21 novembre 2012

Locazione di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo e il termine per il pagamento dei canoni scaduti.


La Corte d'appello ha dichiaratamente fatto applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 272/99, la quale ha affermato che nel regime ordinario delle locazioni urbane fissato dalla L. n. 392 del 1978, la disciplina di cui all'art. 55 relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento non opera in tema di contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo. Ed, infatti, il legislatore, nel dettare la disciplina della sanatoria in questione, non si è limitato a prevedere in genere che il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitare tal effetto pagando, nell'ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni ed oneri ed accessori, ma ha limitato la portata della sua previsione al solo ambito delle ipotesi di inadempimento da morosità descritte e prese in considerazione dall'art. 5 della stessa legge, di tal che è la stessa disposizione di cui all'art. 55 - la quale risulta inclusa tra quelle di natura processuale, le quali, di per sé, non sono idonee a dilatare l'ambito di applicazione di una norma di natura sostanziale - a delineare la limitazione del suo ambito di applicazione alle sole locazioni abitative.

Il ricorrente invoca peraltro una sentenza successiva a quella delle Sezioni unite (la 10 490/2004), secondo la quale l'adempimento contrattuale che si verifichi dopo la proposizione della domanda di risoluzione del contratto non vale di per se ad arrestare gli effetti di tale domanda, ma deve essere preso in esame dal giudice perchè valuti l'importanza dell'inadempimento stesso, potendo costituire circostanza decisiva a rendere l'inadempimento di scarsa importanza, precludendo la possibilità di risolvere il contratto.

Va detto che, in fattispecie nella quale l'inadempimento era sopravvenuto in corso di giudizio ed il giudice non ne aveva tenuto conto (quindi in fattispecie opposta a quella che si sta esaminando), l'affermazione costituisce un obiter dictum, rimasto peraltro del tutto isolato.

Altre sentenze (v., ex plurimis, Cass., nn. 8076/02 e 5902/06) hanno bensì conferito rilievo al comportamento successivo del conduttore, ma nel senso che se esso si aggrava in corso di causa, il giudice deve tenerne conto.

In particolare:

Cass. n. 5902/06 ha affermato che il pagamento del canone effettuato successivamente alla data di domanda di risoluzione del contratto di locazione non è idoneo ad impedire la chiesta risoluzione perchè, a norma dell'art. 1453 c.c., u.c., da tale data l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione (come ritenuto anche dalla richiamata Cass. 7 giugno 1990, n. 5446);

- e Cass., n. 8076/02, ha enunciato il principio secondo il quale in tema di contratto di locazione, ai fini dell'emissione della richiesta pronunzia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità del conduttore, il giudice deve valutare la gravità dell'inadempimento di quest'ultimo anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-10-2012, n. 18500

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