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13 novembre 2012
La ricerca della comune intenzione delle parti attraverso il senso letterale delle parole adoperate.
Tale pur sintetica motivazione rispetta il criterio ermeneutico prioritario, che impone la ricerca della comune intenzione delle parti attraverso, innanzi tutto, il senso letterale delle parole adoperate.
Ed invero, mentre parte ricorrente enfatizza solo il divieto di modifiche, astraendo queste ultime dal resto della disposizione, la Corte territoriale ha giustamente considerato detto divieto nell'insieme della frase, riferendole all'architettura e all'estetica del fabbricato, nozioni, queste, che nulla autorizza a sopprimere o svalutare nella lettura della norma regolamentare in oggetto.
Nè ha pregio, allo scopo di fondare la dedotta violazione dell'art. 1367 c.c., l'osservazione per cui, seguendo l'interpretazione della Corte d'appello, la portata precettiva di detta disposizione regolamentare sarebbe analoga a quella dell'art. 1120 c.c., costituendone un'inutile duplicazione.
In disparte la considerazione che il canone ermeneutico di cui all'art. 1367 c.c. rientra tra quelli di tipo oggettivo-integrativo, cui far ricorso solo in quanto i criteri storico-soggettivi degli artt. 1362-1365 c.c. si siano dimostrati insufficienti (giurisprudenza costante: cfr. da ultimo, Cass. n. 6601/12), per cui è da ritenersi non corretto, dal punto di vista logico-giuridico, ricavare l'insufficienza dei criteri soggettivi dal potenziale conflitto con l'esito interpretativo che si avrebbe ricorrendo ai canoni dell'interpretazione oggettiva; tutto ciò a parte, è sufficiente osservare che (i) la corrispondenza della regola autonoma con quella eteronoma non destituisce di significato ed efficacia precettiva la prima, quanto meno nel senso dell'implicito rinvio recettizio che ne deriva; e che (ii) le innovazioni, di cui all'art. 1120 c.c., non corrispondono perfettamente alle modifiche, cui in realtà si riferisce l'art. 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione della cosa comune, che incidono sull'essenza di essa e ne alterano l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà che il condomino ha in ordine alla migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c. (così, Cass. n. 2940/63).
Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-10-2012, n. 18052
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