27 novembre 2012

Il rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge configura e integra violazione dell'inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall'art. 143 cod. civ.


Il motivo non è fondato.

La corte territoriale risulta infatti avere adeguatamente chiarito le ragioni dell'avversata statuizione di addebito della separazione alla ricorrente, a fronte dell'emerso comportamento della ricorrente e della relativa valutazione, coerente con il dettato normativo e col principio di diritto già affermato da questa Corte (cfr cass. n. 6276 del 2005), secondo cui "Il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge - poichè, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner - configura e integra violazione dell'inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall'art. 143 cod. civ., che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale.
Tale volontario comportamento sfugge, pertanto, ad ogni giudizio di comparazione, non potendo in alcun modo essere giustificato come reazione o ritorsione nei confronti del partner e legittima pienamente l'addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l'esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato". La sussistenza del nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza appare, inoltre, plausibilmente seppure implicitamente correlata alle emerse risultanze processuali, mute in ordine ad antecedenti o concomitanti ragioni di reciproca ed insuperabile conflittualità coniugale, come tali inidonee pure a dimostrare la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto e non smentite dai passi delle deposizioni trascritte nel ricorso, prive sul punto alcun decisivo rilievo contrario. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna della soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-11-2012, n. 19112


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