29 gennaio 2015

Nel contratto dell'avvocato con il cliente, le clausole sono abusive solo se standardizzate. Corte di Giustizia UE

Il giudice del rinvio ritiene necessario valutare se un avvocato che esercita una professione liberale possa essere qualificato come «professionista» e se un contratto di servizi di assistenza legale stipulato da un avvocato con una persona fisica costituisca un contratto stipulato con un consumatore con tutte le garanzie afferenti per la suddetta persona fisica.

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A tal proposito, è opportuno osservare che la direttiva 93/13 si applica, come risulta dai suoi articoli 1, paragrafo 1, e 3, paragrafo 1, alle clausole dei «contratti stipulati tra un professionista e un consumatore» che «non siano state oggetto di negoziato individuale» (v., in merito, sentenza Constructora Principado, C‑226/12, EU:C:2014:10, punto 18).

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Orbene, per quanto concerne i contratti di assistenza legale, come quelli di cui al procedimento principale, si deve rilevare che, in materia di prestazioni offerte dagli avvocati, vi è, in linea di principio, una disparità tra i «clienti-consumatori» e gli avvocati, dovuta segnatamente dall’asimmetria informativa tra tali parti. Gli avvocati dispongono, infatti, di un elevato livello di competenze tecniche che i consumatori non necessariamente possiedono, cosicché questi ultimi possono incontrare difficoltà per valutare la qualità dei servizi loro forniti (v., in tal senso, sentenza Cipolla e a., C‑94/04 e C‑202/04, EU:C:2006:758, punto 68).

Così, un avvocato che, come nel procedimento principale, nel quadro della sua attività professionale fornisca a titolo oneroso un servizio di assistenza legale a favore di una persona fisica che agisce per fini privati è un «professionista» ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13. Il contratto relativo alla prestazione di un servizio siffatto è, di conseguenza, assoggettato al regime di detta direttiva.

Tale constatazione non può essere confutata dalla natura pubblica dell’attività degli avvocati, in quanto l’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13 riguarda qualsiasi attività professionale «sia essa pubblica o privata» e, come enunciato dal suo quattordicesimo considerando, tale direttiva riguarda «anche le attività professionali di carattere pubblico».

Quando un avvocato decide di utilizzare, nei rapporti contrattuali con i clienti, le clausole standardizzate predisposte da lui stesso o dagli organi del suo ordine professionale, è per volontà di tale avvocato che le suddette clausole sono direttamente integrate nei rispettivi contratti.

Dato che gli avvocati decidono liberamente di ricorrere a tali clausole standardizzate che non riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, non si può inoltre sostenere che l’applicazione di tale direttiva può minare la specificità dei rapporti tra un avvocato e il suo cliente e i principi sottesi all’esercizio della professione di avvocato.

Alla luce dell’obiettivo della tutela dei consumatori perseguito da tale direttiva, infatti, la questione della sua stessa applicabilità non può essere determinata dalla natura pubblica o privata delle attività del professionista o dalla missione specifica di quest’ultimo (v., per analogia, sentenza Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs, C‑59/12, EU:C:2013:634, punto 37).

Come rilevato in proposito dalla Commissione europea in udienza, escludere dall’ambito di applicazione della direttiva 93/13 i numerosi contratti stipulati dai «clienti-consumatori» con le persone che esercitano libere professioni, che si caratterizzano per l’indipendenza e gli obblighi deontologici ai quali tali prestatori sono soggetti, priverebbe l’insieme di tali «clienti-consumatori» della tutela accordata da detta direttiva.

Per quanto attiene, in particolare, alla circostanza che, nel quadro delle loro attività, gli avvocati sono tenuti a garantire il rispetto della riservatezza dei loro rapporti con i «clienti-consumatori», essa non costituisce, quindi, un ostacolo all’applicazione della direttiva 93/13 alle clausole standardizzate di contratti relativi alla prestazione di servizi di assistenza legale.

Le clausole contrattuali che non sono state oggetto di negoziato individuale, segnatamente quelle che sono predisposte per un utilizzo generalizzato, non contengono infatti, in quanto tali, informazioni personalizzate relative ai clienti degli avvocati la cui rivelazione potrebbe minacciare il segreto della professione di avvocato.

È ben vero che la formulazione specifica di una clausola contrattuale, in particolare quella vertente sulle modalità degli onorari dell’avvocato, potrebbe eventualmente rivelare, perlomeno incidentalmente, taluni aspetti dei rapporti tra l’avvocato e il suo cliente che dovrebbero restare segreti. Una clausola del genere, tuttavia, sarebbe negoziata individualmente e, di conseguenza, come risulta dal punto 19 della presente sentenza, sarebbe sottratta all’applicazione della direttiva 93/13.

Resta comunque il fatto che, al fine di valutare il carattere abusivo delle clausole di tali contratti, deve essere presa in considerazione la natura dei servizi che sono oggetto dei contratti assoggettati alla direttiva 93/13, conformemente al suo articolo 4, paragrafo 1, letto alla luce del suo diciottesimo considerando. Tale valutazione deve essere effettuata, infatti, dal giudice nazionale tenendo conto di tale natura e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione (v., in tal senso, sentenza Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 71, e ordinanza Sebestyén, C‑342/13, EU:C:2014:1857, punto 29).

Così, per quanto riguarda i contratti relativi a servizi di assistenza legale, come quelli di cui al procedimento principale, spetta al giudice del rinvio tener conto della natura particolare di tali servizi nel valutare la chiarezza e la comprensibilità delle clausole contrattuali, conformemente all’articolo 5, prima frase, della direttiva 93/13, e dare ad esse, in caso di dubbio, l’interpretazione più favorevole al consumatore, ai sensi della seconda frase di tale articolo.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, si deve rispondere alle questioni sollevate dichiarando che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che essa si applica ai contratti standard di servizi di assistenza legale, come quelli di cui al procedimento principale, stipulati da un avvocato con una persona fisica che non agisce per fini che rientrano nel quadro della sua attività professionale.

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La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che essa si applica ai contratti standard di servizi di assistenza legale, come quelli di cui al procedimento principale, stipulati da un avvocato con una persona fisica che non agisce per fini che rientrano nel quadro della sua attività professionale.

Corte di Giustizia UE, Nona Sezione, sentenza 15 gennaio 2015, causa C-537/13

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