19 ottobre 2012

PPT su conto corrente dove confluiscono anche i redditi da lavoro: il limite del "quinto" si applica ?


"Tanto precisato, va rammentato che regolare tramite conto corrente determinate operazioni significa che il rapporto si sviluppa contabilmente attraverso un sistema scalare che prevede l'annotazione dei singoli atti posti in essere dalle parti in colonne contrapposte, una colonna recante la voce "avere" in cui vengono annotate le operazioni che comportano crediti a favore del cliente ed una colonna recante la voce "dare" in cui vengono annotate le operazioni da cui nascono debiti a carico del cliente.

La particolarità di tale regolamentazione consiste nel fatto che le reciproche annotazioni a debito ed a credito del cliente vengono sommate algebricamente in modo tale che in ogni momento è possibile verificare il risultato della sommatoria attraverso il saldo che viene annotato in una terza colonna che completa il risultato tipico del conto corrente. A questa regolazione contabile del contratto si accompagna la particolare disciplina del rapporto prevista dagli artt. 1852 e ss. cod. civ. (si veda, in particolare, l'art. 1852 cod. civ. il quale stabilisce che il correntista può disporre in ogni momento delle somme a suo credito salvo che si sia stato pattuito un termine di preavviso).

Trattandosi, nella specie, di un conto corrente variamente movimentato e non essendo, dunque, lo stesso qualificabile come di mero appoggio dei soli emolumenti retributivi la conseguenza che ne deriva è che tutto ciò che ivi veniva accreditato nel momento stesso dell'acquisizione della relativa disponibilità da parte del titolare era destinato a confondersi con le altre somme già ivi esistenti, diventando, per effetto dell'accredito sul conto corrente, irrilevante il titolo dell'annotazione.

Va, infatti, ritenuto che qualora le somme dovute per crediti di lavoro siano già affluite sul conto corrente o sul deposito bancario del debitore esecutato non si applicano le limitazioni al pignoramento previste dall'art. 545 cod. proc. civ.. E, d'altra parte, detta ultima norma quando prevede la possibilità di procedere al pignoramento dei crediti soltanto nel limite del "quinto" del loro ammontare si riferisce ai crediti di lavoro. Orbene, per individuare la natura di un credito (ivi compreso quello avente ad oggetto somme di denaro) occorre accertare il titolo per il quale certe somme sono dovute ed i soggetti coinvolti nel rapporto obbligatorio. Ond'è che, laddove il creditore procedente notifichi un pignoramento presso il datore di lavoro del suo debitore, non v'è dubbio che le "somme" da questi dovute a titolo di retribuzione rappresentino un credito di lavoro. Viceversa, quando il creditore pignorante sottoponga a pignoramento (id est a sequestro) somme esistenti presso un istituto bancario ove il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente e sul quale affluiscono anche le mensilità di stipendio, il credito del debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente. Sono, quindi, del tutto irrilevanti le ragioni per le quali quelle "somme" sono state versate su quel conto: il denaro è bene fungibile per eccellenza. Ciò, del resto, trova conferma nei precedenti di questa Corte, secondo cui, una volta soddisfatta, spontaneamente o per via coattiva, l'obbligazione derivante per legge a carico della p.a. in conseguenza dell'opera di lavoro prestata dal dipendente, nessuna preclusione o limitazione sussiste, in ordine alla sequestrabilità e pignorabilità di tali somme, ormai definitivamente acquisite dal dipendente e confluite nel suo patrimonio, sia che esse si trovino nel suo diretto possesso, sia che esse risultino depositate a suo nome presso banche ed assoggettate, quindi, alla disciplina dell'art. 1834 cod. civ. (cfr. Cass. n. 3518 del 12 giugno 1985).

