L'affermazione della sussistenza del litisconsorzio necessario a prescindere dall'accertamento dell'interesse in concreto delle parti - e segnatamente dell'alienante - alla partecipazione al giudizio, si fonda anche sul rilievo che la disposizione relativa al litisconsorzio è inderogabile, d'interesse pubblico e la sua valutazione viene logicamente prima del merito.
Siffatta argomentazione appare in contrasto con l'orientamento, elaborati da questa Corte dopo la costituzionalizzazione del principio del giusto processo (art. 111 Cost.), in tema di conseguenze delle lesioni dei diritti processuali. La progressiva affermazione della necessità che la violazione delle regole del giusto processo sia effettiva e determini un vulnus nel diritto di difesa, che deve essere dedotto ed allegato, ha infatti indotto la Corte ad un approccio non dogmatico riguardo alla applicazione dell'art. 102 c.p.c.. Si è così giunti a non ritenere necessaria la rimessione del processo davanti al giudice del secondo grado per disporre l'integrazione del contraddittorio quando la partecipazione del litisconsorte pretermesso avrebbe determinato esclusivamente una diseconomia temporale, non sussistendo in capo alla parte esclusa alcun interesse attuale a partecipare al giudizio (Cass. 18410 del 2009; Cass. n. 4342 del 2010; Cass. n. 18375 del 2010). Indirizzo, questo, che converge con l'analogo orientamento fondato sulla non utilità e conseguente non necessità del litisconsorzio necessario davanti alla Corte di Cassazione, quando vi sia una ragione di inammissibilità o di manifesta infondatezza che s'impone. (Cass. n. 2723 del 2010; Cass., S.U., n. 6826 del 2010).
La spinta delle interpretazioni costituzionalmente orientate verso l'attuazione effettiva dei principi del giusto processo contenuti nell'art. 111 Cost., è quindi stata realizzata secondo due direttrici, peraltro convergenti: l'obbligo, per la parte, di dedurre ed allegare l'impedimento e la limitazione dell'esercizio del diritto di difesa; il reciproco dovere del giudice di verificare preliminarmente ed officiosamente la sussistenza o la conservazione dell'interesse a contraddire prima di ordinare l'esecuzione di un'attività produttiva di un allungamento dei tempi del processo che l'assenza d'interesse renderebbe ingiustificabile.
In sostanza, l'interesse si coniuga con l'utilità dell'accertamento nei confronti della parte non ancora inclusa nel processo e la natura pubblicistica del litisconsorzio necessario risulta depurata, alla luce dell'esigenza costituzionale di rendere effettiva la tutela giudiziale dei diritti, da principi aprioristicamente ritenuti inderogabili senza essere calati nella realtà processuale ove sono deputati a trovare applicazione. Pertanto, posto che l'accertamento giudiziale e il giudicato hanno la funzione di produrre effetti nella sfera giuridico-patrimoniale delle parti, modificando (o confermando definitivamente) il precedente assetto, ove lo stesso non abbia questa finalità, perchè lascia invariati gli interessi di una parte (in senso formale), non vi è la necessità inderogabile di far partecipare questa parte al processo perchè così operando si finirebbe per attribuire al giudicato un'efficacia erga omnes, di natura meramente dichiarativa, diversa da quella derivante dall'intangibilità così come definita nell'art. 2909 c.c..
Ed è appunto questa la situazione che si verifica con riferimento all'alienante quando il contratto sia stato eseguito e si discuta di simulazione relativa per interposizione fittizia nella persona dell'acquirente.
In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di diritto: "nella simulazione relativa della compravendita per interposizione fittizia dell'acquirente, l'alienante non è litisconsorte necessario, se nei suoi riguardi il negozio è stato integralmente eseguito e manca ogni suo interesse a essere parte nel giudizio".
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 14-05-2013, n. 11523
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