25 settembre 2012

Risarcimento del danno per licenziamento illegittimo e l'art. 1227 c.c.: occorre iscriversi nelle liste di collocamento


"Le prime due censure, che vanno trattate unitariamente essendo strettamente connesse dal punto di vista logico-giuridico, sono infondate.

Al riguardo va rimarcato che, come ribadito di recente da Cass. 11 marzo 2010 n. 5862, l'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte sulla interpretazione dell'art. 1227 c.c. è pervenuta ad affermare i seguenti principi

1) tale articolo contiene ai commi 1 e 2 due distinte norme che regolano fattispecie diverse (Cass. 14 gennaio 1992 n. 320; Cass. 22 agosto 2003 n. 12352): il comma 1 regola il concorso del danneggiato nella produzione del fatto dannoso ed ha come conseguenza una ripartizione di responsabilità, rappresentando un'ipotesi particolare della più generale previsione del concorso di più autori del fatto dannoso (art. 2055 c.c.), nel quale uno dei coautori è lo stesso danneggiato. Il comma 2 contempla una situazione, del tutto diversa, di danno causato dal solo debitore, e quindi non concerne problemi di nesso causale, ma solo di estensione o di evitabilità del danno; si tratta di conseguenze dannose che si sono effettivamente verificate, ma che il creditore avrebbe potuto evitare, usando la ordinaria diligenza.

2) Quanto al contenuto dell'ordinaria diligenza esigibile, l'art. 1227 c.c., comma 2, non si limita a prescrivere al danneggiato un comportamento meramente negativo, consistente nel non aggravare con la propria attività il danno già prodottosi, ma richiede un intervento attivo e positivo, volto non solo a limitare, ma anche ad evitare le conseguenze dannose. La norma che onera il danneggiato ad uniformarsi ad un comportamento attivo ed attento dell'altrui interesse, rientra tra le fonti di integrazione del regolamento contrattuale, per cui la stessa "evitabilità" del danno è coordinata con i principi di correttezza e di buona fede oggettiva, contenuti nell'art. 1175 c.c., applicabile ad entrambe le parti del rapporto obbligatorio e non al solo debitore, nel senso che costituisce onere sia del debitore che del creditore di salvaguardare l'utilità dell'altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un'apprezzabile sacrificio a suo carico (Cass. 7 aprile 1983 n. 2468; Cass. 14 gennaio 1992 n. 320 cit.).

3) Il limite alla esigibilità del comportamento attivo è costituito dalla "ordinaria" e non "straordinaria" diligenza, nel senso che le attività che il creditore avrebbe dovuto porre in essere al fine dell'evitabilità del danno, non siano gravose o straordinarie, come esborsi apprezzabili di denaro, assunzione di rischi, apprezzabili sacrifici (Cass. 15 luglio 1982 n. 4174; Cass. 14 novembre 1978 n. 5243; Cass. 25 gennaio 1975 n. 304; Cass. 6 luglio 2002 n. 9850). In applicazione degli esposti principi alla materia in oggetto, questa Corte ha affermato che il lavoratore, licenziato senza giusta causa, deve collocare sul mercato la propria attività lavorativa per ridurre, ex art. 1127 c.c., il pregiudizio subito (ex multis Cass. 18.2.1980 n. 1208; Cass. 11 novembre 2002 n. 15838; Cass. 22 agosto 2003 n. 12352).

La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione di tale principio, in quanto ha basato il proprio decisum sul rilievo secondo il quale non era risultato che, dopo il licenziamento, il lavoratore si era iscritto nelle liste di collocamento ovvero nelle liste dei disoccupati aspiranti ad un posto di lavoro, nè che, adoperandosi per la ricerca di esso, era rimasto nondimeno privo di occupazione.

Siffatta argomentazione è conforme al principio secondo cui, in tema di risarcimento del danno cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza del licenziamento illegittimo e con riferimento alla limitazione dello stesso ex art. 1227 c.c., comma 2, l'onere della ordinaria diligenza nella ricerca di una nuova occupazione deve ritenersi assolto dal lavoratore con l'iscrizione nelle liste di collocamento, mentre spetta al debitore provare ulteriori elementi significativi della mancanza dell'ordinaria diligenza. (Cass. 11 maggio 2005 n. 9898 e Cass. 11 marzo 2010 n. 5862 cit.).

Nè sotto diverso profilo risulta incongrua la motivazione della sentenza impugnata laddove avuto riguardo alle condizioni di mercato ed a quelle soggettive del lavoratore (ed in particolare alla giovane età del lavoratore) la Corte del merito ritiene che nell'arco di tempo di tre anni dall'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro il C. avrebbe potuto trovare un'altra occupazione se si fosse diligentemente attivato in tal senso."

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-09-2012, n. 16076

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