19 ottobre 2012

Interessi compensativi.


"Con unico motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1283, 2056 e 2058 c.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè "omessa, insufficiente e contraddittoria" motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto che la somma risarcitorìa liquidata all'attualità comprenda nel caso anche gli interessi compensativi.

Il motivo è infondato.

Come questa Corte ha già avuto ripetutamente modo di affermare, nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell'importo liquidato in relazione all'epoca dell'illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore, che va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo.

Il che può dipendere, prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo un danno da ritardo non è normalmente configurabile.

Ne consegue che, per un verso, gli interessi c.d. compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore; per altro verso, non è configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi, sia perchè il danno da ritardo che con tale modalità liquidatoria viene indennizzato non necessariamente esiste, sia perchè esso può essere comunque già ricompreso nella somma liquidata in termini monetari attuali (v. Cass., 25/8/2003, n. 12452. E già Cass., 30/1/1987, n. 907).

Nei debiti di valore i c.d. interessi compensativi costituiscono dunque mera modalità liquidatoria del danno causato dal ritardato pagamento dell'equivalente monetario attuale della somma dovuta all'epoca dell'evento (v. Cass., 12/2/2010, n. 3355; Cass., 24/10/2007, n. 22347).

Si è altresì precisato che la presunzione di danno da lucro cessante per ritardato pagamento nei debiti di valore è correlata esclusivamente all'impiego mediamente remuneratìvo del denaro, in ipotesi suscettibile di offrire un'utilitas superiore, in termini percentuali, al tasso di rivalutazione.

Il riconoscimento di interessi costituisce in tale ipotesi una mera modalità liquidatoria, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall'impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell'illecito.

Non è al medesimo viceversa inibito il riconoscimento di interessi, anche al tasso legale, su somme progressivamente rivalutate; ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero, sempre sulla somma rivalutata e con decorrenza dalla data del fatto, ma con un tasso medio di interesse, in modo da tener conto che essi decorrono su una somma inizialmente non era di siffatta entità e che solo progressivamente si è adeguata al risultato finale; ovvero, di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività inedia del denaro nel periodo considerato (v. Cass., 26/2/2004, n. 3871. E, conformemente, Cass., 26/10/2004, n. 20742;

Cass., 17/5/2005, n. 10354; Cass., 24/5/2007, n. 12162; Cass., 20/4/2007, n. 9515).

La sussistenza di un danno di tale tipo dipende, in definitiva, dal raffronto comparativo in unità di pezzi monetari tra la somma (rivalutata) riconosciuta al creditore al momento della liquidazione e quella di cui quest'ultimo disporrebbe se, ove tempestivamente soddisfatto, avesse utilizzato l'importo allora dovutogli secondo le forme che, in base alla comune esperienza, possono dirsi ordinarie;
con la conseguenza che solo se la seconda somma è maggiore della prima può ravvisarsi un danno da ritardo, indennizzabile in vario modo, anche mediante il meccanismo degli interessi (v. Cass., 12/2/2010, n. 3355; Cass., 24/10/2007, n. 22347).

Orbene, dopo aver premesso che "la liquidazione del danno è stata operata dal tribunale con riferimento all'attualità", nell'escludere "l'esistenza nella specie di un danno risarcibile da indisponibilità della somma dovuta..., tenuto conto, per un verso, del tasso medio di svalutazione monetaria, e della redditività media del denaro nel periodo considerato", di tali principi la corte di merito (nell'espressamente richiamare il precedente costituito da Cass., 26/2/2004, n. 3871) ha nell'impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.

Osservato ulteriormente che, pur formulando complessa denunzia di violazione di norme di diritto e di vizio di motivazione, gli odierni ricorrenti si limitano invero ad argomentare solamente in merito a quest'ultima doglianza, va altresì sottolineato come risponda a principio del pari consolidato nella giurisprudenza di legittimità che, esclusa la violazione di legge, un vizio di motivazione è invero configurabile solamente laddove si deduca che al giudice del merito era stata espressamente prospettata una censura di tale tipo e che il medesimo abbia tuttavia omesso di motivare sul punto.

Orbene, una siffatta deduzione difetta invero nel caso.

Assume pertanto al riguardo rilievo il principio in base ai quale se il giudice non è stato sollecitato ad occuparsi espressamente della questione mediante l'allegazione della specifica maggiore redditività del denaro rispetto al tasso di rivalutazione monetaria, nel periodo compreso tra evento lesivo e liquidazione, il ricorso ad uno dei criteri più sopra indicati non va invero esplicitamente giustificato in motivazione, giacchè l'adozione della modalità prescelta è univocamente interpretabile, in presenza di generica richiesta di interessi in aggiunta alla rivalutazione monetaria, come idonea ad indennizzare il creditore del danno da ritardo in relazione al rapporto tra (maggiore) remuneratività media del denaro ed (inferiore) tasso di svalutazione nel periodo di tempo in considerazione (v. Cass., 12/2/2010, n. 3355; Cass., 24/10/2007, n. 22347).

A tale stregua, non è allora a fortiori meritevole di critica il giudice che, pur in difetto di allegazione da parte del creditore in ordine alla maggior redditività del denaro rispetto a quanto coperto dagli interessi legali per la svalutazione, come nella specie fornisca congrua motivazione in ordine al mancato riconoscimento degli interessi compensativi.

All'infondatezza del motivo consegue il rigetto del ricorso."

Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-10-2012, n. 17155

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