06 aprile 2018

Lede la dignità alla persona il colpevole ritardo diagnostico di una condizione patologica ad esito infausto: danno risarcito in via equitativa

4. Le censure illustrate dalle ricorrenti principali - congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione delle questioni dedotte - devono ritenersi fondate nei termini di seguito indicati. 

5. Il profilo critico di principale rilievo delle doglianze avanzate dalle odierne ricorrenti appare con immediatezza riconducibile alla contestazione dell'erroneità della decisione del giudice a quo nella parte in cui ha ritenuto non adeguatamente allegate e comprovate, dalle attrici, le circostanze di fatto concernenti il danno consistito nell'imposizione, a carico di F.D., di una condizione esistenziale di materiale impedimento a scegliere 'cosa fare' nell'ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all'esito infausto, ovvero di programmare il suo essere persona e, dunque, l'esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche in vista e fino a quell'esito; e tanto, in conformità agli arresti della giurisprudenza di questa Corte, correttamente richiamati dai giudici d'appello (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 23846 del 18/09/2008, Rv. 604661 - 01).

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Deve pertanto ritenersi che le circostanze di fatto consistenti nella sopportazione di una condizione esistenziale di 'forte' o 'rilevante' dolore fisico (e dunque di materiale apprezzabile sofferenza) sin dal primo contatto con i convenuti, fossero state debitamente dedotte in giudizio dalle originarie attrici. 
Proprio con riguardo a tali (incontestate) circostanze di fatto, le originarie attrici ebbero ad argomentare la rimproverabilità del comportamento colposo dei medici convenuti, per avere gli stessi compromesso - non avviando tempestivamente il paziente ai doverosi approfondimenti diagnostici -, non tanto (o non solo) l'evitabilità dell'evento letale, quanto (e soprattutto) le possibilità di un apprezzabile prolungamento della vita residua (quale possibile effetto di un'eventuale terapia avviata in epoca anteriore), o anche solo la qualità di tale ridotta prospettiva esistenziale, che non sarebbe stata certamente pregiudicata da una tempestiva (e dunque anteriore) conoscenza, da parte del paziente, delle proprie effettive e reali condizioni di salute.

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... osserva il Collegio come la corte territoriale sia in corsa in un evidente equivoco, atteso che il danno nella specie denunciato dalle attrici non può in nessun modo farsi consistere nella perdita di specifiche possibilità esistenziali alternative, necessariamente legate alle particolari scelte di vita non potute compiere dal paziente (un discorso solo impropriamente, e in larga misura erroneamente, tradotto con l'equivoco richiamo al tema della perdita di chances), bensì con la perdita diretta di un bene reale, certo (sul piano sostanziale) ed effettivo, non configurabile alla stregua di un quantum (eventualmente traducibile in termini percentuali) di possibilità di un risultato o di un evento favorevole (secondo la definizione elementare della chance comunemente diffusa nei discorsi sulla responsabilità civile), ma apprezzabile con immediatezza quale correlato del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto; e dunque quale situazione soggettiva suscettibile di darsi ben prima (al di qua) di qualunque (arbitraria) scelta personale che si voglia già compiuta, o di là da compiere; e ancora, al di là di qualunque considerazione soggettiva sul valore, la rilevanza o la dignità, degli eventuali possibili contenuti di tale scelta.

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... la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all'ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine, appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali che il velo d'ignoranza illecitamente indotto dalla colpevole condotta dei medici convenuti ha per sempre impedito che si attuassero come espressioni di una scelta personale. Poiché anche la sofferenza e il dolore, là dove coscientemente e consapevolmente non curati o alleviati, acquistano un senso ben differente, sul piano della qualità della vita, se accettati come fatto determinato da una propria personale opzione di valore nella prospettiva di una fine che si annuncia (più o meno) imminente, piuttosto che vissuti, passivamente, come segni misteriosi di un'inspiegabile, insondabile e angosciante, ineluttabilità delle cose. Rilievo che vale a tradursi in una specifica percezione del sé quale soggetto responsabile, e non mero oggetto passivo, della propria esperienza esistenziale; e tanto, proprio nel momento della più intensa (ed emotivamente pregnante) prova della vita, qual è il confronto con la realtà della fine. 

