04 luglio 2012

Valida la sentenza che contenga la condanna al pagamento di un credito non specificamente determinato


"Alla Corte è posto il seguente quesito: - se incorre nel vizio di ultrapetizione e conseguente violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., il giudice dell'opposizione all'esecuzione che dichiari d'ufficio la nullità del precetto per genericità del titolo esecutivo, ancorchè l'opponente non abbia eccepito come motivo di opposizione l'inidoneità della sentenza azionata a costituire titolo esecutivo e non essendosi instaurato quindi sulla questione il contraddicono tra le parti, con conseguente lesione del diritto di difesa.


[...]


Alla Corte è posto il seguente quesito: se, ai sensi dell'art. 474 c.p.c., costituisce o meno valido titolo esecutivo la sentenza che contenga la condanna al pagamento di un credito non specificamente determinato, ma comunque determinabile attraverso dati provenienti da fonti normative e con semplici calcoli aritmetici effettuati sulla scorta di dati desumibili da atti e documenti prodotti nel giudizio e non contestati dall'altra parte.


[...]


La prima questione che i due motivi sottopongono alla Corte è se il giudice dell'opposizione all'esecuzione, pur quando l'opposizione sia proposta per una diversa ragione, abbia il potere di verificare se il diritto, corrispondente all'obbligo di cui con il precetto viene intimato l'adempimento, risulti dal titolo esecutivo.


Per rispondere a questo interrogativo è necessario affrontarne un altro che lo precede nell'ordine logico.


Si tratta infatti di stabilire se, per intendere il significato e l'estensione dell'accertamento compiuto dal giudice con la sentenza ed in genere per decidere della sua autorità, sia dato integrare il pensiero del giudice consegnato alla sentenza con quanto risulta dagli atti delle parti, dai documenti da esse prodotti, dalle relazioni degli ausiliari del giudice, se ne siano stati introdotti nel processo in cui la sentenza che ha definito quel giudizio è stata pronunziata.


Su questo punto, quanto all'efficacia propria del giudicato, anche esterno, la risposta della giurisprudenza della Corte la si deve considerare attestata in modo consolidato su una posizione affermativa, almeno in riferimento agli atti delle parti.


E' pacifico che, non al fine di sovvertire un significato della sentenza chiaro alla luce del dispositivo e della relativa motivazione, ma per superare le incertezze lasciate da questi aspetti del documento sentenza, rientra nei poteri del giudice risalire alla formulazione delle domande delle parti e, secondo alcune tra le decisioni che subito si riportano, anche agli atti del processo in cui la sentenza è stata pronunziata (Cass. 26 giugno 1991 n. 7186; 10 giugno 1995 n. 6559; 26 luglio 1996 n. 6751; 27 aprile 1996 n. 3916; 11 marzo 2004 n. 4983; 23 novembre 2005 n. 24594; 7 febbraio 2007 n. 2721; 18 marzo 2010 n. 6597; 20 luglio 2011 n. 15902).


L'orientamento seguito dalla giurisprudenza della Corte è peraltro nel senso che l'operazione intesa alla ricostruzione del contenuto del giudicato, segue bensì le regole dell'interpretazione della legge - ed a tale stregua va a sua volta giudicata - quante volte si tratta di stabilire se essa faccia stato circa l'oggetto di altra lite (SU 25 maggio 2001 n. 226; 16 giugno 2006 n. 13196; 28 novembre 2007 n. 24664); ma la stessa operazione si risolve invece in un giudizio di fatto ed a tale stregua il suo risultato è sindacabile in sede di ricorso per cassazione, tutte le volte che del contenuto della precedente decisione si sia discusso in sede di esecuzione forzata e perciò nel giudizio di opposizione all'esecuzione (Cass. 21 novembre 2001 n 14727; 25 marzo 2003 n. 4382; 5 settembre 2006 n. 19057; 9 agosto 2007 n. 17482; 6 luglio 2010 n. 15852; 14 gennaio 2011 n. 760; 10 novembre 2011 n. 23471).


[...]


La soluzione che si propone di abbandonare postula una identificazione del titolo esecutivo col documento in cui è consacrato l'obbligo da eseguire e da tale identificazione fa discendere il divieto di interpretazione extratestuale.


Ma, a proposito delle sentenze e dei provvedimenti ed atti del giudice cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, l'idoneità a fondare la relativa azione dipende dalla valutazione che l'ordinamento esprime circa l'altrettale idoneità dei relativi procedimenti ad accertare i diritti vantati nel processo, idoneità che a sua volta deriva dalla cognizione a loro riguardo da svolgersi nelle pertinenti forme del contraddittorio.


Perchè la parte sulla base di tali provvedimenti possa accedere all'azione esecutiva, l'art. 474 c.p.c., richiede bensì che il diritto accertato sia esattamente individuato e ricorrano le condizioni perchè ne possa essere preteso l'adempimento.


