02 maggio 2012

Testimoni: "de relato partium" e quelli "de relato" - Patto di quota lite e palmario: differenze


"Secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 8358 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 313 del 2011), in tema di rilevanza probatoria delle deposizioni di persone che hanno solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso, occorre distinguere i testimoni "de relato partium" e quelli "de relato" in genere: i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio o ha resistito ad esso, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa; gli altri testi, quelli "de relato" in genere, depongono invece su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata, perchè indiretta, e può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice solo nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità (elementi che, nella fattispecie, non sono stati presi in considerazione dalla Corte territoriale).


[...]


la Corte territoriale, oltre ad incorrere nei prospettati vizi motivazionali, ha violato anche il criterio ermeneutico previsto dall'art. 1367 c.c., il quale comporta che, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto lecito, anzichè in quello secondo cui non ne abbiano alcuno (o ne producano uno vietato dalla legge), omettendo, altresì, di verificare univocamente (rimanendo al riguardo, come detto, sostanzialmente irrilevanti gli esiti della testimonianza "de relato" precedentemente richiamata) se, nella specie, fosse stata o meno effettivamente conclusa tra le parti la pattuizione di un compenso aggiuntivo all'onorario la cui corresponsione era stata condizionata all'esito favorevole della lite (o delle liti, nel caso in esame). A tal proposito questo collegio - richiamandosi agli orientamenti giurisprudenziali precedenti più convincenti (cfr. Cass. 18 giugno 1986, n. 4078) - afferma che, sul piano generale, non sussiste il patto di quota lite, vietato dal terzo comma dell'art. 2233 c.c. (nella versione "ratione temporis" applicabile, antecedente alla sostituzione operata per effetto del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 2 bis, conv., con modif., nella L. n. 248 del 2006), non solo nel caso di convenzione che preveda il pagamento al difensore, sia in caso di vittoria che di esito sfavorevole della causa, di una somma di denaro (anche se in percentuale all'importo, riconosciuto in giudizio alla parte) ma non in sostituzione, bensì in aggiunta all'onorario, a titolo di premio (cosiddetto palmario), o di compenso straordinario per l'importanza e difficoltà della prestazione professionale (da accertare in concreto - come nella fattispecie - sulla scorta di idonei riscontri probatori), ma anche quando la pattuizione del compenso al professionista - ancorchè limitato agli acconti versati - sia sostanzialmente - anche se implicitamente - collegata all'importanza delle prestazioni professionali od al valore della controversia (presupposti questi, anch'essi, da verificare in concreto) e non in modo totale o prevalente all'esito della lite."

Cass. civ. Sez. II, Sent., 26-04-2012, n. 6519

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