06 settembre 2012

Danni da circolazione di veicoli: concetto di persona danneggiata e danno esistenziale


"...passando all'esame del contenuto del ricorso, va rilevato che con l'unica doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, artt. 19 e 21, la ricorrente lamenta l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto che per persona danneggiata o sinistrata ai sensi dell'art. 21 citato debba intendersi soltanto la vittima dell'incidente. Con la conseguenza che, dovendosi soddisfare il danno subito da tutti gli eredi facendo ricorso al massimale previsto per la vittima dell'incidente, nella specie, la Compagnia Assicuratrice nulla doveva in più della somma di L. 200 milioni, versata ai familiari del deceduto.

Al contrario - questa, la tesi della ricorrente - i congiunti della vittima, che agiscono iure proprio, vanno considerati come persone danneggiate, per cui il massimale va riferito ad ognuno dei suddetti congiunti, ciascuno dei quali ha diritto a percepire l'intero importo del massimale.

La censura è fondata. A riguardo, giova sottolineare che le Sezioni Unite di questa Corte (cfr S.U. n.15376/09), componendo il precedente contrasto giurisprudenziale hanno recentemente statuito il principio, secondo cui "in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante da circolazione di veicoli e di natanti, relativamente a fatto antecedente al 1 maggio 1993, per persona danneggiata, ai sensi della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 21, deve intendersi non solo la vittima diretta dell'incidente, ma anche i prossimi congiunti o gli aventi causa della stessa, così che i conseguenti danni non devono necessariamente essere soddisfatti tutti nell'ambito del massimale previsto per ogni singola persona, ma il limite del risarcimento è, distintamente per ciascun danno, quello previsto per ciascuna persona danneggiata, fermo nel complesso il massimale per singolo sinistro (c.d. massimale catastrofale)". Ne deriva l'accoglimento del ricorso proposto dalla ricorrente.

[...]

Hanno quindi concluso il motivo di impugnazione con il seguente quesito di diritto: "dica la Suprema Corte se nel caso di illecito da circolazione stradale con lesioni mortali i parenti stretti e conviventi della vittima - che abbiano chiesto il risarcimento di tutti i danni loro conseguenti dall'uccisione del congiunto - abbiano diritto al ristoro anche del danno esistenziale indipendentemente dal nomen della relativa voce di danno".

La doglianza è infondata. A riguardo, torna utile premettere che la Corte si è pronunziata ritenendo che mancasse una domanda rivolta al conseguimento del c.d. danno esistenziale e sul punto vale la pena di tener presente che l'interpretazione della domanda è attività discrezionale del giudice di merito, che risolvendosi in un tipico accertamento di fatto è censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo dell'esistenza, sufficienza e logicità della motivazione, per cui non è censurabile ove sorretta da una motivazione congrua e giuridicamente corretta, rispettosa dei canoni legali di ermeneutica, che dettati dal legislatore in materia contrattuale hanno validità generale.

Giova aggiungere ad ogni modo che, come hanno statuito le Sezioni Unite di questa Corte, non è ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria di "danno esistenziale", inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove nel "danno esistenziale" si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 cod. civ. (Sez. Un. n. 26972/08)."

Cass. civ. Sez. III, Sent., 04-09-2012, n. 14818

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