E però ciò non implica per sè un'esigenza di compiutezza del documento giudiziario, la cui mancanza impedisca di accedere agli atti del processo in cui il provvedimento è formato, data la funzione propria di quel documento, che è di esprimere il giudizio che sulla base appunto di quegli atti è destinato a doversi formare all'esito della relativa fase del procedimento.


Non si tratta di dare spazio ad un accertamento che è mancato, ma di precisarne l'oggetto.


Per altro verso, non è sulla base del documento titolo esecutivo che inizia l'esecuzione forzata, ma sulla base di questo e del precetto (art. 479 c.p.c., comma 1), il quale a sua volta deve contenere la specificazione che della prestazione della parte obbligata vi è fatta dalla parte istante (art. 480 c.p.c., comma 1, e art. 605 c.p.c., comma 1), al fine di consentirne lo spontaneo adempimento (art, 494 cod. proc. civ.), nel termine dilatorio a tale scopo previsto dalla legge.


Inoltre, se nell'esecuzione forzata per espropriazione o per consegna e rilascio, è l'ufficiale giudiziario a tradurre direttamente in atto la pretesa esecutiva una volta mancato l'adempimento spontaneo - ma lo stesso non accade nell'espropriazione forzata per obblighi di fare o non fare (art. 612 c.p.c., comma 1) - tuttavia sull'inizio delle operazioni esecutive può essere attivato il sindacato del giudice, attraverso le opposizioni che precedono tale inizio e con le quali da un lato è possibile attaccare il precetto, se la prestazione che vi è stata richiesta non si presenti formulata con la specificità necessaria a mostrarne la derivazione dal titolo esecutivo (art. 617 c.p.c., comma 1), dall'altro è possibile sollevare contestazioni a riguardo della stessa specificità dell'oggetto della condanna espressa nel titolo (art. 615 c.p.c., comma 1), si da poter ottenere che lo stesso inizio dell'esecuzione sia sospeso (art. 618 c.p.c., comma 2, e art. 615 c.p.c., comma 1).


Ne risulta che il superamento dell'incertezza circa l'esatta estensione dell'obbligo dichiarato nella sentenza e negli altri tipi di provvedimenti cui la legge ricollega efficacia esecutiva, incertezza che del resto può essere relativa, tale cioè da non estendersi al suo intero aspetto oggettivo, si presta ad essere attinto, prima dell'inizio dell'esecuzione, attraverso il rimedio delle opposizioni che la precedono, ma anche, a processo esecutivo iniziato, attraverso la sollecitazione del potere che pur è riconosciuto al giudice dell'esecuzione in tema di controllo della esistenza del titolo esecutivo.


Se dunque si considera la precisa individuazione dell'obbligo dichiarato dal giudice non come un requisito formale del provvedimento giudiziario, ma come ciò che il giudice di merito deve essere stato messo in grado di accertare ed è dimostrabile abbia accertato, quando si integri ciò che nel provvedimento è dichiarato, con ciò che gli è stato chiesto e vi appare discusso, si ottiene il sicuro vantaggio di costringere le parti del rapporto controverso al parlare chiaro: 
il creditore procedente indicando con precisione nel precetto la prestazione richiesta ed i suoi perchè; 
il debitore con altrettanta precisione contestando ciò che ritenga non dovuto, perchè negato o non accertato, ponendolo a base delle opposizioni che possono precedere o seguire l'inizio dell'esecuzione od affidandole al giudice dell'esecuzione ai fini del suo controllo sull'estensione del titolo; il creditore dal canto suo proponendo domanda riconvenzionale a fini di accertamento di quanto possa essere ritenuto già non accertato o controbattendo le allegazioni interne al processo esecutivo fatte dal debitore.


[...]


La possibilità che l'accertamento contenuto nel provvedimento giudiziale addotto come titolo esecutivo, al di là della formulazione di questo, potesse risultare integrato attraverso l'apporto probatorio proveniente dalla parte istante; in una situazione processuale in cui la contestazione che ne fosse stata fatta dal debitore veniva ritenuta dallo stesso giudice generica al punto da essere considerata affatto mancata; impediva al giudice di dichiarare di ufficio che al credito accertato nel provvedimento giurisdizionale fatto valere come titolo esecutivo mancavano i tratti richiesti dall'art. 474 c.p.c., senza che le parti fossero state invitate a discutere la questione ed integrare le proprie difese anche sul piano probatorio.


Il primo motivo è dunque fondato.


Lo è parimenti il secondo nei suoi aspetti di principio, la discussione sulla rilevanza delle fonti di integrazione dell'accertamento contenuto nel titolo restando riservata al giudice di rinvio con specifico riguardo a quelle che in concreto saranno fatte valere."

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 02-07-2012, n. 11066

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