30 aprile 2012

Licenziamento - Per la Cassazione eroina, crak, mariuana o hascish non fa differenza: si mina il rapporto fiduciario


"Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se violi l'art. 115 c.p.c., comma 2, e l'art. 2697 c.c., la sentenza impugnata nella parte in cui qualifichi come fatto notorio:


l'insussistenza di alcuna dipendenza derivante dall'uso di sostanze stupefacenti quali l'hashish e la marijuana;


che l'utilizzo di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) non modifichi la personalità dell'individuo;


che l'hashish e la marijuana hanno un costo di molto inferiore a quello di altre droghe;


che l'uso di hashish e di marijuana determinerebbe un disvalore sociale minore rispetto all'uso di altre droghe, anche con riferimento al danno all'immagine per la Banca.


[...]


Va rilevato anzitutto che, in ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci affermando ripetutamente (come ripercorso in Cass., n. 5095 del 2011) che per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. Anche nell'ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale giusta causa di licenziamento, il giudice investito della legittimità di tale recesso deve comunque valutare alla stregua dei parametri di cui all'art. 2119 c.c., l'effettiva gravità del comportamento stesso alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, con l'ulteriore precisazione secondo cui la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, dato che questi deve sempre verificare, stante l'inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui all'art. 2119 c.c., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell'elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (Cass., n. 16260 del 2004, Cass., n. 5103 del 1998).


E' stato altresì precisato (Cass., n. 25743 del 2007) che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso - istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 c.c., sicchè l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.).


[...]


In tema di ambito dell'apprezzamento riservato al giudice del merito, è stato condivisibilmente affermato (cfr. fra le altre, Cass. n. 8254 del 2004) che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.


[...]


Il giudice di appello ha affermato che "la detenzione di sostanze stupefacenti non va condivisa, socialmente può destare scalpore, ma, da un lato, va diversamente valutata la condotta di colui che la detiene per uso personale e colui che invece la detiene a funi di spaccio, possesso che evidentemente comporta frequentazioni di gente diversa, l'inserimento in un ambiente ben più pericoloso, che certo può costituire una giusta causa del venir meno del rapporto fiduciario, anche tenuto conto della qualità di istituto di credito del datore di lavoro. Si tratta dunque di una condotta molto meno grave, il che non può non avere riflessi anche sulla valutazione disciplinare.


E che questa sia la esatta ricostruzione della vicenda, tenuto conto degli elementi emersi in sede penali nessun dubbio può esservi, la detenzione non era a fine di spaccio.


La natura della sostanza stupefacente detenuta pure ha un peso non irrilevante, sempre dal punto di vista della compromissione dell'elemento fiduciario. Difatti, diverso è detenere eroina o crak, dal detenere mariuana e hascish, notoriamente diversi essendo gli effetti dell'uso dell'una e dell'altra, che nel fumo non danno assuefazione, nè inducono modifiche della personalità, sostanze che hanno un costo modesto, che verosimilmente chiunque può permettersi di affrontare, senza perciò, anche in questa ipotesi costituire pericolo per l'istituto di credito datore di lavoro e tenuto conto del disvalore sociale diverso, anche della sua immagine. Vero che un discorso diverso può esser fatto per la cocaina, ma la quantità rinvenuta al possesso al C. non fa certo presumere che ne fosse un abituale consumatore, poichè se tale fosse stato non si sarebbe accontentato di merce di qualità così infima e di una così scarsa dose". 


Il giudice di secondo grado ha affermato, altresì, "dunque si può affermare che l'episodio che ha visto coinvolto il C. attiene alla sua sfera rigorosamente privata, atteso che è accaduto in piena estate, in zona di mare e la notte tra sabato e domenica, non è, nella sua materialità molto più grave di quello del dipendente che viene trovato nella notte tra sabato e domenica, ubriaco, e abbia acquistato una massiccia dose di alcolici, non consente di affermare la qualità di tossicodipendente dell'appellante, che è comunque difficilmente ipotizzabile per sostanze come quelle detenute, nè quella di spacciatore, e se è pure astrattamente idoneo a fondare una sanzione disciplinare, non potendo essere condiviso, non certo quella espulsiva, ovvero la più grave", anche in ordine alla ritenuta pubblicità negativa, che sarebbe stata risolvibile col trasferimento ad altra sede.


La sentenza della Corte d'Appello di Sassari si articola in una valutazione non adeguatamente motivata, nè coerente sul piano logico, e non rispettosa dei principi giuridici in precedenza indicati.


Le considerazioni del giudice di secondo grado, in ordine agli effetti complessivi delle sostanze stupefacenti in questione, anche in relazione agli effetti delle sostanze alcoliche, alle condizioni di tempo e luogo, ai riflessi sociali, poste come presupposto della valutazione sulla gravità della condotta del lavoratore, nel giudizio di proporzionalità, sono assertive, non fondate su prove, e non possono essere ricondotte ai canoni giuridici delle massime di esperienza, o dei fatti notori, come precisati dalla giurisprudenza di questa Corte, sicchè non risulta estrinsecato il complessivo percorso logico-motivazionale."

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-04-2012, n. 6498

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