28 dicembre 2012

La lettera raccomandata o il telegramma costituiscono prova certa della spedizione.


Il giudice di appello si è uniformato al principio più volte enunciato dalla Corte di cassazione, secondo cui "La lettera raccomandata o il telegramma - anche in mancanza dell'avviso di ricevimento - costituiscono prova certa della spedizione, attestata dall'ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell'atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 cod. civ. dello stesso, per cui spetta al destinatario l'onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente" (Cass. civ. Sez. 3, 27 luglio 2001 n. 10284; Idem, 24 novembre 2004 n. 22133; Cass. civ. Sez. 2, 13 aprile 2006 n. 8649, ed altre).

Il ricorrente non ha contestato che l'indirizzo a cui è stato inviato il telegramma corrisponda a quello della sua abitazione, sicchè la prova dell'invio - fornita dal mittente mediante la produzione della busta e del testo del telegramma, costituisce prova sufficiente a rendere operante la presunzione per cui gli atti e le dichiarazioni recettizie si ritengono conosciuti nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia (art. 1335 cod. civ.).

Il ricorrente non ha fornito la suddetta prova. Le dichiarazioni da lui rese in sede di interrogatorio formale non rivestono efficacia confessoria, trattandosi di dichiarazioni a sè favorevoli; mentre il fatto che la controparte non avrebbe contestato le sue affermazioni è specificamente smentito dal resistente.

Il giudice di appello ha quindi correttamente deciso.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-11-2012, n. 20583


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