Si deve, pertanto, ribadire che, quanto all'interpretazione delle clausole contrattuali, l'art. 1362 c.c., allorchè nel primo comma prescrive all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto, anzi intende sottolineare che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, rilevi con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi è divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile; soltanto quando le espressioni letterali del contratto non sono chiare, precise ed univoche, è consentito al giudice ricorrere agli altri elementi interpretativi indicati dagli artt. 1362 e s. c.c., che hanno carattere sussidiario (Cass. 13 dicembre 2006 n. 26690; 12 aprile 2000 n. 471; 1 aprile 1993 n. 3936). Pertanto, nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento dell'operazione interpretativa è costituito dalle parole ed espressioni del contratto e, qualora queste siano chiare e dimostrino un'intima ratto, il giudice non può ricercarne una diversa, venendo così a sovrapporre la propria soggettiva opinione all'effettiva volontà dei contraenti (Cass. 28.08.2007 n. 18180; 13.12.2006 n. 26690; 20.5.1997 n. 4480; 29.4.1994, n. 4121; Cass. 22.4.1995,n. 4563).
Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-10-2012, n. 17899
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