
"Il ricorso, inizialmente assegnato alla prima sezione civile, a seguito di ordinanza del 17 ottobre 2011 che ha segnalato il contrasto tra diverse pronunce in ordine all'applicabilità della prescrizione nelle controversie ai sensi della L. n. 89 del 2001, è stato assegnato alle sezioni unite. In occasione dell'udienza di discussione davanti a queste sezioni unite la difesa erariale ha depositato memoria.
[...]
L'indirizzo tradizionale e largamente prevalente afferma che in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l'indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine della prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto nel medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all'incompatibilità tra prescrizione e decadenza, se relative al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione delle iniziative processuali, che l'operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass. 30 dicembre 2009 n. 27719, e nello stesso senso, 12 febbraio 2010 n. 3325; 22 febbraio 2010, n. 4091; 24 febbraio 2010, n. 4526; 26 febbraio 2010, n. 4760; 4 ottobre 2010 n. 20564, 11 gennaio 2011 n. 478).
Secondo l'ordinanza di rimessione, in senso opposto si sarebbe pronunciata Cass. 24 febbraio 2010 n. 4524 dalla quale è stata estratta la seguente massima: "il diritto di chi ha subito una danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla L. 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, par. 1, della Convenzione, ad un equa riparazione, secondo quanto previsto dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, ha natura indennitaria e non risarcitoria ed è quindi soggetto all'ordinaria prescrizione decennale e non a quella breve dettata dall'art. 2947 c.c.; la vicenda estintiva matura nel tempo e per effetto del proseguire del processo e del verificarsi dei pregiudizi per i soggetti legittimati a chiedere l'indennizzo, per cui all'attore compete ogni danno dal momento degli eventi lesivi che si susseguono a decorrere dal decimo anno anteriore alla domanda, salvo che questa sia stata proposta oltre il termine di sei mesi di cui all'ultimo inciso della L. n. 89 del 2001, art. 4". Nella specie, peraltro, era in discussione soltanto la durata del termine ma non l'applicazione della prescrizione già avvenuta. Questa massima è stata espressamente posta a base del provvedimento di merito in questa sede impugnato e ad essa l'ordinanza di rimessione aggiunge l'ulteriore considerazione che la scelta di qualificare come meramente processuale la L. n. 89 del 2001, art. 4, fatta propria dal primo orientamento, non approfondisce le ragioni per le quali al diritto che nasce nel corso del processo per l'indennizzo dei danni prodotti dal prolungarsi di esso, pur non essendovi un esplicita deroga normativa alla regola generale dell'art. 2934 c.c., comma 2, e potendosi comunque far valere nel momento in cui si assume che la violazione del diritto alla giusta durata del procedimento si è verificata (art. 2935 c.c.), non possa applicarsi la prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.), con ogni disposizione accessoria (interruzione e sospensione), per i danni maturati successivamente al 1 agosto 1973, data di inizio del funzionamento dell'organo giurisdizionale sopranazionale che poteva accertare la lesione dei diritti dei legittimati ad agire prima ancora dell'entrata in vigore della cosiddetta legge Pinto. Sottolineare che la decadenza prevista nella citata L. n. 89 del 2001, impedisce che maturi la prescrizione, non tiene conto che il processo presupposto può continuare ed essere pendente anche oltre la data della domanda di equa riparazione, con la conseguenza che l'esame della eccezione di prescrizione può valutarsi prima della definitività della sentenza che conclude il processo presupposto, anche in considerazione del diritto vivente che risulta dalle decisioni della Corte Europea dei diritti dell'uomo che hanno riconosciuto la prescrittibilità delle posizioni soggettive tutelate dalla convenzione, alle quali possono di regola applicarsi le norme processuali e sostanziali di diritto interno, ove non impediscano la tutela effettiva del diritto di cui alla Convenzione stessa (con riferimento alla prescrizione, cfr. Previti c. Italia 8 dicembre 2009 ric. n. 45291/06, Par. 118, 119 e 123). Conclude l'ordinanza di rimessione che del contrasto appare opportuno investire le sezioni unite della Corte, anche in ragione dei rilevanti problemi di politica giudiziaria che la risoluzione della questione pone, in rapporto agli oneri rilevanti di bilancio che l'applicazione della cosiddetta legge Pinto comporta, che potrebbero variare, secondo che si applichi l'uno o l'altro dei principi sopra enunciati.
