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16 ottobre 2012
Presunzione di comunione delle parti comuni e previsioni negoziali dei contratti di vendita degli immobili
"Il primo, il terzo e il quarto motivo - che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono infondati. I Giudici, nell'interpretare le clausole contrattuali inserite nei contratti di vendita, hanno ritenuto che la presunzione di comunione delle parti comuni era stata vinta dalle previsioni negoziali, con le quali a favore del venditore e originario costruttore dell'edificio era stata riservata la proprietà degli spazi adiacenti liberi e l'area di parcheggio. I ricorrenti censurano siffatta interpretazione e, nel dedurre la nullità o addirittura l'abnormità delle clausole ove alle stesse dovesse darsi il significato attribuitole dalla sentenza impugnata, sostengono che la volontà negoziale doveva essere interpretata nel senso che le parti avrebbero inteso considerare necessariamente condominiali o asservite tali aree, posto che le stesse erano indispensabili sia per raggiungere l'ingresso del fabbricato sia per accedere all'area parcheggio.
Orbene, se da un canto del tutto irrilevanti nella risoluzione della questione in esame devono ritenersi le considerazioni formulate dai Giudici a proposito della natura del corridoio/passaggio veicolare e pedonale collegante la pubblica via con l'ingresso dell'edificio, va considerato che l'interpretazione del contratto, consistendo in un'operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un'indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare - in relazione al contenuto del testo contrattuale - l'erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione: tali oneri non sono stati ottemperati dai ricorrenti. Ed invero, non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente - come appunto nella specie - nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati: occorre ricordare che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l'interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra. (Cass. 7500/2007; 24539/2009).
D'altra parte, in merito alle ragioni dedotte a sostegno della denunciata invalidità delle clausole, va osservato che in caso di costituzione del condominio a seguito del frazionamento della proprietà di un edificio, determinato dall'alienazione da parte dell'originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina la comunione "pro indiviso" di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano - in tale momento costitutivo del condominio - destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, sempre che il contrario non risulti dal titolo: il che sta a significare che è possibile la volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri.
L'obiettiva attitudine dei beni a soddisfare esigenze collettive non esclude che gli stessi siano oggetto di proprietà esclusiva di un condomino, posto che in tal caso l'asservimento necessario esistente al momento della costituzione del condominio configurerà eventualmente ù ove ne ricorrano i presupposti voluti dall'art. 1062 c.c. - una servitù costituita per destinazione del padre di famiglia.
D'altra parte, i Giudici, respingendo le eccezioni formulate dai convenuti e decidendo nell'ambito della domanda attorea, hanno ritenuto che l'attore era proprietario delle aree in questione e nessun altro provvedimento avrebbero dovuto emettere in mancanza di una domanda riconvenzionale di declaratoria di diritti su tali aree a favore dei convenuti, che dall'esame della sentenza impugnata non risulta proposta: i predetti avrebbero dovuto allegare di avere al riguardo proposto tempestivamente e ritualmente siffatta domanda nel giudizio di merito e denunciarne l'omesso esame da parte dei Giudici ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, e art. 112 c.p.c.."
Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-10-2012, n. 17036
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