18 luglio 2012

Non è detto che la gelosia possa essere un futile motivo atto ad aggravare i maltrattamenti in famiglia


"Il profilo di doglianza oggetto del primo motivo di ricorso deve essere accolto, rilevandosi al riguardo come questa Suprema Corte abbia da tempo chiarito, sulla base di una pacifica linea interpretativa, i presupposti per la configurabilità della circostanza aggravante dei futili motivi di cui all'art. 61 c.p., n. 1, che ricorre quando la determinazione criminosa sta stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale (ex multis, v. Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, dep. 05/11/2010, Rv. 248832). La spinta al reato, dunque, deve risultare priva di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento logicamente accettabile con l'azione commessa, in guisa da risultare assolutamente sproporzionata all'entità del fatto e rappresentare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto, un'occasione per l'agente di dare sfogo al suo impulso criminale (Sez. 1, n. 4453 del 11/02/2000, dep. 12/04/2000, Rv. 215806; Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, dep. 21/09/2007, Rv. 237686).


Entro tale prospettiva ermeneutica, tuttavia, è pur sempre necessario che il giudizio sulla futilità del motivo non sia riferito ad un comportamento medio, stante la difficoltà di definire i contorni di un simile astratto modello di agire, ma sia più opportunamente ricondotto agli elementi concreti del caso, tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in cui il fatto si è verificato, nonchè dei fattori ambientali che possono avere condizionato la condotta criminosa (Sez. 1, n. 42846 del 18/11/2010, dep. 02/12/2010, Rv. 249010).


A tale rigoroso quadro di principi non si è attenuta l'impugnata pronuncia, che, da un lato, ha correttamente escluso che il motivo della gelosia possa integrare la contestata aggravante (v., Sez. 5, n. 35368 del 22/09/2006, dep. 23/10/2006, Rv. 235008), dall'altro lato ha tuttavia affermato, ricorrendo ad una locuzione del tutto generica, che i futili motivi "sfumano in una confusa reattività", imputandola, contraddittoriamente, alla stessa gelosia, ovvero alla volontà di non assumersi le responsabilità paterne, così omettendo di identificare in concreto la natura e la portata della ragione giustificatrice della condotta delittuosa posta in essere, quale univoco indice di un istinto criminale più spiccato e di un più elevato grado di pericolosità dell'agente. Così come configurata, dunque, la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 1, deve essere esclusa."

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 02-07-2012) 13-07-2012, n. 28111

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