3. La Corte ritiene di dover privilegiare l'orientamento largamente prevalente nella propria giurisprudenza.
Si deve innanzi tutto prendere atto che, qualunque sia la tesi interpretativa preferibile sul piano teorico generale circa la prescrittibilità di ogni diritto, anche se di natura costituzionale o avente base legale in una disciplina sovranazionale (pur se, conseguentemente, debba ritenersi indisponibile), e circa la compatibilità della prescrizione e decadenza di uno stesso diritto, la lettera della L. n. 89 del 2001, art. 4, con norma che ha evidente natura di legge speciale, prevede testualmente che il termine per proporre la domanda di equa riparazione quando il processo è esaurito è termine di decadenza, mentre per proporre la domanda in corso di processo non è previsto alcun termine.
E sempre sul piano testuale una convincente lettura dell'art. 2697 c.c., in coerenza, peraltro con la rubrica dell'art. 2964 c.c., postula appunto l'affermazione dell'incompatibilità tra decorrenza del termine di prescrizione e la pendenza del termine di decadenza per l'esercizio del medesimo diritto, prevedendo che il termine di prescrizione possa iniziare a decorrere solo quando il compimento dell'atto o il riconoscimento del diritto disponibile abbiano impedito il maturarsi della decadenza.
[...]
L'analisi della disciplina positiva conferma pienamente i rilievi che si possono trarre dal dato letterale desunto dalla disciplina speciale, che è di per sè sufficiente a giustificare la soluzione accolta.
Infatti, in tesi generale, pur essendo prescrizione e decadenza connesse all'inerzia del soggetto e dirette a dare certezza ai rapporti giuridici, in un caso viene presa in considerazione l'inerzia protratta per un certo tempo, suscettibile di interruzione e sospensione, mentre nell'altro ciò che rileva non è la durata dell'inerzia, ma il solo fatto che un'inerzia ci sia o sia cessata, tanto che è irrilevante ogni situazione che potrebbe giustificare l'eventuale interruzione o sospensione del termine (art. 2964 c.c.).
Rilievo che trova conferma nella disciplina speciale perchè se la L. n. 89 del 2001, art. 4, ritiene irrilevante l'inerzia fino a che non sia decorso il termine di sei mesi dalla definitività della decisione che conclude il processo, non si potrebbe poi ritenere, contraddittoriamente, che la stessa inerzia, sia pure prolungata per tutta la durata in cui il processo, pur avendo superato la durata ragionevole, non è ancora definitivamente concluso possa provocare l'estinzione del diritto alla ragionevole durata, precludendo al tempo stesso la proponibilità della relativa azione giudiziaria.
D'altra parte, se pure introdotta come istituto generale dal nuovo codice, la decadenza, a differenza dalla prescrizione, non è istituto di applicazione generale, essendo necessaria una previsione legislativa o negoziale specifica che la giustifica e che, in quanto tali, sono destinate a prevalere sulla normativa generale.
Confermano le conclusioni raggiunte due situazioni processuali che sono state invocate a sostegno dell'opposta tesi.
La prima è quella dell'inoperatività della decadenza dall'opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione in caso di omesso deposito della relazione dell'ufficio tecnico erariale nel foglio degli annunzi legali della provincia. In tal caso, non potendo operare il termine di decadenza, in via alternativa e non cumulativa, la giurisprudenza della corte afferma comunque l'operatività della prescrizione (Cass. 10 settembre 2004, n. 18237; 8 maggio 2001, n. 6367; 20 dicembre 2000, n. 16026).
La seconda ipotesi, in cui si riscontra l'alternatività dell'operatività della decadenza rispetto alla prescrizione, è quella del recupero delle somme che il conduttore abbia versato oltre quelle previste dalla legge (L. n. 392 del 1078, art. 79, comma 2, o dalla L. n. 431 del 1998, art. 13).
In tal caso se il conduttore agisce rispettando il termine di decadenza può recuperare tutte le somme indebitamente versate, ma se non rispetta il termine di decadenza, non per questo l'azione diventa improponibile, salva, tuttavia la possibilità del locatore di eccepire la prescrizione (ex multis v. Cass. 7 luglio 2010, n. 16009; 6 maggio 2010, n. 10964, 3 aprile 2009 n. 8143).