10. La tutela (risarcitoria) della situazione soggettiva in esame si risolve, pertanto, nell'immediata protezione giuridica di una specifica forma dell'autodeterminazione individuale (quella che si esplica nella particolare condizione della vita affetta da patologie ad esito certamente infausto) e, dunque, del valore supremo della dignità della persona in questa sua ulteriore dimensione prospettica; una situazione soggettiva che deve ritenersi fatalmente e direttamente violata dal colpevole ritardo diagnostico della patologia ad esito certamente infausto di cui si sia reso autore il sanitario chiamato a risponderne.

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... la conseguente violazione del diritto del paziente di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una simile condizione di vita, vale a integrare la lesione di un bene già di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno così inferto sulla base di una liquidazione equitativa.

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13. Con l'unico motivo del proposto ricorso incidentale condizionato all'accoglimento del ricorso principale, A.T. censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218 e/o 2043 c.c., degli artt. 2727 e 2729 c.c., dell'art. 1 del d.m. 21 febbraio 1997 (in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la violazione, da parte del T., delle norme cautelari nella specie applicabili in relazione al mancato avviamento del paziente ai necessari approfondimenti diagnostici, al fine di anticipare l'accertamento della patologia neoplastica dallo stesso sofferta, attesa l'inesigibilità, nei confronti del T., di una capacità interpretativa dei referti radiografici allo stesso consegnati dal paziente, al momento della relativa visita, suscettibile di consentirgli l'effettivo avviamento dello stesso ai ridetti approfondimenti, tenuto conto del ragionevole affidamento riposto, dallo stesso T., nella competenza dei colleghi radiologi che avevano provveduto alla previa creazione e interpretazione della documentazione radiografica acquisita, dalle quali ultime era emersa l'insussistenza di alcuna obiettiva esigenza di ulteriori accertamenti, come peraltro confermato in occasione delle indagini tecniche eseguite nel corso del giudizio.

14. Il motivo - il cui esame s'impone a seguito della ritenuta fondatezza del ricorso principale - è inammissibile.

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Sul punto, varrà ribadire come la corte territoriale abbia ravvisato lo specifico profilo di rimproverabilità del comportamento del T., non già in relazione alla mancata comprensione di ciò che era comprensibile, bensì nell'aver trascurato - dinanzi al carattere, per così dire, 'muto' della documentazione radiografica - i segnali clinici (e, in primo luogo, il significativo rilievo della persistente, inspiegata, sintomatologia dolorosa accusata dal paziente) che apparivano tali da imporre, secondo un criterio di normalità, una più scrupolosa prudenza nell'approfondimento della ricerca delle relative cause, non avviando il D. al compimento di quelle ulteriori forme di accertamento specialistico che gli avrebbero consentito (come di fatto in seguito avvenuto) una più tempestiva diagnosi delle cause effettive della sofferenza nella specie avvertita con tanta persistente continuità.

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... dev'essere disposta, con l'accoglimento del ricorso principale, la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d'appello di Roma, cui è rimesso di provvedere, sulla base degli elementi di fatto acquisiti al processo, al riscontro della consistenza effettiva del danno denunciato dalle originarie attrici, in applicazione del seguente principio di diritto: 
La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di chances connesse allo svolgimento di singole specifiche scelte di vita non potute compiere, ma nella lesione di un bene già di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere, una volta attestato il colpevole ritardo diagnostico di una condizione patologica ad esito certamente infausto (da parte dei sanitari convenuti), l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno così inferto sulla base di una liquidazione equitativa.

Cassazione Civile, Ord. Sez. 3 Num. 7260 Anno 2018


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