17 novembre 2013

Il figlio che sposta senza autorizzazione la residenza della madre in amministrazione di sostegno non commette reato.

All'esito di indagini preliminari F.S. era tratto a giudizio per rispondere del reato previsto dall'art. 388 c.p., comma 2, per aver eluso l'esecuzione del provvedimento adottato il 4.10.2006 dal giudice tutelare del Tribunale di Viterbo sezione di Civita Castellana che, ai sensi dell'art. 404 c.p.c. e ss., aveva nominato la sorella dell'imputato F.C. amministratore di sostegno della convivente madre L.G., incapace di provvedere a se stessa, che il giudicabile prendeva con sè, riportandola in (OMISSIS).

Con sentenza emessa il 14.12.2011 a conclusione di giudizio ordinario il Tribunale di Viterbo sezione di Civita Castellana ha riconosciuto l'imputato colpevole del reato contravvenzionale di inosservanza di un provvedimento dell'autorità ex art. 650 c.p., così diversamente qualificato il fatto in origine contestato al F., che ha condannato alla pena di Euro cinquanta di ammenda e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile F.C..

La sentenza, con motivazione contestuale, così testualmente giustifica la decisione: "...il reato di cui all'art. 574 c.p., riguarda l'incapace, mentre il reato di cui all'art. 650 c.p., riguarda il provvedimento della pubblica autorità dato per ragioni di giustizia; nella specie il prevenuto era a conoscenza del provvedimento di nomina dell'amministratore da parte del giudice tutelare, onde non doveva provvedere al trasporto in altro luogo dell'amministranda prima della revoca di detto atto".

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La sentenza è totalmente priva di una accettabile motivazione, essendo vergata su un prestampato con la dicitura che "le risultanze dell'istruttoria hanno confermato la responsabilità dell'imputato per quanto in rubrica ascritto" (sebbene il Tribunale abbia riqualificato l'accusa ex art. 388 c.p., e non - come affermato nella apparente motivazione - ex art. 574 c.p., ai sensi dell'art. 650 c.p.), senza chiarire quali siano le emergenze istruttorie valorizzate per la decisione. Emergenze che, se correttamente apprezzate, avrebbero dovuto condurre al pieno proscioglimento del F.. La madre dell'imputato, in vero, non era nè una minore nè una persona incapace, perchè l'amministrazione di sostegno disciplinata dall'art. 404 c.c. e ss., non presuppone che l'amministrato sia infermo di mente al pari dell'interdicendo, conservando la titolarità dei propri diritti personali e patrimoniali. Il Tribunale ha ignorato le testimonianze dibattimentali delle altre due sorelle dell'imputato, F. A. e L., che hanno riferito come la madre più volte, prima del 18.4.2007 e quello stesso giorno, avesse manifestato la sua ferma volontà di tornare in Sicilia nella sua abitazione di (OMISSIS). D'altro canto l'ordinanza del giudice tutelare che ha nominato alla signora L.G. un amministratore di sostegno (in persona della figlia C.) non ha disposto alcun specifico e incoercibile "affidamento" residenziale dell'anziana.

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Al di là della mancanza di concreta motivazione della sentenza impugnata, che prescinde completamente dall'analisi delle risultanze processuali ed enuncia giudizi apodittici, il reato di cui all'art. 650 c.p., in cui il Tribunale ha creduto di dover derubricare l'originaria accusa ex art. 380 c.p., non sussiste, non ricorrendone gli elementi integrativi nell'indagata condotta dell'imputato.

Come ha puntualizzato la giurisprudenza di questa Corte regolatrice (Cass. Sez. 1, 13.6.2001 n. 29436, Bordi, rv. 219582; Cass. Sez. 1, 24.9.2003 n. 41045, Cosentino, rv. 225784), il reato contravvenzionale di cui all'art. 650 c.p., concernente l'inosservanza di provvedimenti dell'autorità "dati per ragioni di giustizia" può avere a presupposto solo provvedimenti oggettivamente amministrativi che, sebbene emanati per ragioni inerenti a finalità di giustizia in senso lato, hanno come contenuto un esercizio della potestà amministrativa destinata a produrre effetti nei rapporti esterni all'attività specifica e propria del giudice. Di tal che tra i provvedimenti considerati dalla fattispecie regolata dall'art. 650 c.p., avente peculiare natura residuale ("se il fatto non costituisce un più grave reato"), non ricadono quelli tipici della funzione giurisdizionale (sentenza, ordinanza, decreto) e certamente non quelli emessi dal giudice in sede civile. Per provvedimento dell'autorità, ai fini dell'art. 650 c.p., deve intendersi, infatti, ogni atto con cui l'autorità imponga ad una o più persone determinate un particolare condotta, commissiva od omissiva, dettata da contingenti ragioni a tutela di interessi collettivi (id est pubblici) afferenti a scopi di giustizia, sicurezza, ordine pubblico, igiene. In tale quadro normativo, in cui l'esercizio del potere dell'autorità (amministrativa) è destinato ad operare direttamente nei rapporti esterni all'attività propria del giudice, non possono venire in rilievo i provvedimenti giurisdizionali in senso stretto, cioè gli atti tipici del giudice (peri l'appunto sentenza, ordinanza, decreto), che non riguardano in via immediata un interesse di carattere generale ovvero, se anche lo riguardano, non attengono a quel substrato di ordine pubblico, inteso in senso lato e diffuso, che rappresenta l'oggetto, sia pure residuale, della tutela apprestata dall'art. 650 c.p..

Ma, se la condotta dell'imputato non è sanzionabile ai sensi dell'art. 650 c.p., come ritenuto con carente motivazione (ex art. 521 c.p., comma 1) dalla sentenza impugnata, ragioni di completezza di analisi impongono di osservare che la condotta in esame non costituirebbe reato neppure alla stregua della originaria contestazione mossa al F. ai sensi dell'art. 388 c.p., comma 2. Il comportamento dell'imputato che, nella certezza di esaudire la volontà dell'anziana madre (poi deceduta nel 2010) espressa in ambito familiare, l'ha riportata con sè in Sicilia, nella sua terra di origine, non si traduce - infatti - in alcuna inosservanza penalmente apprezzabile del provvedimento con cui il giudice tutelare ha nominato alla donna un amministratore di sostegno ai sensi dell'art. 404 c.c..

L'ordinanza in questione, versata in atti e comunque trascritta per intero nel ricorso odierno, non reca alcuna prescrizione imperativa, limitandosi a conferire ad una figlia della signora L. per mere ragioni di "opportunità" l'incarico di amministratore di sostegno della donna, attribuendole il potere di compiere in nome e per conto della beneficiaria alcuni atti di ordinaria amministrazione, ferma restando per la beneficiaria "la facoltà di compiere personalmente tutti gli atti necessari a soddisfare le proprie esigenze quotidiane". Non solo. L'ordinanza del giudice tutelare indica espressamente gli atti esperibili dall'amministratrice di sostegno, con obbligo di relazione periodica, individuandoli: nella riscossione di pensioni e indennità, nella proposizione di istanze per ottenere prestazioni assistenziali o sussidi, nella presentazione della dichiarazione dei redditi. Nulla l'ordinanza precisa, in termini obbligatori o cogenti, sul luogo di residenza dell'amministranda ovvero sulla sua eventuale incapacità di determinarlo in piena autonomia e consapevolezza. Nè, del resto, il provvedimento del giudice tutelare ex art. 404 c.c., avrebbe potuto disporre in termini diversi.

Corte di cassazione – Sezione VI penale – Sentenza 23 settembre 2013 n. 39217



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