16 dicembre 2013

L’agenzia di viaggio risarcisce il viaggio di nozze se omette di controllare il visto della moglie

Quanto alla natura degli obblighi a carico dell'agente, non può essere condivisa la tesi del resistente, secondo cui la CCV non impone alcun obbligo di informazione circa i visti e i documenti di ingresso nel paese di destinazione a carico del mero intermediario di viaggio, tali obbligazioni gravando esclusivamente sull'organizzatore di viaggi e fornitore di pacchetti turistici.

Vero è che l'art. 18 CCV non menziona espressamente, con riferimento al mero intermediario di viaggi, i doveri di informazione sui visti turistici, nè l'obbligo di procurarli ai viaggiatori.

Ma l'art. 3 della Convenzione medesima dispone che anche l'intermediario, come l'organizzatore di viaggi, è tenuto a proteggere "... i diritti e gli interessi dei viaggiatori secondo i principi generali del diritto e i buoni usi in questo campo".

L'art. 22 soggiunge che "L'intermerdiario di viaggi risponde di qualsiasi inosservanza che commette nell'adempimento dei suoi obblighi, l'inosservanza venendo stabilita considerando i doveri che competono ad un intermediario di viaggi diligente". Per poter escludere la responsabilità dell'Agenzia Gr. ai sensi delle citate norme il g.a. avrebbe dovuto accertare se -anche ammesso che la prestazione richiesta all'Agenzia sia consistita nella sola vendita dei biglietti aerei - le modalità della contrattazione, l'identità dei clienti (che l'agente è tenuto ad acquisire all'atto della vendita dei biglietti aerei), le circostanze di cui l'agente era o poteva essere a conoscenza (per esempio il fatto che si trattava di due sposi in viaggio di nozze), e cosi via, avrebbero dovuto indurre l'Agenzia a rilevare, facendo uso dell'ordinaria diligenza e in base agli usi del settore, che la L.G. era cittadina extracomunitaria e che avrebbe dovuto munirsi del visto di ingresso in (OMISSIS), o quanto meno, l'agente avrebbe dovuto mettere in allarme i clienti circa questa possibilità, si che essi stessi procedessero agli opportuni accertamenti.

Non si richiede, cioè, che gli acquirenti dei biglietti avessero espressamente informato la Gr. che la moglie era cittadina extracomunitaria, e di ciò avessero fornito la prova, come afferma la sentenza di appello.

Era piuttosto necessario accertare se tale circostanza fosse comunque conosciuta o conoscibile dall'intermediario, facendo uso dell'ordinaria diligenza e delle competenze tipiche degli operatori del settore, come disposto dalle citate norme della CCV. Su questi aspetti - che hanno rilevanza decisiva ai fini del giudizio sulla responsabilità, sia in base ai criteri stabiliti dalla CCV, sia anche in base alle norme generali sul mandato - manca nella sentenza impugnata ogni motivazione.

Se si considera che l'intermediario di viaggio, per la stessa natura della sua professione, è normalmente tenuto a sapere quali paesi stranieri, e per quali viaggiatori, richiedano il visto di ingresso; che è comunque in grado di accertarsene con maggiore facilità che non il cliente, trovandosi quotidianamente ad affrontare problemi del genere, e che i dati forniti dalla viaggiatrice sulla sua identità per ottenere il rilascio del biglietto rivelavano quanto meno l'esotismo del nome, la situazione appare oggettivamente tale da indurre a ritenere che un operatore del settore avrebbe dovuto porsi quanto meno il dubbio circa la necessità del visto di ingresso e dovesse informarne i clienti. La sentenza impugnata sul punto è carente, quanto meno sotto il profilo dell'insufficienza della motivazione. Si ricorda che in tema di responsabilità contrattuale l'onere di fornire la prova dell'adempimento, o delle circostanze che lo avrebbero reso impossibile o inesigibile, è a carico della parte obbligata. La Gr. avrebbe dovuto dimostrare, quindi, che la cittadinanza extracomunitaria della L.G. non poteva essere obiettivamente desunta dai dati raccolti in occasione della vendita e dell'intestazione dei biglietti, nè dalle modalità secondo cui si è svolto il rapporto.

La motivazione della Corte di appello non è condivisibile neppure nella parte in cui ha escluso che sia configurabile responsabilità dell'agente Gr. sulla base del norme che regolano il mandato.

Il principio per cui il mandatario è tenuto ad eseguire solo le prestazioni che gli siano specificamente richieste dal mandante è in linea di principio corretto, ma deve essere applicato tenendo conto della distinzione fra i c.d. essentialia ed i naturalia negotii, i quali ultimi vanno normalmente inclusi nell'oggetto del contratto, pur se non espressamente menzionati.

E' frequente (soprattutto in tema di mandato) che i contraenti enuncino solo lo scopo perseguito; non necessariamente le singole attività necessarie per raggiungerlo, ed è compito dell'interprete stabilire - anche in base ai principi in tema di buona fede nella conclusione, nell'interpretazione e nell'esecuzione del contratto (art. 1337, 1366 e 1375 cod. civ.) - se una determinata attività preparatoria o accessoria sia da ritenere compresa nella prestazione dovuta, pur se non espressamente menzionata, perchè ordinariamente richiesta o comunque strumentale al perseguimento dello scopo dichiarato: in particolar modo quando la relativa omissione vanifichi l'utilità della prestazione principale.

Il giudice di appello ha disatteso il principio per cui il contratto comprende non solo quanto espressamente emerga dal suo tenore letterale, ma tutto ciò su cui le parti si siano anche implicitamente proposte di contrattare (cfr. artt. 1362 e 1364 c.c. e artt. 1365 c.c. ss.), tenuto conto della prassi corrente, dei doveri di ordinaria diligenza gravanti su ognuna di esse, anche in relazione alle loro competenze ed al loro bagaglio culturale, e di ogni altra circostanza: ferma restando l'esigenza che resti comunque inalterato l'equilibrio economico dell'affare, cosi come originariamente previsto ed accettato (problema che nella specie non si pone, considerato che l'informazione sui visti non avrebbe richiesto al mandatario di sobbarcarsi a peculiari oneri economici aggiuntivi).

La motivazione con cui il giudice di appello ha escluso l'applicabilità delle norme sul mandato è quindi anch'essa insufficiente e fondata su argomentazioni giuridiche non complete e non condivisibili.

Corte di cassazione – Sezione III civile – Sentenza 27 settembre-12 novembre 2013 n. 25410



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