12 ottobre 2013

Lavoro gratuito a favore sorella avvocato

Era poi da escludere, ad avviso della Corte di merito, la pretesa gratuità delle prestazioni svolte dalla lavoratrice in ragione del legame familiare che univa le due sorelle.

Da un lato esse non erano conviventi, dall'altro il rapporto era sorto, come riferito dal padre C.D., per consentire alla figlia N. di introdursi nel mondo del lavoro, previa corresponsione di una retribuzione. Ricorreva dunque non già la presunzione di gratuità della prestazione, ma quella di onerosità della stessa.

[...]

Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel caso in cui sia certo il diritto alla prestazione spettante al lavoratore, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, sicchè il giudice la liquida equitativamente ai sensi dell'art. 432 c.p.c., l'esercizio di tale potere discrezionale non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purchè la motivazione della decisione dia adeguato conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo (Cass. 19 febbraio 2013 n. 4047; Cass. 7 gennaio 2009 n. 50; Cass. 18 agosto 2005 n. 16992; Cass. 23 luglio 2004 n. 13887).

Nella specie la Corte territoriale, nel dare atto del rapporto di subordinazione esistente tra le parti, ha posto in evidenza che la prestatrice fruiva di innegabili vantaggi in forza del rapporto parentale con la datrice di lavoro.

Non era soggetta la lavoratrice a rigidi orari di lavoro, non eseguiva talune prestazioni connesse all'attività di segreteria, quali la preparazione dei fascicoli, la redazione delle fatture, la gestione dell'archivio. Inoltre, come sopra osservato, godeva di "libertà di movimento", che le consentiva il disbrigo di eventuali altre incombenze anche durante l'orario di lavoro.

Tali elementi - pur non incidendo sulla natura subordinata del rapporto - sono stati tenuti presenti, ai fini della liquidazione equitativa delle prestazioni, dalla Corte di merito, la quale, assumendo come punto di riferimento la somma mensile di lire un milione corrisposta alla lavoratrice in danaro o in natura nel corso del rapporto, ha ritenuto che tale importo, in relazione alle retribuzioni previste per i dipendenti di 3^ livello, non dovesse essere ulteriormente aumentato - così come aveva fatto il primo giudice - trattandosi sostanzialmente di una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.

Trattandosi di un percorso argomentativo coerente ed immuni da vizi, i motivi in esame vanno respinti.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-06-2013, n. 14804


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