur enunciato ed altrettanto corretto principio, secondo cui, non versandosi in ipotesi di regressione del processo in primo grado la dichiarata nullità avrebbe imposto il riesame ex novo e funditus de merito della controversia, è incorsa nel duplice errore: a) di recuperare una parte della sentenza di primo grado, pur ritenuta nulla, affermandone il relativo passaggio in giudicato; b) di esaminare i thema decidenda non come proposti dalle parti al primo giudice, bensì alla stregua di giudice di secondo e sulla scorta "delle doglianze di merito avanzate dall'appellante" (v. pag. 3,secondo periodo della motivazione), per poi concludere per l'inammissibilità del gravame, nella parte ritenuta preclusa dal "giudicatole per l'infondatezza dello stesso, sia pur nell'ottica delibativa imposta dalla "cessazione della materia del contendere" (peraltro non condivisa dalla stessa corte, v. pag., 4 1^ cpv., secondo periodo) ed ai fini della soccombenza virtuale, pervenendo infine, con evidente schisi logica, al "rigetto" del "proposto gravame".

Dal groviglio delle argomentazioni poste a base di tale pronunzia, balza evidente l'intima contraddittorietà ed erroneità dell'impianto decisionale, considerato che, una volta accertata la nullità della sentenza, in presenza di un radicale vizio che ne aveva inficiato la validità nel suo complesso, nessuna parte della stessa avrebbe potuto sopravvivere ed assurgere al rango di cosa giudicata, tanto meno ove si fosse considerato che l'appellante, deducendo quella nullità, aveva investito della relativa censura l'intera sentenza, ivi compreso quel capo nel quale la stessa aveva, a torto o ragione, dichiarato "cessata la materia del contendere".

In siffatto contesto, il giudice di appello, una volta dichiarata (correttamente e come non viene contestato dalle parti in questa sede), la nullità della gravata sentenza, avrebbe dovuto riesaminare le questioni dedotte dalle parti, accertare se effettivamente la materia del contendere fosse cessata, o ancora persistesse, sia pure in parte, e pronunziarsi nel merito della controversia, ai fini della soccombenza, virtuale nel primo caso, effettiva nel secondo, e regolare di conseguenza le spese.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-11-2012, n. 20009


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