“Il motivo che precede sub a) è manifestamente infondato.
Invero, per la configurazione del delitto di cui all'art. 646 c.p., basta che l'ingiusto profitto sia potenziale, non essendo necessario che esso si realizzi effettivamente, il che emerge pacificamente dal rilievo che la norma richiede solo che il soggetto attivo agisca "per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto".
In altre parole basta - per il dolo specifico che caratterizza la fattispecie - il mero intento di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, a prescindere dalla concreta sua realizzazione.
Nel caso di specie, correttamente i giudici del merito hanno ravvisato il fine di profitto perseguito dall'odierno ricorrente nel fatto di continuare ad amministrare il condominio, il che lo poneva (e ciò non costituisce mera ipotesi, ma oggettiva constatazione) in condizioni di accampare ulteriori pretese o comunque di rendere più difficoltosa (se non di paralizzare) l'amministrazione del condominio stesso, giacchè - come emerge dalla gravata pronuncia - il M. continuava a considerarsi amministratore del condominio ritenendo illegittima la delibera assembleare che lo aveva revocato, al punto da invitare i condomini dissenzienti a sottoscrivere un documento in suo sostegno.
E appena il caso di ricordare che l'ingiusto profitto di cui all'art. 646 c.p., non deve necessariamente connotarsi in senso patrimoniale (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 40119 del 22.10.10, dep. 12.11.10).”
Corte di cassazione – Sezione II penale – Sentenza 10 luglio 2013 n. 29451
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