24 marzo 2017

Quando il termine "può" deve essere inteso come "dovere" del giudice

Mette conto evidenziare che l'art. 76, comma 4 ter, T.U.S.G., dispone: "La persona offesa dai reati di cui agli artt. 572, 583 bis, 609 bis, 609 quater, 609 octies e 612 bis, nonchè, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600 bis, 600 ter, 600 quinquies, 601, 602, 609 quinquies e 609 undecies c.p., può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto".

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Residua, quindi, un problema di natura interpretativa in riferimento alla dizione letterale della norma laddove si enuncia che la vittima "può" e non "deve" essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto. In altri termini sembrerebbe che il giudice abbia una mera facoltà e non un dovere di accogliere la domanda di fruizione del beneficio.
Ritiene il Collegio che il termine "può" debba essere inteso come dovere del giudice di accogliere l'istanza "se" presentata dalla "persona offesa" da "uno dei reati di cui alla norma" e all'esito della positiva verifica dell'esistenza di un "procedimento iscritto relativo ad uno dei menzionati reati".
Tale interpretazione si impone in prospettiva teleologica posto che la finalità della norma in questione appare essere quella di assicurare alle vittime di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell'assistenza legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15/02/2017) 20-03-2017, n. 13497


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