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16 ottobre 2012
Equitalia si impegni di più a dar prova delle asserite pretese veicolate con i suoi atti
"Il ricorrente Equitalia Pragma s.p.a. Equitalia impugna il decreto Trib. Tarante 19.1.2011 con cui, in conferma del decreto reiettivo sul punto del competente giudice delegato, venne rigettata la sua opposizione ai sensi dell'art.98 l.fall., volta all'ammissione allo stato passivo di quella procedura del credito, richiesto in privilegio ex art. 2752 c.c., per Euro 19.971,61 ed in chirografo per 5.484,10. In particolare, il tribunale pugliese confermò la integrale non ammissione al passivo (disposta dal giudice delegato per la non raggiunta prova della notifica tempestiva e rituale delle cartelle afferenti ai tributi), rigettando l'istanza sulla base dunque della insufficienza della documentazione a supporto della domanda.
In particolare, il decreto qui avversato rigettò la domanda non avendo Equitalia dimostrato in modo certo di aver tempestivamente e regolarmente notificato al contribuente il titolo legittimante l'imposizione fiscale.
[...]
Ne consegue che questo giudice deve trattare l'unico vizio ritualmente introdotto, attinente al valore probatorio ascrivibile alla produzione documentale versata in atti da Equitalia e consistente nelle copie delle notifiche relative alle cartelle di pagamento insinuate e degli estratti di cartella notificati e già oggetto di insinuazione. Si è trattato di estratti di cartella dichiarati conformi agli originali da parte dello stesso concessionario e, per i limiti sopra evidenziati, di correlati avvisi di ricevimento postale parimenti in copia dichiarata conforme dal medesimo soggetto.
Il dubbio sulla reale avvenuta notifica della cartella (e nelle forme prescritte dalla apposita normativa, con un contenuto su cui si segnala altresì il D.M. Finanze 3 settembre 1999, n. 321) in capo al contribuente (e per esso al curatore) promana dalla contestata limitazione attestativa, quanto a fidefacienza, che spetterebbe al concessionario il quale, D.L. n. 669 del 1996, ex art. 5, comma 5, manterrebbe - a prescindere dal riferimento indiretto all'abrogato art. 14, della L. 14 gennaio 1986, n. 15, ed ai conseguenti poteri assimilabili a quelli dell'esattore - una potestà di autenticazione di atti da lui formati ovvero depositati ma solo se, all'apparenza, rilasciatigli da terzi. Ai sensi del cit. art. invero "sono validi agli effetti della procedura di riscossione dei tributi i certificati, le visure e qualsiasi atto e documento amministrativo rilasciati, tramite sistemi informatici o telematici, al concessionario del servigio della riscossione dei tributi qualora contengano apposita asseverazione del predetto concessionario della loro provenienza". Nella vicenda, peraltro, rileva la significativa distinzione di fatto rispetto al precedente richiamato in ricorso (cui è omogeneo il successivo di Cass. 25962/2011) per cui il credito si vorrebbe qui dimostrato non con una copia di una parte del ruolo (fattispecie per la prima volta considerata sufficiente da Cass. 4426/1994) e nemmeno con una copia della cartella bensì con un estratto della cartella, un'asseverazione che, secondo il provvedimento impugnato, non assume la particolare forza di validità di cui alla menzionata disposizione e, per effetto della diretta contestazione subita quanto alla sua efficacia e per tutto il corso del giudizio, nemmeno rinvia a circostanze che possano dirsi riconosciute o non disconosciute. Ma prima ancora di una disamina aggiornata della latitudine dei poteri asseverativi del concessionario in termini di perdurante richiamo anche solo indiretto alle attestazioni di cui all'art. 2718 c.c., - ove gli si riconoscesse la qualità certa di pubblico ufficiale - non risulta scalfita da coerente critica la statuizione del giudice di merito, ove ha osservato che è proprio la nozione di estratto, riproduttiva di una o più parti della cartella, eliminate a discrezione della parte attestatrice e che però se ne vuole avvalere in giudizio, a precluderne la forza probatoria in punto di notifica della più ampia cartella. Tale affermazione, peraltro (ed in via di precisazione cui il Collegio si appresta in ragione dello svolgimento del contraddittorio in questa sede), non è decisiva in sè e per sè considerata e dunque come principio di esclusione programmatica, in capo al concessionario, della qualità di pubblico ufficiale (questione autonoma ma logicamente gradata e dunque allo stato di non necessario esame), ma in quanto discende da uno specifico e preliminare difetto del ricorso: in esso è mancata una puntuale ed auto sufficiente critica alla ragione giustificativa del diniego di forza probatoria della citata riproduzione documentale, priva - ad avviso del tribunale tarantino - di tutte le indicazioni obbligatoriamente prescritte dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, cui si possono aggiungere gli elementi di cui al D.M. 3 settembre 1999, n. 321. Equitalia, infatti, per dispiegare tale censura nella sede di legittimità avrebbe dovuto indicare, e non vi ha provveduto, in quale parte delle proprie impugnazioni o difese avrebbe contestato tale limitatezza riproduttiva innanzitutto mediante una descrizione precisa degli elementi della cartella contenuti nell'estratto prodotto, così da permetterne il raffronto rispetto alla interezza di quel documento ed alla sufficienza esplicativa ai primi astrattamente ascrivibile. E' invece mancata del rutto la trasposizione negli atti processuali di un contenuto minimo della cartella di pagamento che, al fine di esaurire l'offerta documentale degli elementi essenziali della cartella stessa e della sua avvenuta notificazione, ne permettesse perciò la disamina alla stregua del confronto di completezza con il precetto legale, D.M. 3 settembre 1999, n. 321, ex art.6. Il motivo è, per tale parte, inammissibile."
Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-10-2012, n. 16929
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