28 maggio 2012

Durata di una controversia avente ad oggetto l'accertamento della irragionevole durata di altro giudizio

"La Corte d'appello, sostengono le ricorrenti, sarebbe incorsa nella denunciata violazione di legge per avere affermato che la durata di una controversia avente ad oggetto l'accertamento della irragionevole durata di altro giudizio dovrebbe essere valutata alla stregua degli stessi parametri utilizzabili per la determinazione della durata ragionevole del processo presupposto. La erroneità di tale impostazione deriverebbe da quanto affermato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo in alcune pronunce, che impedirebbero di considerare ancora attuale il principio affermato da Cass. n. 7688 del 2006. Infatti, la Corte Europea, secondo le ricorrenti, considera eccessiva la durata di undici mesi per un giudizio sulla ragionevole durata svoltosi in unico grado, mentre potrebbe ritenersi ancora ragionevole una durata di quattordici mesi per un giudizio svoltosi in due gradi.


La Corte d'appello avrebbe poi errato nell'espungere il termine lungo intercorso tra il deposito del provvedimento e la proposizione della impugnazione, avendo considerato valutabile ai fini della durata ragionevole solo un mese, pur se il termine per proporre il ricorso per cassazione è stabilito in sessanta giorni.


[...]


Il primo motivo del ricorso principale è fondato.


Ai fini della individuazione di quale sia la ragionevole durata di un giudizio di equa riparazione, che si sia svolto dinnanzi alla Corte d'appello e in sede di impugnazione dinnanzi a questa Corte, occorre procedere alla ricognizione della giurisprudenza della Corte Europea sul punto.


Nella sentenza 29 marzo 2006 della Grande Camera, nella causa Cocchiarella contro Italia, si è affermato che "il periodo di quattro mesi previsto dalla legge Pinto soddisfa il requisito di rapidità necessario perchè un rimedio sia effettivo. L'unico ostacolo a ciò può sorgere dai ricorsi per cassazione per i quali non è previsto un termine massimo per l'emissione della decisione.


Nel caso di specie, la fase giudiziaria è durata dal 3 ottobre 2001 al 6 maggio 2002, cioè sette mesi, che, pur eccedendo il termine previsto dalla legge, sono ancora ragionevoli" (par. 99).


Nella successiva decisione della Seconda Sezione 31 marzo 2009, causa Simaldone contro Italia (par. 29), si è invece ritenuta eccessiva una durata di un giudizio "Pinto", svoltosi in un solo grado dinnanzi alla Corte d'appello e protrattosi per undici mesi.


Nel caso deciso dalla Seconda Sezione il 22 ottobre 2010, causa Belperio e Ci armo li contro Italia, dopo aver dato atto del contenuto della sentenza Cocchiarella, si è ulteriormente precisato che la durata di un giudizio "Pinto" davanti alla Corte d'appello, inclusa la fase di esecuzione, salvo circostanze eccezionali, non deve superare un anno e sei mesi.


Da ultimo, nella decisione 27 settembre 2011 della Seconda Sezione, causa CE.DI.SA. Fortore s.n.c. Diagnostica Medica Chirurgica contro Italia, la Corte ha ritenuto che, in linea di principio, per due gradi di giudizio, la durata di un procedimento "Pinto" non debba essere, salvo circostanze eccezionali, superiore a due anni.


Nella giurisprudenza di questa Corte, si è invece ritenuto che la ragionevole durata del giudizio di equa riparazione previsto e disciplinato dalla L. n. 89 del 2001, vada determinata in mesi quattro dalla data del deposito del ricorso, coerentemente alla indicazione chiaramente desumibile dall'art. 3, comma 6, della medesima legge (Cass. n. 8287 del 2010).


Il Collegio ritiene che a tale orientamento non possa essere data continuità e che, rimandandosi alle singole fattispecie la valutazione della durata ragionevole di una procedura "Pinto" che si svolga solo dinnanzi alla Corte d'appello, ove, come nel caso di specie, venga in rilievo un giudizio "Pinto" svoltosi anche dinnanzi alla Corte di cassazione, la durata complessiva dei due gradi debba essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni, ritenendosi tale termine pienamente compatibile con le indicazioni desumibili dagli ultimi approdi della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo e rispondente sia alla natura meramente sollecitatoria del termine di quattro mesi di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6, sia della durata ragionevole del giudizio di cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è suscettibile di compressione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno.


Orbene, tenuto conto che, nel caso di specie, il ricorso è stato depositato presso la Corte d'appello di Roma il 1 aprile 2005; che l'unico grado di giudizio di merito si è concluso con decreto depositato il 2 febbraio 2006; che il giudizio di cassazione è stato introdotto con ricorso notificato il 16 marzo 2007 ed è terminato con sentenza depositata il 22 dicembre 2009, la durata complessiva del procedimento è stata di circa quattro anni e nove mesi (57 mesi). Detratto il termine ragionevole, stimato due anni, nonchè il termine di circa undici mesi intercorso tra il deposito del decreto e la proposizione della impugnazione, ulteriore a quello legislativamente previsto per il ricorso per cassazione (Cass. n. 8287 del 2010, cit.), la durata non ragionevole risulta essere stata di un anno e dieci mesi.


Il primo motivo di ricorso va quindi accolto, con assorbimento del secondo motivo, inerente alla contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato quanto alla non semplicità della definizione del giudizio di merito."

Cass. civ. Sez. VI, Sent., 24-05-2012, n. 8283

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