18 novembre 2012

Appello civile - interessi e valore della causa


L'art. 339 c.p.c., comma 3, nel testo vigente prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, è applicabile alla fattispecie tenuto conto della data (19/1/2005) di pubblicazione della sentenza appellata; la norma, all'epoca, prevedeva l'inappellabilità delle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità con la conseguenza che tali sentenze erano soggette al solo rimedio del ricorso per Cassazione; le sentenze eccedenti il limite di valore fissato per il giudizio di equità del GdP erano invece soggette ad appello. Con la riforma del 2006 sono divenute appellabili (limitatamente alla violazione delle norme sul procedimento, delle norme costituzionali o comunitarie o dei principi regolatori della materia) le sentenze pronunciate secondo equità; restano appellabili e, quindi sottratte all'immediato ricorso per Cassazione, le sentenze del GdP eccedenti il valore (Euro 1,100, corrispondente a lire 2.129.897) previsto per la pronuncia secondo equità e le sentenze di valore pari o inferiore al predetto importo sono decise secondo equità a prescindere dal fatto che esse siano pronunciate secondo diritto o secondo equità, a tal fine dovendo considerarsi non il contenuto della decisione ma, appunto, solamente i valore della controversia, da determinarsi applicando analogicamente le norme di cui all'art. 10 c.p.c. e segg., in tema di competenza e senza tenere conto del valore indicato dall'attore ai fini del pagamento del contributo unificato (cfr. ex multis e da ultimo Cass. 11/6/2012 n. 9432; per l'applicazione dei criteri di cui all'art. 10 c.p.c. v. anche, tra le tante, Cass. 18/1/2005 n. 899).

In particolare (confutandosi la tesi dei ricorrenti) va osservato, quanto all'irrilevanza (sotto il profilo dell'individuazione del valore oltre il quale il giudizio cessa di essere di equità) dell'indicazione del valore ai fini del pagamento del contributo unificato, questa Corte (Cass. 13 luglio 2007, n. 15714 Ord., richiamata da Cass. n. 9432/2012 cit.) ha, infatti, affermato il principio, al quale occorre dare continuità, secondo cui la circostanza che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 14, comma 2, esclude la rilevanza degli interessi per la individuazione del valore ai fini del contributo unificato, mentre essi sono considerati dall'art. 10 c.p.c., comma 2, rilevanti ai fini dell'individuazione del valore della domanda ed il fatto che la dichiarazione della parte in funzione della determinazione del contributo unificato è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, escludono decisamente ogni possibile partecipazione di tale dichiarazione di valore alle conclusioni della citazione, cui allude l'art. 163, n. 4 e, quindi, la possibilità di considerare la dichiarazione come parte della "domanda", nel senso cui vi allude l'art. 10 cit., comma 1 laddove si stabilisce che "il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti".

Tali principi possono ritenersi ormai consolidati e pertanto si deve concludere che, indipendentemente dal valore dichiarato ai fini del contributo unificato, se il valore della controversia, determinato ai sensi dell'art. 10 c.p.c., eccede il limite di Euro 1.100,00, la sentenza del GdP non è pronunciata secondo equità ed è soggetta ad appello e non a ricorso per Cassazione.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-10-2012, n. 17682

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