21 settembre 2013

L'efficacia immediatamente esecutiva dei provvedimenti emessi a norma della L. 1.12.1970, n. 898, art. 9, co. 1

Si deve preliminarmente rilevare che sulla questione oggetto del presente giudizio, costituita dall'efficacia immediatamente esecutiva dei provvedimenti, emessi a norma della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, comma 1 come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 13, comma 1 con i quali il tribunale provvede alla revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6 della stessa legge, non vi sono precedenti in termini nella giurisprudenza di legittimità. Le due contrastanti pronunce, richiamate nell'ordinanza interlocutoria, vertono, infatti, sui provvedimenti pronunciati dal tribunale a norma dell'art. 710 c.p.c., in tema di modifica delle condizioni di separazione, e non propriamente sui provvedimenti pronunciati a norma del novellato L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 1 in tema di revisione delle condizioni di divorzio. Lo stesso apparato argomentativo svolto delle due sentenza, e in particolare in quella n. 4376 del 2012, per la definizione dell'efficacia esecutiva dei provvedimenti adottati ex art. 710 c.p.c. non sarebbe direttamente utilizzabile, nonostante la generica affinità dei due procedimenti, per la soluzione del problema riguardo ai provvedimenti assunti L. n. 898 del 1970, ex art. 9, comma 1; e ciò sebbene, come si dirà, esso offra spunti di riflessione che vanno al di là della fattispecie regolata.

[...]

Lo stretto collegamento che deve ravvisarsi tra il giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti del matrimonio e quello successivo, di revisione, e che impone per il problema qui esaminato, dell'efficacia esecutiva del provvedimento emesso al termine del giudizio di primo grado, una soluzione uniforme, appare dunque dettato da ragioni immanenti alla materia trattata. A ciò non varrebbe opporre il rilievo formale che nel primo giudizio si ha a che fare con una sentenza, provvisoriamente esecutiva per una regola più generale, specificamente ribadita in materia, mentre nel secondo caso si ha a che fare con un provvedimento camerale, soggetto alla disciplina dell'art. 741 c.p.c.. Non soltanto, infatti, in questo caso il procedimento camerale è applicabile non in ragione della natura propria della materia trattata - che non è di giurisdizione volontaria ma contenziosa - bensì di una scelta del legislatore, in funzione di semplificazione e accelerazione del processo, sostanzialmente contrastante con la conclusione alla quale si perverrebbe altrimenti; per l'altro, a giustificare una diversa efficacia della sentenza di primo grado pronunciata a norma dell'art. 4 e del "decreto" emesso a norma della L. n. 898 del 1970, art. 9 non varrebbe, come s'è visto, l'efficacia di giudicato del provvedimento che si tratta di modificare. La soluzione qui contrastata si porrebbe in termini di evidente e ingiustificabile irragionevolezza, risultante non già dall'intendo legis ricostruibile da un attento esame delle norme vigenti - che appare orientata in senso opposto a quella conclusione - bensì come l'effetto del tutto accidentale e indesiderato della stratificazione del tessuto normativo, conseguente a una serie diacronica di interventi frazionati e privi di coordinamento. A un tale esito interpretativo, che porrebbe questioni non manifestamente infondate di costituzionalità sotto il profilo della regola del giusto processo, ritiene la corte di dover preferire una ricostruzione sistematica della volontà del legislatore, tale da contemperare la specialità del processo, regolato in funzione della materia, con i principi della ragionevolezza. In sintesi, la soluzione deve essere ricercata all'interno della disciplina processuale, disegnata dalla L. n. 898 del 1970, artt. 4 e 9 con speciale riguardo alla natura della controversia che ne costituisce l'oggetto, rimanendo l'implicito rimando alle regole del processo camerale confinato a un ruolo meramente residuale, per quei casi nei quali la specialità del procedimento non offra indicazioni pertinenti.

In conclusione deve affermarsi il principio di diritto che, in materia di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere a seguito dello scioglimento e della cessazione degli effetti del matrimonio, a norma della L. n. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 e successive modificazioni, il decreto pronunciato dal tribunale è immediatamente esecutivo, in conformità di una regola più generale, desumibile dall'art. 4 della citata legge regolativa della materia e incompatibile con l'art. 741 c.p.c., che subordina l'efficacia esecutiva al decorso del termine utile per la proposizione del reclamo.

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 26-04-2013, n. 10064


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