28 maggio 2012

Cliente, promotore e intermediario: responsabilità e prova

"Riferì di aver stipulato nel dicembre del 1997 un contratto col quale aveva inteso affidare alla San Paolo Asset Management la gestione di un miliardo e trecento milioni di lire, da investire prevalentemente in titoli azionari, e di avere pertanto consegnato tale somma al sig. R., quale promotore finanziario della San Paolo Invest. Tanto l'una quanto l'altra società avevano però poi escluso di aver mai ricevuto notizia della stipulazione di tale contratto, e risultava che il sig. R. si fosse impadronito del denaro consegnatogli. L'attore perciò chiese che i convenuti, singolarmente o in solido, fossero condannati a risarcirlo del danno sofferto per la perdita della somma sopra indicata.


[...]


I limiti di ammissibilità della prova testimoniale stabiliti, con riferimento ai contratti, dall'art. 2721 c.c. e seg., non sono infatti riferibili ai meri fatti storici, sia pur connessi con la stipulazione di un contratto, bensì all'esistenza del contratto stesso (cfr., ex multis, Cass. 15 luglio 2009, n. 16538). Nel caso in esame non è però in discussione il fatto che il sig. E. avesse stipulato, per il tramite del promotore finanziario sig. R., un contratto d'investimento finanziario, bensì il fatto storico dell'avvenuta consegna a detto promotore della somma di denaro della quale quello si sarebbe poi appropriato. Fatto rilevante non ai fini dell'esistenza del contratto, ma per la dimostrazione del danno derivato dall'illecito imputabile a detto promotore e del quale, di conseguenza, anche la società preponente è stata chiamata a rispondere. La prova di quel fatto non trova dunque limite nell'invocata disposizione dell'art. 2721 c.c., e ciò rende irrilevante la circostanza che la corte d'appello non abbia espressamente motivato sul punto.


[...]


La giurisprudenza di questa corte ha chiarito che la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest'ultimo sarebbe legittimato a riceverle non vale, in caso d'indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell'attività del promotore finanziario e la consumazione dell'illecito, e non preclude, pertanto, la possibilità d'invocare la responsabilità solidale dell'intermediario preponente; nè un tal fatto può essere addotto dall'intermediario come concausa del danno subito dall'investitore in conseguenza dell'illecito consumato dal promotore, al fine di ridurre l'ammontare del risarcimento dovuto, perchè la richiamata normativa è destinata a tutelare gli interessi del risparmiatore e non può essere quindi interpretata nel senso che da essa derivi un onere di diligenza a carico del medesimo, la cui violazione gli sia addebitabile a titolo di colpa concorrente o esclusiva (cfr. Cass. 7 aprile 2006, n. 8229, e Cass. 24 luglio 2009, n. 17393).


Ad una diversa conclusione è dato pervenire soltanto qualora emerga la prova della collusione, o quantomeno della fattiva acquiescenza, del cliente alla violazione delle regole di condotta da parte del promotore (cfr. Cass. n. 17393/09, cit.), o comunque quando le circostanze del caso in esame siano tali da implicare che il dovere di comportarsi secondo buona fede e di non pregiudicare ingiustamente le ragioni dell'altro contraente avrebbe imposto al cliente di adottare maggiore diligenza, non prestandosi al compimento di operazioni anomale quando egli sia perfettamente a conoscenza, per personale e pluriennale esperienza, del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento (cfr. Cass. 11 giugno 2009, n. 13529). Ma, perchè ciò accada, non è sufficiente la mera consapevolezza da parte dell'investitore della violazione delle regole di comportamento cui il promotore avrebbe dovuto attenersi per la tutela dei risparmiatori, occorrendo invece che i rapporti tra promotore ed investitore presentino connotati di anomalia, se non addirittura di connivenza o di collusione in funzione elusiva della disciplina legale; e spetta all'intermediario l'onere di provare che l'illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall'investitore (cfr. Cass. 19 marzo 2010, n. 6708), non potendo la collusione o la consapevole e fattiva acquiescenza del cliente all'illecito essere presunte sulla base della sola circostanza che l'equivalente pecuniario dell'investimento sia stato conferito con modalità difformi da quelle previste dal regolamento Consob (cfr. Cass. 25 gennaio 2011, n. 1741), ma essendo invece necessario che detta circostanza si accompagni con altri elementi significativi, quali ad esempio il numero e la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, la durata nel tempo del rapporto tra investitore e promotore, il valore complessivo delle operazioni poste in essere, l'esperienza acquisita dal cliente nell'investimento in titoli finanziari, ed in particolare la sua conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento (cfr. Cass. 24 marzo 2011, n. 6829).


Non può dirsi che, nel caso in esame, la corte d'appello abbia disatteso tali principi o ne abbia fatto cattiva applicazione.


[...]


E' poi appena il caso di aggiungere che l'eventuale violazione di norme pubblicistiche circa i limiti dell'uso del denaro contante nei pagamenti non assume rilievo alcuno in questa sede, trattandosi di norme dettate dall'ordinamento ad altri fini, la cui trasgressione non vale certo di per sè a dimostrare l'esistenza di una qualche intesa o di una qualche altra forma di connivenza tra cliente e promotore ai danni dell'intermediario."

Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-05-2012, n. 8236

Nessun commento: