21 giugno 2012

L'istituto della sospensione necessaria ha esaurito i suoi effetti ?

"E' certo consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte che la ipotesi di contemporanea pendenza davanti a due diversi giudici del giudizio sul se dovuto e di quello sul quanto dovuto non comporta che il secondo debba rimanere sospeso in attesa della decisione del primo e che, per converso, quante volte nel primo sia pronunciata sentenza che afferma esistente il diritto, il giudice del secondo giudizio possa porre a base della propria decisione ciò che è stato già deciso, ancorchè la sentenza sia stata impugnata, l'alternativa essendo per contro quella di sospendere il giudizio di liquidazione del dovuto.


Ciò è stato affermato dalla ordinanza 27.7.2004 n. 14060 delle sezioni unite, che ha così assegnato questa relazione tra processi all'area di applicazione dell'art. 337 c.p.c., dicendola per contro sottratta all'area dell'art. 295 c.p.c..


[...]


Le sezioni unite, nell'occasione che si è appena finito di considerare, non avevano avuto ragione di porre in discussione l'ambito di applicazione dell'art. 295 sino ad allora riconosciuto, ambito costituito dai casi di cosiddetta pregiudizialità tecnica, in cui per legge o volontà delle parti che ne chiedono l'accertamento in via principale, un certo fatto o rapporto, che va dunque accertato con efficacia di giudicato, si pone a sua volta come fatto costitutivo o per contro impeditivo di un diritto sostanziale o processuale controverso od esercitato in altro giudizio.


[...]


La Corte ritiene che in linea di principio sia da accedere alla soluzione attinta dalla ordinanza 26435 del 2009.


Salvi soltanto i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica ed in modo che debba attendersi che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato (come, esemplificando, nel caso previsto dall'art. 75 c.p.c., comma 3).


Pare alla Corte che nell'interpretazione sistematica della disciplina del processo sia da riconoscere un ruolo decisivo alla disposizione che, a seguito della L. 26 novembre 1990, n. 353, si trova ora ad essere dettata dall'art. 282 del codice di rito.


Col riconoscere provvisoria esecutività tra le parti alla sentenza di primo grado il legislatore ha determinato una cesura tra la posizione delle parti in controversia tra loro nel giudizio di primo grado - che è tendenzialmente paritaria e solo provvisoriamente alterabile da misure anticipatorie o cautelari - e la situazione in cui le stesse parti vengono poste dalla decisione del giudice di primo grado, che conosciuta la controversia, dichiara lo stato del diritto tra loro.


L'ordinamento, anche allo scopo di scoraggiare il protrarsi della lite, che al contrario risulterebbe favorito, se all'impugnazione si attribuisse l'effetto d'un ripristino delle posizioni di partenza, proclama il valore del modo di composizione della controversia, che è dichiarato conforme a diritto dal giudice, terzo ed imparziale (art. 111 Cost., comma 2).


Il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originano di lite e giustifica sia l'esecuzione provvisoria, quando a quel diritto si tratti di adeguare la realtà materiale, sia l'autorità della sentenza di primo grado nell'ambito della relazione tra lite sulla causa pregiudiziale e lite sulla causa pregiudicata.


Salvo che l'ordinamento non esprima in casi specifici una valutazione diversa, imponendo che la composizione della lite pregiudicata debba attendere il giudicato sull'elemento di connessione tra le situazioni giuridiche collegate e controverse, è da intendere che sia ancora al giudice che l'ordinamento rimetta, graduandolo in vario modo, il compito di valutare, tenuto conto degli elementi in base ai quali la controversia è riaperta attraverso l'impugnazione, se l'efficacia della sentenza pronunciata sulla lite pregiudicante debba essere sospesa (art. 283 cod. proc. civ.) o se la sua autorità debba essere provvisoriamente rifiutata (art. 337 c.p.c., comma 2) in questo caso attribuendo al giudice del giudizio sulla lite pregiudicata il potere di sospenderlo (già con la sentenza 31 maggio 1996 n. 182 la Corte costituzionale aveva del resto avuto modo di richiamare l'attenzione degli interpreti sul disfavore verso il fenomeno sospensivo in quanto tale, espresso dal legislatore, con la riforma del 1990, soffermandosi sugli orientamenti restrittivi che s'erano manifestati nella giurisprudenza di legittimità a riguardo della precedente interpretazione dell'art. 295 c.p.c.).


E' dunque possibile a tale riguardo una considerazione conclusiva.


Da un punto di vista logico l'istituto processuale della sospensione necessaria è costruito su questi presupposti: la rilevazione del rapporto di dipendenza che si effettua ponendo a raffronto gli elementi fondanti delle due cause, quella pregiudicante e quella in tesi pregiudicata; la conseguente necessità che i fatti siano conosciuti e giudicati secondo diritto nello stesso modo; lo stato di incertezza in cui il giudizio su quei fatti versa, perchè controversi tra le parti.


L'idoneità della decisione sulla causa pregiudicante a condizionare quella della causa che ne dipende giustifica allora che questa causa resti sospesa a prescindere dal segno che potrà avere la decisione sull'altra.


Lo impone prima di tutto l'esigenza che il sistema giudiziario non sia gravato dalla duplicazione dell'attività di cognizione nei due processi pendenti.


Ma quando nel processo sulla causa pregiudicante la decisione è sopravvenuta, quello sulla causa pregiudicata è in grado di riprendere il suo corso, perchè ormai il sistema giudiziario è in grado di pervenire al giudizio sulla causa pregiudicata fondandolo sull'accertamento che sulla questione comune alle due cause si è potuto raggiungere nell'altro processo tra le stesse parti, attraverso l'esercizio della giurisdizione.


Non dipende più da esigenze di ordine logico che il processo sulla causa dipendente resti sospeso.


La duplice connessa circostanza che la decisione del primo giudice giustifichi a questo punto il passaggio alla sua esecuzione coattiva se pur provvisoria e il correlativo progressivo restringersi degli elementi di novità suscettibili di essere introdotti nel giudizio di impugnazione consente di ritenere che l'ordinamento si appaghi ora in linea generale del risparmio di attività istruttoria e preferisca all'attesa del giudicato la possibilità che il processo sulla causa dipendente riprenda assumendo a suo fondamento la decisione, ancorchè suscettibile di impugnazione, che si è avuta sulla causa pregiudicante, perchè, come si è detto, essendo il risultato di un accertamento in contraddittorio e provenendo dal giudice, giustifica la presunzione di conformità a diritto.


L'istituto della sospensione necessaria ha così esaurito i suoi effetti.


Il rapporto di dipendenza tra le cause però resta e se la controversia si riaccende nei gradi di impugnazione, spetterà ora alla valutazione del giudice della causa dipendente decidere se mantenere in stato di sospensione il processo di cui una delle parti abbia sollecitato la ripresa.


E la valutazione andrà fatta sulla base della plausibile controvertibilità che il confronto tra la decisione intervenuta e la critica che ne è stata svolta abbia fatto emergere.


[...]


La conclusione è che il ricorso per regolamento di competenza è accolto e l'ordinanza di sospensione pronunziata in applicazione dell'art. 295 cod. proc. civ. è cassata.


Lo è in base al principio di diritto che segue.


Fuori dei casi in cui sia espressamente disposto che un giudizio debba rimanere sospeso sino a che un altro da cui dipenda sia definito con decisione passata in giudicato, intervenuta nel primo decisione in primo grado, il secondo di cui sia stata in quel grado ordinata la sospensione può essere ripreso dalla parte che vi abbia interesse entro il termine dal passaggio in giudicato della detta decisione stabilito dall'art. 297 c.p.c..


Definito il primo giudizio senza che nel secondo la sospensione sia stata disposta o ripreso il secondo giudizio dopo che il primo sia stato definito, la sospensione del secondo può solo essere pronunziata sulla base dell'art. 337 c.p.c., comma 2, dal giudice che ritenga di non poggiarsi sull'autorità della decisione pronunziata nel primo giudizio.


A questo regime non si sottrae la relazione tra il giudizio promosso per la dichiarazione di filiazione naturale definito con sentenza, pur non passata in giudicato, che l'accerta ed il giudizio di petizione d'eredità promosso da chi risulterebbe chiamato all'eredità se la sua qualità di figlio naturale dell'ereditando fosse riconosciuta."

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 19-06-2012, n. 10027

La sentenza, per esteso, sul sito www.mauriziostorti.com alla sezione "giurisprudenza". Ecco il link diretto:

http://www.mauriziostorti.com/index.php?option=com_content&task=view&id=88&Itemid=62

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