24 aprile 2012

Responsabilità della P.A.: ingiustizia non è in "re ipsa", ma accertato l'errore niente spazio alla discrezionalità


"Infatti è ormai certo (confronta, ex plurimis, la recente Cass. n. 19458 del 2011) che l'Amministrazione finanziaria non può essere chiamata a rispondere del danno eventualmente causato al contribuente sulla base del solo dato oggettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, essendo necessario che la stessa, nell'adottare l'atto illegittimo, abbia anche violato le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, che costituiscono il limite esterno della sua azione.


Pertanto non è sufficiente l'obiettiva illegittimità del comportamento della P.A. (nel caso di specie della pretesa tributaria), ma occorre che tale illegittimità sia connotata da un quid pluris, che viene identificato nella violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Del resto, tutte le volte che l'azione giudiziaria viene basata sull'art. 2043 c.c., occorre necessariamente verificare non solo che la condotta abbia cagionato l'evento e che si sia verificato un danno - conseguenza, ma anche che essa sia qualificata dall'elemento soggettivo del dolo o della colpa.


Questa stessa sezione ha avuto modo di affermare (Cass. n. 22508 del 2011) che, in tema di responsabilità civile della P.A., l'ingiustizia del danno non può considerarsi in "re ipsa" nella sola illegittimità dell'esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo, invece, il giudice procedere, in ordine successivo, anche ad accertare se: a) sussista un evento dannoso; b) l'accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l'ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) l'evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, ad una condotta della P.A.; d) l'evento dannoso sia imputabile a responsabilità della P.A., sulla base non solo del dato obiettivo dell'illegittimità del provvedimento, ma anche del requisito soggettivo del dolo o della colpa.


La questione che ha originato il ricorso è già stata ripetutamente indagata da questa Corte, il cui orientamento è ormai consolidato nel ritenere (confronta, per tutte, Cass. Sez. 3^, n.5120 del 2011) che l'attività della P.A., anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti della legge e dal principio primario del "neminem laedere", di cui all'art. 2043 c.c.;


è, pertanto, consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato, da parte della stessa P.A., un comportamento doloso o colposo, che, in violazione della norma e del principio indicati abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. Infatti, stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost., la P.A. è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall'art. 2043 c.c., ponendosi tali principi come limiti esterni alla sua attività discrezionale.


Orbene, la sentenza impugnata è conforme a tale orientamento, atteso che il Tribunale ha testualmente affermato che "nel semplice fatto di avere richiesto un tributo non dovuto dal contribuente la responsabilità non è in re ipsa, deve accertarsi se l'Agenzia delle entrate non si è attenuta ai criteri di imparzialità, correttezza e buona amministrazione".


Merita, tuttavia, di essere corretta l'affermazione del Tribunale circa il carattere facoltativo dello sgravio in sede di autotutela, poichè essa contrasta con il sopra enunciato (peraltro riconosciuto anche dalla sentenza impugnata) dovere della P.A. di conformarsi alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione.


E' evidente che le predette regole impongono alla P.A., una volta informata dell'errore in cui è incorsa, di compiere le necessarie verifiche e poi, accertato l'errore, di annullare il provvedimento riconosciuto illegittimo o, comunque, errato. Non vi è, dunque, spazio alla mera discrezionalità poichè essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell'arbitrio, in palese contrasto con l'imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre debbono informare l'attività dei funzionari pubblici.


Questo principio vale anche allorchè il contribuente - compiendo una scelta di strategia difensiva il cui esito eventualmente negativo non può che imputare a se stesso - abbia lasciato scadere il termine utile per impugnare il provvedimento avanti alla Commissione Tributaria, giudice competente ad accertarne l'illegittimità e, quindi, sia stato costretto ad affidarsi all'autotutela della P.A..


L'errore in cui è incorso il Tribunale non comporta l'annullamento della sentenza, ma soltanto la correzione della sua motivazione, in quanto in concreto l'Agenzia delle Entrate ha emesso il provvedimento di sgravio."

Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-04-2012, n. 6283

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