Nè può ritenersi la suddetta disponibilità esclusa dal fatto che sul conto fosse stato operato il blocco di alcuni pagamenti (utenze, carte di credito) ovvero dalla circostanza della pressochè contemporanea aggressione delle somme oggetto di sequestro rispetto all'accredito. Quanto al primo aspetto, infatti, trattasi di un provvedimento cautelativo afferente specifiche operazioni che non incide sulla utilizzabilità del conto a mezzo di operazioni di tipo diverso rispetto a quelle bloccate; quanto al secondo aspetto va evidenziato che l'accredito non può che logicamente precedere il sequestro e tale logica anteriorità è sufficiente ad integrare il passaggio di disponibilità delle somme dal datore di lavoro al dipendente-titolare del conto.

Neppure può ritenersi che l'autorizzazione all'accredito degli stipendi non comportasse automaticamente anche quella all'accredito del T.F.R.. Va, infatti, ricordato il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituendo istituto di retribuzione differita consente di ricondurre le relative somme sempre nell'ambito degli emolumenti stipendiali.

Da ultimo va escluso che l'autorizzazione all'accredito integrasse un atto di disposizione di crediti futuri idoneo a privare detti crediti delle garanzie approntate dagli artt. 545 e 671 cod. proc. civ. e come tale integrasse un regolamento negoziale nullo ai sensi dell'art. 1418 cod. civ.. Nessun effetto ulteriore può, infatti, essere riconosciuto ad una diposizione di accredito rispetto a quello di ottenere la disponibilità delle somme oggetto della stessa in modo diverso dal pagamento diretto per cassa.

[...]

Il sesto e settimo motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono invece fondati.

E' da ritenersi coperta da giudicato la decisione del Tribunale di Pistoia nella parte in cui è stato considerato, quanto alla somma costituita dagli accantonamenti per alimentare il fondo integrativo previdenziale, che, mancando una scelta formale del dipendente tra le possibili opzioni di utilizzazione degli accantonamenti, consentite dall'art. 23 del "Regolamento di previdenza complementare per i dipendenti della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia s.p.a." in favore degli iscritti che abbiano cessato il rapporto, senza maturazione del diritto a pensione (trasferimento del capitale accumulato ad altro fondo chiuso, trasferimento a fondo aperto e riscatto), la stessa fosse stata indebitamente accreditata sul c/c personale del T. e dovesse, di conseguenza, considerarsi come ancora costituente il fondo istituito presso il datore di lavoro. La conseguenza che il primo giudice ne fa derivare (e cioè la sottoponibilità della stessa a pignoramento nella misura di 1/5) è tuttavia in contrasto con la previsione di cui all'art. 2117 cod. civ. il quale dispone che: "I fondi speciali per la previdenza e l'assistenza che l'imprenditore abbia costituiti, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro". Analogamente il D.Lgs. n. 525 del 2005, art. 4 al suo comma 2 dispone: "I fondi pensione istituiti ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. g), h) e i), possono essere costituiti altresì nell'ambito della singola società o del singolo ente attraverso la formazione, con apposita deliberazione, di un patrimonio di destinazione, separato ed autonomo, nell'ambito della medesima società od ente, con gli effetti di cui all'art. 2117 c.c.".

Elemento caratterizzante l'indicata disciplina è che qualora vengano creati fondi speciali essi rimangono strettamente vincolati agli scopi per i quali sono stati istituiti. Il legislatore ha infatti stabilito che tali fondi non possono essere distratti dal fine cui risultano destinati, fine al quale viene quindi definitivamente subordinata la loro disponibilità. Tale carattere istituzionale dei fondi destinati ad iniziative assistenziali e previdenziali è confermato dal fatto che essi non possono formare oggetto di esecuzione da parte di creditori del datore di lavoro o del lavoratore: si tratta, infatti, di somme che non fanno più parte del patrimonio di coloro che le hanno versate e che, quindi, non possono essere considerate a garanzia delle obbligazioni da essi eventualmente assunte.

In definitiva, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e, non essendo necessari ulteriori, accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, con condanna della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, in persona del legale rappresentante p.t., alla restituzione a T.E. della ulteriore somma di Euro 1.637,5 (già ritenuta sottoponibile a sequestro ed invece non distraibile dalla destinazione alla stessa attribuita dal lavoratore) oltre interessi legali dal dì del dovuto al soddisfo."

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-10-2012, n. 17178

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