12 ottobre 2013

Nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso giudice che decide sulla domanda che si assume temeraria

La giurisdizione va regolata con l'attribuzione alla competenza del giudice tributario anche delle domande risarcitorie proposte dal ricorrente.

Questa Corte ha recentemente affermato il principio secondo il quale la controversia avente ad oggetto, in via principale, una domanda di rimborso d'imposta (nella specie, ritenute IRPEF sulle somme erogate per incentivo all'esodo D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 17, comma 4 bis) e, in via subordinata, una domanda di risarcimento del danno per mancato adeguamento della legge interna alla normativa comunitaria (nella specie, per illegittimità del regime dell'incentivo dichiarata dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea) appartiene alla giurisdizione del giudice tributario per la sola domanda principale, mentre appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario per la domanda risarcitoria (avente in realtà natura alternativa - più che subordinata - alla principale), essendo essa del tutto autonoma ed avulsa dal rapporto tributario ed estranea agli "accessori" del tributo, ai quali il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, estende la cognizione del giudice speciale (Cass., Sez. un., n. 20323 del 2012).

Ma la questione ora in esame presenta caratteristiche peculiari, che ne escludono l'assimilabilità a quella anzidetta.

Le pretese risarcitorie avanzate dallo I., infatti, pur non avendo neanch'esse ad oggetto "accessori" del tributo, di cui al citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, (per tali dovendosi intendere gli aggi dovuti all'esattore, le spese di notifica, gli interessi moratori, il maggior danno da svalutazione monetaria: cfr. sent. n. 20323 del 2012, cit., e i precedenti ivi menzionati), presentano tuttavia un diretto ed immediato nesso causale con l'atto tributario impugnato ed uno stretto collegamento con il rapporto tributario, il quale non è esaurito, ma, anzi, costituisce l'oggetto del giudizio (sia pure limitatamente al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere con l'atto medesimo: da ult. Cass. n. 4145 del 2013).

Ne consegue che le domande risarcitorie in esame vanno ricondotte a pieno titolo nell'ambito applicativo dell'art. 96 c.p.c., in tema di responsabilità processuale aggravata, il quale: a) è applicabile al processo tributario, in virtù del generale rinvio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2; b) regola tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, ponendosi con carattere di specialità rispetto all'art. 2043 c.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità (tra le altre, Cass. n. 28226 del 2008 e n. 5069 del 2010); c) non detta tanto una regola sulla competenza, ma disciplina piuttosto un fenomeno endoprocessuale, prevedendo che la domanda è proponibile solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l'insorgenza della detta responsabilità, non solo perchè nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume, per l'appunto, temeraria, ma anche e soprattutto perchè la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass. nn. 9297 e 12952 del 2007, 18344 e 26004 del 2010).

Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 03-06-2013, n. 13899


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