In entrambi i casi, pertanto, è solo il mancato operare della decadenza, vuoi per mancata decorrenza del termine vuoi per scadenza dello stesso, che rende operativo il termine di prescrizione, ma non è mai dato che in corso di termine di decadenza, quando l'inerzia del titolare è giuridicamente irrilevante, lo stesso possa perdere il diritto vantato.
Di grande rilievo sono infine le ragioni di ordine pratico che militano a favore della tesi accolta.
In primo luogo, imporre a carico dell'interessato l'onere di agire nel termine di prescrizione decorrente dal maturarsi della durata irragionevole del giudizio comporta la difficoltà pratica di accertare tale maturazione, caso per caso, in quanto la valutazione dipende da una serie di circostanze, tra l'altro, suscettibili di variare nel tempo, nel senso che un termine che appare irragionevole in una certa fase del processo potrebbe divenire ragionevole successivamente in seguito all'insorgere di difficoltà processuali o essere riassorbito da un più veloce svolgimento di un grado successivo.
In secondo luogo l'opposta tesi, in una situazione di fatto in cui l'orientamento di questa corte (Cass. 22 gennaio 2010, n. 1101) secondo cui nulla impedisce alla pubblica amministrazione di predisporre i mezzi necessari per offrire direttamente soddisfazione a chi abbia sofferto un danno a cagione dell'eccessiva durata di un giudizio in cui sia stato coinvolto, senza rendere necessario il ricorso al giudice, stenta a diventare diritto vivente e, fatto ancor più rilevante, non ha dato luogo al formarsi di una prassi amministrativa in tal senso. Ne deriva che, a parte la possibilità solo teorica di interrompere la prescrizione con atti stragiudiziali, di cui resterebbe dubbia l'idoneità interruttiva negli orientamenti giurisprudenziali, permarrebbe necessariamente una forte incentivazione alla proliferazione di iniziative giudiziarie che certamente non potrebbero essere qualificate di abuso del processo, essendo dirette a evitare legittimamente il verificarsi dell'ipotizzata prescrizione del diritto, in una situazione fattuale che non prevede in fatto l'esercizio stragiudiziale del diritto stesso. Il tutto con notevole aggravio del carico di lavoro giudiziario, che, solo per quanto riguarda questa Corte ha raggiunto nel 2011 già la soglia dell'undici per cento del numero dei ricorsi che annualmente vengono depositati.
L'accoglimento del primo motivo impone l'esame degli altri motivi di ricorso.
Il processo presupposto ha avuto una durata di anni ventisette e mesi 9 (dal 18 maggio 1981 al 12 febbraio 2008, data di proposizione del ricorso ex L. n. 89 del 2001) per due gradi di giudizio, esclusa la prescrizione fino al decennio anteriore alla proposizione del ricorso introduttivo del presente giudizio.
La determinazione della durata ragionevole e la liquidazione dell'equa riparazione può avvenire senza ulteriore accertamenti di fatto, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere e non potendosi condividere la motivazione della corte di merito che da un lato è dei tutto apodittica, facendo riferimento all'espletamento di una c.t.u., che è evento processuale ordinario, e dall'altro è illogica, avendo ritenuto rilevanti due eventi come l'interruzione e sospensione del processo intervenuti in un periodo largamente successivo a quello in cui era già maturato il periodo di durata irragionevole.
Applicando quindi, in mancanza di elementi contrari, i criteri ordinariamente seguiti dalla Corte di Strasburgo e da questa Corte, detratti cinque anni di durata ragionevole per i due gradi di giudizio di merito, la durata irragionevole è di anni ventidue e mesi 9. Applicando il parametro di Euro 750,00 per i primi tre anni di ritardo e di Euro 1.000,00 per gli anni successivi l'equa riparazione deve essere determinata di Euro 22.000,00. Tale somma va attribuita, in accoglimento del terzo motivo, a ciascuno dei ricorrenti, salvo che per M.G. e F., che agiscono jure ereditario, ai quali spetta pro quota.
Le spese del giudizio di merito, da riliquidare senza vincolo alla pronuncia cassata, e quelle di questo giudizio, seguono la soccombenza."
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 02-10-2012, n. 16783
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