17 novembre 2013

Prelievo del DNA del figlio senza autorizzazione fatto dal padre per valutare se disconoscerlo

Con sentenza del Tribunale di Roma del 18 febbraio 2011 veniva respinta l'impugnazione proposta da P.F., D.G. e dall'Agenzia investigativa ARI avverso il provvedimento del Garante della Privacy n. (OMISSIS) del 22/12/2008, con il quale la predetta Autorità, per quel che ancora interessa, vietava ai ricorrenti ogni ulteriore attività di trattamento dei dati genetici di P.S.M., ottenuti mediante prelievo di due mozziconi di sigaretta appartenenti a quest'ultimo, da parte dell'agenzia investigativa ARI e sottoposti senza il consenso del titolare al prelievo di campioni biologici ed accertamento del DNA, seguito da comparazione con quello dei due figli del secondo matrimonio di P.F.. La medesima Autorità vietava altresì a P. F. ogni ulteriore operazione volta al trattamento dei medesimi dati nell'ambito del procedimento civile in corso di disconoscimento di paternità. Il provvedimento del Garante era stato sollecitato dal reclamo proposto da P.S.M. ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 141.

[...]

E' necessario, peraltro, prima d'individuare il corretto quadro normativo di riferimento, fornire una nozione esatta dei "dati genetici". Al riguardo, come osservato nel controricorso del Garante per la protezione dei dati personali, tali dati sono distinti dai dati sensibili. Questi ultimi sono "i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonchè i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale" (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4). La definizione normativa evidenzia come i dati genetici possono essere anche dati sensibili se, a titolo esemplificativo, diretti a rivelare lo stato di salute o l'origine etnica. Certamente non lo sono se finalizzati ad individuare la consanguineità tra due soggetti, come nel caso di specie. La sovrapponibilità tra le due categorie di dati è, pertanto, relativa e non integrale in quanto la peculiarità dei dati genetici consiste nella rivelazione di un corredo identificativo unico ed esclusivo di ciascuna persona umana, dall'interrogazione del quale possono essere estrapolate un'ampia varietà d'informazioni non tutte da includersi in quelle di natura sanitaria. Da questa originalità e a causa delle potenzialità informative dei dati genetici è sorta l'esigenza normativa di una disciplina specifica del loro trattamento che deve essere sinteticamente illustrata.

Il punto di partenza non può che essere il D.Lgs, n. 196 del 2003, art. 90. Tale norma, inserita nel Capo 5 intitolato "Dati genetici", dispone nei primi due commi: Il trattamento dei dati genetici da chiunque effettuato è consentito nei soli casi previsti da apposita autorizzazione rilasciata dal Garante sentito il Ministro della salute, che acquisisce, a tal fine, il parere del Consiglio superiore di sanità.

L'autorizzazione di cui al comma 1 individua anche gli ulteriori elementi da includere nell'informativa ai sensi dell'art. 13, con particolare riguardo alla specificazione delle finalità perseguite e dei risultati conseguibili anche in relazione alle notizie inattese che possono essere conosciute per effetto del trattamento dei dati e al diritto di opporsi al medesimo trattamento per motivi legittimi.

Dall'esame della norma emerge la necessità, ai fini del trattamento dei dati genetici "da chiunque" effettuato, di un'apposita autorizzazione del Garante, e, come espressamente previsto dal comma 2, del consenso informato del titolare dei dati, corredato delle specifiche finalità e dei risultati perseguibili, oltre che, a conferma della capacità moltiplicativa d'informazioni propria dei dati genetici, della indicazione delle "notizie inattese" che dal trattamento di tale tipologia di dati possano emergere.

La norma contiene, pertanto, una disciplina precisa delle condizioni e modalità di trattamento di tale tipologia di dati, rimettendone l'integrazione soltanto alla "apposita" autorizzazione emanata soltanto nel 2007 (Autorizzazione del garante per la protezione dei dati personali del 22/2/2007).

[...]

Rimane da osservare che il trattamento dei dati genetici, destinato nella specie a orientare la successiva scelta verso un'azione di disconoscimento di paternità, mediante l'accertamento preventivo della consanguineità tra P.S.M. e P.F., oltre a non avere alcuna finalità sanitaria non è neanche astrattamente riconducibile all'esercizio in sede giudiziale di un diritto della personalità di rango quanto meno pari a quello del controinteressato art. 26, comma 4, lett. c) e punto 1.3. dell'Autorizzazione generale n. 2 del 2002 in quanto non può essere equiparata una valutazione di opportunità ante causam diretta a verificare le probabilità di successo in una futura azione di disconoscimento di paternità con la necessaria utilizzazione di alcuni dati come strumenti indispensabili per ottenere tutela giurisdizionale. Nell'azione di disconoscimento di paternità rivolta verso P.S.M. l'indagine sul DNA poteva essere espletata nel corso del giudizio. L'eventuale rifiuto ingiustificato dell'interessato a sottoporvisi avrebbe costituito un comportamento processuale d'indubbio rilievo probatorio, valutabile ex art. 116 cod. proc. civ., che, tuttavia, non avrebbe escluso, così come il positivo svolgimento dell'indagine peritale, anche l'accertamento relativo agli altri fatti costitutivi stabiliti nell'art. 235 cod. civ..

Nessun deficit del diritto di difesa dell'attore poteva collegarsi alla mancata conoscenza preventiva del possibile esito del test predittivo.

Corte di cassazione – Sezione I civile – Sentenza 13 settembre 2013 n. 21014


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