26 febbraio 2014

La quietanza è confessione stragiudiziale

"Osserva il Collegio che tipicamente intesa, la quietanza è il documento cui si riferisce l'art. 1199 c.c.: sotto la rubrica "diritto del debitore alla quietanza", esso obbliga "il creditore che riceve il pagamento" a "rilasciare quietanza", su richiesta e a spese del debitore. In disparte la quietanza "con imputazione", tipizzata dall'art. 1195 c.c., per cui si distinguono figure di quietanza variamente atipiche, non soltanto per addizione contenutistica, ma anche per alterazione funzionale: quietanza "liberatoria" o "a saldo", ove, alla dichiarazione di ricevuto pagamento, il creditore aggiunge una dichiarazione di liberazione del debitore, una dichiarazione di avvenuto saldo, "a stralcio", "nulla più a pretendere", e simili; quietanza "anticipata", ove la dichiarazione di ricevuto pagamento è sottoposta all'implicita condizione che il pagamento stesso avvenga in un determinato futuro, nella presupposizione dell'evento, comune alle parti del rapporto obbligatorio; quietanza "di favore" o "di comodo", ove la dichiarazione di ricevuto pagamento, scientemente non veridica, è frutto di un accordo volto a creare un'apparenza di solutio (ad esempio, per consentire al debitore di vantare solvibilità presso terzi od esercitare il regresso verso un coobbligato).

La pluralità di significati che può assumere il termine "quietanza" e la riferibilità del concetto a fattispecie di diversa natura giuridica costituiscono oggetto di diatriba quanto al regime di impugnazione e di prova. La Corte di legittimità ha aperto un ventaglio di soluzioni per una casistica eterogenea, che annovera, oltre alla quietanza tipica, fattispecie nelle quali la purezza della dichiarazione di scienza viene sacrificata in nome di finalità ulteriori.

Per la quietanza tipica, tuttavia, la definizione confessoria è indiscussa, per cui il creditore che, rilasciando quietanza al debitore, ammette il fatto del ricevuto pagamento rende confessione stragiudiziale alla parte, con piena efficacia probatoria, ai sensi degli artt. 2733 e 2735 c.c., e non può impugnare l'atto se non provando, a norma dell'art. 2732 c.c., che esso è stato determinato da errore di fatto o da violenza; non gli è sufficiente, quindi, provare l'elemento oggettivo della non veridicità della dichiarazione di ricevuto pagamento, ma occorre che egli provi, altresì, l'elemento soggettivo dello stato di errore o di coartazione che lo determinò al rilascio (Cass. 7 dicembre 2005 n. 26970).

Nella quietanza "a saldo", la dichiarazione liberatoria, se intesa come ricognizione negativa di debito, implica relevatio ab onere probandi, ai sensi dell'art. 1988 c.c., ovvero, se intesa come rinuncia o transazione, attiva la corrispondente disciplina negoziale.

Circa la simulazione della quietanza, resta da chiarire che nel rapporto interno tra creditore quietanzante e debitore favorito, l'ammissione della prova documentale e l'esclusione della prova testimoniale - l'applicazione, quindi, degli artt. 1417, 2722 e 2726 c.c., anzichè dell'art. 2732 c.c., di cui alla pronuncia delle Sezioni Unite (sent. 13 maggio 2002, n. 6877) - risponde alla logica del c.d. conflitto di prove, non essendovi motivo di estendere alla collisione tra scrittura e scrittura la regola che previene la collisione tra scrittura e testimonianza.

Infine, quanto alla dedotta frode fiscale, si osserva che, secondo costante giurisprudenza (Cass. 5 novembre 1999 n. 12327; Cass. 20 agosto 1987 n. 6970; Cass. 27 ottobre 1984 n. 5515; Cass. 24 ottobre 1981 m. 5571), non è causa di nullità, ma trova sanzione nelle norme fiscali.

Quanto sopra esposto circa la natura satisfattiva della fattura rende superfluo l'esame della questione dedotta con riferimento alla violazione della L. n. 794 del 1942, art. 24."

Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-02-2014, n. 4196